Contributi

Exodos. Lettere dalla Grecia

di Guido Tassinari 09 Maggio 2012


Exodus! Exodus! All right! Exodus! Now, now, now, now! Exodus! Exodus! Oh, yea-ea-ea-ea-ea-ea-eah! Exodus! Exodus! All right! Exodus! Uh-uh-uh-uh!
Move! Move! Move! Move! Move! Move!

Robert Nesta Marley

Caro Francesco, nella prossima edizione di Le parole del manager mi piacerebbe trovare esodato. Immagino che cominceresti ricordandomi che la sua radice è antichissima; che nella lingua del popolo l’Esodo è il secondo libro dell’Antico Testamento, la storia dell’uscita degli ebrei dall’Egitto. Che è anche il nome dell’ultimo canto del coro nella tragedia greca. Che nel tempo, origine biblica e significato letterario si sono fusi per indicare ogni “partenza da un luogo di un gran numero di persone”, sicché anche le vacanze agostane o la transumanza sono diventate esodo; niente di male, è così che funziona la lingua del popolo mi diresti, [più elegantemente, certo]. Ma nel Newspeak, nella neo lingua elaborata dai tecnici del Partito, che vuole significare mi [ti] chiedo? Certo, abbiamo imparato [dai fatti] in questi anni che esodato è il lavoratore tra i 50 e i 65 anni che per ristrutturazione aziendale, accordo sindacale o dimissioni volontarie incentivate ha perduto il posto o è entrato in mobilità contando su uno scivolo pensionistico poi ostruito dall’ultima riforma, e non riesce a rientrare al lavoro, trovandosi disoccupato e senza pensione. E che [sono andato a farmi qualche ricerca] come spesso accade in quanto neologismo esodato è un’innovazione burocratica: sulla Gazzetta Ufficiale del 2 aprile 1992 venne pubblicato un decreto dell’allora ministro del Lavoro Marini riguardante il “versamento al Fondo di previdenza autoferrotranvieri dell’importo del valore tecnico delle mensilità di pensione del personale esodato”. Ma come si può usare nella pratica aziendale una parola così? Torni a casa e annunci alla famiglia: sono stato esodato o: da oggi sono [un] esodato? O magari chiami un dipendente e dici: ci conosciamo da trent’anni, mi capisca, ma da oggi devo proprio esodarla o scrivi ai soci: abbiamo oggi l’opportunità storica di esodarne mille?

Caro Francesco, con queste belle domanda in testa, sono partito per Atene per andare a trovare il mio amico Nikos. Ancora in aeroporto, ho chiesto a Nikos, che ha studiato a Perugia, come tradurrebbe esodato e non c’è riuscito, nemmeno dopo che gli ho spiegato l’uso che se ne fa correntemente. Abbiamo continuato a parlarne in autostrada, andando verso Atene, dove una delle prime parole in cui s’imbatte il viaggiatore è έξοδος, éxodos, che però, a scanso di equivoci, suppongo, non ha sotto la riscrittura in caratteri latini, come tutte le altre parole dei cartelli, ma la sua traduzione internazionale: exit. Arrivati in centro [Nikos abita giusto sotto piazza Omonia], nella sua via c’era in corso un’operazione di polizia per ripulire il quartiere dai clandestini; iniziata poco prima con il blocco di due Tir che avevano nascosto sotto gli scatoloni al loro interno una decina di profughi ciascuno, quando siamo arrivati noi le truppe speciali si stavano muovendo verso i tetti e le terrazze dei palazzoni cadenti che vengono affittate per fare dormire sotto le stelle decine di persone alla volta.

Caro Francesco, la mattina della mia partenza da Milano era stato pubblicata la confessione in video di Jorge Rafael Videla, uno dei capi della junta militare che governò l’Argentina tra il 1976 e il 1983. per la prima volta, almeno che io sappia, Videla parlava delle sue scelte; spiegandole, giustificandole; come ovvietà:

«Per vincere la guerra contro la sovversione dovevano morire sette-otto mila persone.. scomparire i cadaveri degli oppositori uccisi per evitare proteste.. Non c’era altra soluzione, eravamo d’accordo sul fatto che quello era il prezzo da pagare per vincere la guerra contro la sovversione. Avevamo bisogno che non fosse evidente perché non volevamo che la società lo sapesse.. Era una Disposizione finale.. un termine molto militare, che significa mettere fuori servizio una cosa in quanto non serve più. Quando per esempio si parla di un vestito che non si usa più o che non serve perché è consumato, si dice appunto disposizione finale.. Era necessario eliminare un gruppo grande di persone che non potevano essere portate davanti alla giustizia e neppure essere fucilate.»

L’ex generale ricordava anche l’importanza della dottrina francese utilizzata in Algeria e poi trasmessa via Usa ai vertici militari dei paesi latinoamericani. Io a quel tempo ero molto piccolo ma ricordo bene l’arrivo in Italia della parola desaparecido, di come i grandi non riuscissero a trovarne una traduzione [non era solo affettazione, come si fa oggi con molte traducibilissime parole inglesi, era proprio un’impossibilità, forse], dell’imbarazzo di parlare dei conoscenti argentini profughi arrivati a Milano a cui era stato scomparso un fratello o una compagna. Molto più tardi ho saputo che i primi desaparecidos erano lavoratori scomodi, e ancora più tardi che l’unica tattica popolare che funzionasse contro le desapariciones fosse un uso tempestivo dell’habeas corpus, e ancora più tardi che per impedire l’oblio delle scomparse madri e nonne ancora adesso occupano strade e piazze dell’Argentina con le foto delle vittime e dei loro carnefici.

Caro Francesco, oggi in Italia, dopo sei mesi dal suo varo, nessuno sa la riforma pensionistica quanti esodati abbia generato: 65mila, dice il governo, 130mila, dice l’Inps, oltre 300mila dicono i sindacati. Anche qui in Grecia mi sembra che nessuno sappia come parlare compiutamente dei lavoratori scomodi, in particolare dei più scomodi, dei clandestini, degli incollocabili, di quelli che mai potranno ritornare al lavoro una volta espulsi. Forse perché in tutta Europa non abbiamo ancora imparato a parlare il Newspeak, a coniugarlo? Presto avremo bisogno di un habeas corpus per gli esodati?

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Ho quarantatré anni e ho fatto tanti mestieri, a Milano e in giro per il mondo: camionista, imbianchino, strillone, bambinaio, clown, venditore di cinture, osservatore Onu, esperto di aiuti umanitari, valutatore di politiche pubbliche, aperto una scuola di italiano per stranieri poveri e una di cucina per americani ricchi, scritto libri.

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