Contributi

Il Grande Inquisitore di Fëdor Dostoevskij e il silenzio dell’ascoltare

di Francesco Varanini 27 Ottobre 2012

Vale la pena di tornare alla ‘Leggenda del grande Inquisitore’, breve, illuminante narrazione incastonata nei Fratelli Karamazov di Dostoevskij. Per parlare al al fratello minore Alesa di potere, coscienza e libertà, Ivan Karamazov racconta questa storia.
In una fosca Spagna del 1500, a Siviglia, “i corpi degli eretici -cento in quel solo giorno- ardono sulle piazze infuocate”, “sotto gli occhi della folla strabocchevole e prostrata”. Il cardinale, il Grande Inquisitore, ammantato della sua autorità, domina la scena. Ma “compare in sordina, senza che nessuno sappia dire come e da dove” Lui, Gesù. Il Grande Inquisitore lo fa arrestare, lo sbatte in carcere. Nella notte, va a trovarlo nella cella buia, e lo aggredisce.
Cosa sei tornato a fare? Con la tua presenza, danneggi il nostro lavoro. “Noi abbiamo preso la spada di Cesare, ce ne siamo fatti carico” .“Noi abbiamo corretto la Tua opera, dandole basi solide: il mistero, appunto, il mistero, il miracolo e l’autorità. E gli uomini naturalmente ci sono grati, perché appunto volevano tornare ad essere considerati un gregge, guidati e spinti come un gregge, senza più l’enorme peso della libertà a schiacciare il cuore di ognuno”.
Il Cristo resta in silenzio. Il Grande Inquisitore espone febbrilmente le proprie ragioni. I roghi degli eretici sono un male necessario. Una efficace pedagogia. Gli uomini, i membri del gregge, “alla fin fine saranno i più fedeli e i più obbedienti. Sapranno apprezzare fino in fondo la nostra capacità di rispondere ai loro bisogni, ci tratteranno come dei, proprio perché noi li guideremo, liberandoli dal peso per loro insopportabile della libertà…”.
I leader trovano così giustificazione per ogni loro azione: le persone “hanno tanta paura della libertà; la libertà diventerà la cosa più tremenda per loro, e noi li libereremo dalla libertà mettendoli sotto la nostra protezione!”.
Giustificandosi con il sacro obiettivo di ‘fare del bene’, il leader può essere terribilmente crudele. In nome del ‘bene comune’, del complessivo vantaggio dell’organismo sociale, può violentare l’individuo, negandogli la soddisfazione di bisogni e desideri. Trasformando la fiducia in timore; la volontaria sudditanza rispetto ad una legge superiore in dipendenza psicologica e materiale.
Si sa come si conclude la narrazione di Dostoevskij. Lui, il Cristo, ascolta l’invettiva del Grande Inquisitore senza aprire bocca. Ascolta restando in silenzio. “Poi gli si avvicina, ancora in silenzio, e lo bacia dolcemente”.

- ha scritto 258 contributi su Bloom!.

www.francescovaranini.it fvaranini@gmail.com

© 2024 Bloom!. Powered by WordPress.

Made by TOCGRS from the great Daily Edition Theme