Contributi

Tecnologia, per gli economisti missing in action

di Beppe Carrella 09 Febbraio 2013

 

Siamo in una situazione in cui abbiamo raggiunto il punto dove persino le brutte notizie sono considerate buone. Dai dati Istat leggiamo che nel mese di maggio 2012 gli occupati sono aumentati dello 0,3% rispetto ad Aprile, vi troviamo anche altre “buone notizie”: gli inattivi tra i 15 e i 64 anni diminuiscono dello 0,2% (-25mila unità). I giornali, come sempre in questi casi, enfatizzano questi dati e i politici sono pronti a far sentire la loro voce di esperti affermando che “ancora un piccolo sforzo ed usciamo dalla crisi”.

Anche un bambino capirebbe che una crescita del genere è insignificante, non è sufficiente  a coprire né la crescita della popolazione né tantomeno compensare quella dei  2.5 milioni di disoccupati a Marzo 2012 (in crescita del 23,4 rispetto all’anno precedente). Che significa? Semplice che anche se si raddoppiasse la capacità di creare nuovi posti di lavoro e tenendo conto dei nuovi lavoratori e di quelli che nel frattempo perderanno il  lavoro (e ancora lontani dalla pensione) dovremo arrivare al 2021 per compensare il gap creato da questo periodo di depressione. E basta guardare sempre i dati Istat per scoprire che il vantaggio di Maggio presto si è spento, il report di ottobre riporta: “A maggio 2012 gli occupati sono 23.034 mila…a settembre 2012 gli occupati sono 22.937”, altro che raddoppio.

Qual è il problema? Semplice abbiamo creato un sistema economico che non prevede per le persone che perdono il lavoro un rientro nel mondo produttivo. A luglio del 2012 (5 anni dall’inizio della depressione) il tasso di disoccupazione resta al d sopra del 10% e, purtroppo, è previsto in crescita anche per il 2013. Siamo praticamente ai livelli precedenti all’ingresso massiccio delle donne (1983) nel mondo del lavoro. 

La storia dell’economia ci riporta che quando le Aziende crescono, fanno profitti e acquisiscono macchinari e tecnologia contemporaneamente assumono forza lavoro. Oggi sappiamo bene che le aziende che superano la crisi e ricominciano a crescere acquisiscono macchinari e tecnologie, ma non assumano o reintegrano forza lavoro umana. Insomma, dove vanno a finire questi lavori? Quale magia li fa scomparire? Come mai i celebrati modelli degli economisti di mezzo mondo non danno spiegazioni? Anzi, per la verità gli esperti dopo sono molto bravi a dare spiegazioni. Vorrei vedere: sbagliare col senno di poi è proprio da pirla! Eppure qualcuno continua a sbagliare e dire scemenze nonostante le evidenze. Gli economisti (quelli attaccati all’idea dei cicli-economici) dicono e scrivono che non c’è niente di misterioso in quello che sta accadendo infatti sono convinti che questo è semplicemente dovuto al fatto che l’economia non cresce abbastanza da permettere di recuperare posti di lavoro. Bisogna attendere che il ciclo riparta in maniera forte (e nel frattempo?). Il premio nobel Paul Krugman è uno di questi e dice:”All the facts suggest that high unemployment is the result of inadequate demand – full stop”.  In sintesi ci troviamo in un altro dei casi di cicli economici anche se questo è decisamente violento e lungo.  

Un altro club di economisti è sponsor della stagnazione  e ritiene la crisi diretta è dovuta all’incapacità nel lungo-periodo di innovazione e aumento della produttività (e a chi si riesce a vendere in queste condizioni?). In pratica pensano che l’economia ha raggiunto uno stallo, un momento di pochi cambiamenti che fa seguito ad un periodo di grande attività e progresso (una sorta di equilibrio, proprio quello che permette di trovare soluzioni ai loro modelli) qualcuno ha il coraggio di chiamarlo “technological plateau”.  In particolare Tyler Cowen scrive “..We have failed to recognize that we are at a technological plateau..Tht’s it. That is wahat has gone wrong”. Prima con arroganza ci avevano liquidato con un “full stop” e questo ci liquida con un “That’s it”r. La stagnazione non ignora la depressione in cui ci troviamo, ma questi economisti non credono che sia la principale causa della lenta ripresa e della perdita di posti di lavoro. Leo Tilman e il premio Nobel Edmund Phelps fanno parte di questo gruppo: “…but dynamism has been in decline over the past decade”. La causa è la lentezza nel produrre nuove idee le uniche che guidano il progresso economico. Una variante a questa posizione è che non è l’Italia o l’America in una fase di stagnazione ma che sono le altre nazioni (Cina e India) che hanno raggiunto (e superato) gli stessi livelli. Quindi non tanto un nostro rallentamento, ma un’accelerazione degli altri (comunque il risultato è lo stesso)

La terza spiegazione (fine del lavoro) parte dall’idea della stagnazione facendo una piccola modifica: non è colpa della lentezza della tecnologia, insomma non c’è una fase dovuta alla “technological plateau”, ma esattamente il contrario: la tecnologia corre troppo. Per loro stiamo entrando in una nuova fase della storia e lo sviluppo sociale dove c’è sempre bisogno di meno e meno persone per produrre beni e servizi per l’intera popolazione. Chi ha permesso questo stravolgimento? Il computer. La tecnologia ha creato quella che oggi chiamiamo “seconda economia”. Ignorata e tenuta lontano dai ragionamenti dagli esperti economici. Impossibile, starete pensando. Eppure.. Dove sono arruolati i migliori e più profondi conoscitori di economia (strapagati)? Sicuramente lavorano presso la Federal Reserve Bank di Richmond. Ebbene nel documento di analisi del 2010 dal titolo “The rise in Long-Term Unemployment: Potential causes and implications” non è citata una sola volta la parola computer, e neanche hardware nè tantomeno software e, meraviglia delle meraviglie, neanche technology. Un caso isolato, una svista? e allora provate a leggere il documento del Fondo Monetario Internazionale del 2011dal titolo: “New evidence on Cyclical and Structural sources of Unemployment”: stesso approccio la tecnologia? “missing in action”. Si può sbagliare benissimo col senno di poi.

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