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Un’azienda lontana nel tempo …. e un management lontano dalla realtà

di Davide Storni 20 Giugno 2013

Un po’ di tempo è passato, i ricordi sono ancora freschi. Forse vale la pena di scriverli, prima che sbiadiscano.

Una grande compagnia di assicurazioni ha forti problemi di liquidità. Si cerca un partner o un compratore che possa portare danaro fresco e aiutare la compagnia a rimettersi in linea di galleggiamento.

10 anni di gestione aziendale quanto meno avventurosa hanno portato a questa situazione apparentemente insanabile.

Succede che il top management sia assorbito dalle trattative per la cessione della compagnia. Trattative abbastanza lunghe e piuttosto complesse. Il quadro si fa ancor più difficile con l’entrata in campo di altri contendenti. Meglio, direte voi, così il prezzo si alza e la compagnia potrà avere maggiori benefici finanziari, ma non è esattamente così. Per chi la vive dall’esterno sembra quasi che la scelta abbia preceduto le trattative e a nulla valgano i tentativi degli azionisti di minoranza e di una parte del management per cercare di dare una corretta valutazione alle diverse proposte (sempre che in queste cose sia veramente possibile parlare di correttezza e di trasparenza).

Fatto sta che il top management si estranea dalla quotidianità dell’azienda e ci si ritrova a prendere decisioni su temi importanti con una delega maturata solo negli ultimi mesi.

Molti settori operativi capiscono in fretta che non avranno più risposte dal vertice e si arrangiano da soli.

Più passa il tempo e minori sono i contatti con i vertici aziendali. Io che sono un primo riporto del direttore generale riesco a scambiare solo poche mail con il mio capo, altri non sono così fortunati.

Cosa può succedere in una situazione simile, in un’azienda non abituata alla delega?

Per prima cosa potremmo assistere ad un calo delle prestazioni, senza più controllori sul collo.

Altra cosa probabile è il blocco della capacità progettuale e propositiva.

Un deterioramento della capacità di competere sul mercato, senza più direttive, è più che probabile.

Insomma senza una guida, direte voi, non possiamo che aspettarci che l’azienda vada allo sbando.

E invece, inaspettatamente, nei mesi di “vacanza” del top management succede questo:

  1. Nascono e/o si rinsaldano progetti ambiziosi per risanare e rilanciare settori di business importanti per l’azienda. La cosa più incredibile è che vengono anche realizzati.
  2. I tempi di risposta agli agenti/clienti non peggiorano.
  3. Si completano progetti da anni nei cassetti.
  4. I dati economico-finanziari migliorano.

Completata la fase di acquisizione i “Nuovi” arrivano pensando di trovarsi un’azienda allo sbando, persone demotivate e situazioni precarie e invece … non credono ai loro occhi e alle loro orecchie. I settori di business prima in crisi sono risanati, i nuovi prodotti suscitano l’ammirazione (“ci avrete messo anni a fare questo nuovo prodotto incendio”… “veramente 4 mesi”), molte delle nuove idee vengono prese e utilizzate nel nuovo Gruppo. Certo nessun ringraziamento a chi aveva fatto il lavoro, ma almeno la soddisfazione che le idee messe in campo e la fatica fatta non vadano perse.

Pochi mesi dopo l’acquisizione addirittura gli acquisiti hanno dati industriali migliori degli acquirenti, suscitando non poco imbarazzo.

 

Che indicazioni trarre da questa storia?

Il ruolo del top management: “quando non c’è nessuno se ne accorge” (opinione che si andava diffondendo in azienda).

Certo è un po’ paradossale, ma in fondo vero: molto spesso il top manager si impiccia di gestione ordinaria dell’azienda, intralciando chi, più operativo, sa benissimo come fare e potrebbe raggiungere buoni  risultati in completa autonomia. In questo caso il top manager non fa altro che intralciare e allungare i tempi decisionali (nel migliore dei casi: ho assistito anche a situazioni in cui, volendo dimostrare chi è che comanda, il capo impose scelte errate, generando frustrazione oltre che favorendo un  peggioramento dei conti aziendali).

Allora quale ruolo dare al top management?

Beh forse dovrebbe occuparsi di più di interagire con l’ambiente circostante, cercando di sondare e comprendere gli scenari futuri, i possibili futuri che di possono manifestare se solo si prendesse coscienza di nuove opzioni e opportunità. Comprendere il futuro che vuole emergere e che è già intorno a noi, almeno in fieri.

In sostanza creare le condizioni affinché le persone possano operare (finanziamenti, alleanze, informazioni). E aprire “spazi di possibilità” a chi ha idee e forza per far crescere il settore di business nel quale opera e che conosce alla perfezione.

Nel suo “non esserci” il top management stava facendo proprio quello che dovrebbe fare (e che non aveva fatto nel decennio precedente).

 

Una volta un amico mi chiese “secondo te Davide, qual è la differenza fra il potere buono, generativo, e il potere classico, il potere di condizionamento?” mi venne spontanea la risposta “La differenza sta nella direzione in cui il capo guarda. Se guarda verso l’alto, occupandosi del domani e del dopo domani, creando scenari e cercando sempre di andar oltre i limiti attuali, allora si genera potere positivo, potere che aiuta a far nascere idee e a far crescere persone e competenze. Se invece il capo guarda in basso, il potere è controllo e paura di perdere il controllo. A volte prevaricazione, sempre limitazione delle potenzialità delle persone e dell’organizzazione.”

Tanti anni dopo averla formulata, questa risposta mi pare ancora attuale guardando al caso vissuto e sopra esposto.

Autore

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Consulente e facilitatore, lavoro per primarie aziende del settore dei servizi. Socio fondatore di Bloom

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