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Ok Google – la serendipità e le pietre

di Marco Bruschi 02 Agosto 2013

 

Le Google I/O Conference sono posti in cui si radunano i groupie delle nuove tecnologie e gridano eccitati verso un tizio sul palco che dice cose che la maggior parte delle persone non capisce.
Questa cosa ora si potrà fare con quest’altra cosa in SPLITSCREEN!
Boati dal pubblico.
Le parentesi graffe di quest’altra cosa saranno di diverso colore e ci potrai fare un’altra cosa!
Boati dal pubblico.
Code is poetry!
Boati dal pubblico.
Quelli più eleganti ci vanno sfoggiando i Google Glass o altre attrezzature varie che manco robocop. La Google I/O Conference è tenuta ogni anno da Google a San Francisco ed è un evento developers oriented in cui vengono presentate le novità – i “developers” sono appunto i groupie delle nuove tecnologie o anche detti “sviluppatori”. I/O sta per “Input/Output” ma anche per “Innovation in the Open”.
Nella Google I/O 2013 sono state presentate delle cose molto interessanti. Due di esse mi hanno interessato in particolar modo, ma erano tutte valide. Alcune non le ho capite, perché non sono un developer, ma dovevano essere delle vere e proprie bombe, perché quando il tizio sul palco le sventolava, dagli spalti quasi facevano la ola.

OK Google

Sicuramente, ciò che mi ha colpito di più è il nuovo sistema di ricerca vocale che sta per essere adottato da Google. La parola chiave per attivarlo è “OK Google”.
“OK Google, cerca ***”
Ma anche:
“OK Google, trova il bar più vicino”
Oppure:
“OK Google, quando parte il mio volo?”
Ciò che stupisce non è il fatto di parlare al computer – quello tra l’altro era già possibile cliccando un apposito tasto – ma come la ricerca di Google sia stata potenziata tantissimo dai sistemi di geolocalizzazione ma soprattutto dal Knowledge Graph Search, che permette ricerche sempre più precise a livello semantico.

Un’altro passo che Google sta compiendo è quello di anticipare la tua prossima domanda. Se cerchi “Pupulation Italy” ti compaiono delle ricerche correlate che ti mostrano i tassi di crescita oppure ti propongono delle comparazioni con altri stati.

Oppure se cerchi “Rome temperature”, hai un grafico che ti mostra il cambiamento dei gradi, le precipitazioni, il vento ecc. Se fai la stessa ricerca in italiano, scordati il grafico: avrai come primo risultato ilmeteo.it. Nella nostra lingua infatti le ricerche semantiche più raffinate non sono ancora state implementate, ma è solo questione di tempo.

Sempre nella direzione di anticipare le nostre richieste e di renderci la vita “più facile” si riallaccia a questo discorso Google Now, che è un’applicazione già disponibile da qualche tempo su cui Google punterà tantissimo. In un solo posto hai le previsioni meteo, la distanza dal tuo hotel, i reminder per le cose che devi fare – che naturalmente funzionano meglio se ci hai collegato Google Calendar – eccetera.

Amir Shingal, il vice president di Google Search ha aperto il suo intervento dicendo che il suo sogno, fin da bambino, era quello di creare un computer come quello di Star Trek, che tu gli facevi le domande e lui rispondeva. Rispondeva capendo ciò che gli chiedevi. Con queste novità Google si presenta come il principale attore che va verso quell’utopica direzione. E “utopica” è sempre più da mettere fra virgolette.

Non era solo il sogno di Shingal, di creare una cosa simile. Già molto prima che il capitano Kirk prendesse vita, uno dei pionieri di Internet e del Web, si auspicava una cosa simile. Licklider infatti si era posto questa semplice domanda: quanto diavolo di tempo perdiamo in ricerche e analisi di dati, rispetto a quello che impieghiamo nel prendere una decisione una volta che sappiamo come stanno le cose? Da lì l’idea di un computer che raccogliesse per noi le conoscenze e quasi ce le infondesse nella mente, senza nemmeno il bisogno di leggerle.

E poi Berners-Lee, l’inventore del Web, che aveva pensato a esso proprio come a uno strumento che ci rendesse le cose più facili. Nel suo articolo di presentazione del Web Semantico ci racconta come vede la prenotazione di una visita medica nel futuro, con il computer connesso al Web che prende dati dalla propria agenda, dalle mappe della città in cui si vive, dai rating dei dottori online eccetera. Con un click, la macchina ci propone le due o tre soluzioni che possono andarci bene e a noi basta sceglierne una.
Questo secondo Berners-Lee è il Semantic Web e a guardare Google siamo davvero sulla strada giusta.

Cheese Google

Non siamo ancora alla conoscenza infusaci direttamente dalla macchina che professava Licklider e forse non ci arriveremo mai, però stiamo andando verso qualcosa di interessante. Interessante non significa necessariamente totalmente positivo.
Un’altra delle novità che più mi ha colpito è questa cosa delle foto. Il presentatore sul palco ha esordito dicendo che era appena stato in vacanza e aveva scattato un migliaio di foto – anche qui si potrebbe aprire un discorso ma non è questo il momento – e che ora che era tornato non aveva tempo per riordinarle perché, appunto, era tornato a lavoro. In un prossimo futuro, le foto delle vacanze le sceglierà Google per te!
Google potrà effettivamente scegliere le tue foto migliori e proportele belle ordinate e pronte da postare su Facebook – lui il “su Facebook” non l’ha detto. Una foto è “migliore” di un’altra secondo parametri ben precisi come la messa a fuoco, la luminosità, la presenza di duplicati – che vengono scartati automaticamente, la presenza di landmark – come la torre Eiffel per capirci – e non ultimo: le facce sorridenti.
If a picture contains smiling faces it is probabily a good memory.
Boati dal pubblico.
Tutto ciò, più che per la raffinata tecnica che c’è dietro, mi ha colpito in un altro senso. Vogliamo davvero che il computer e il Web, semantico o meno, ci renda la vità così facile? Se non hai avuto tempo per scegliere le foto della vacanza forse il vero motivo è che non ti interessa abbastanza. Scattare una fotografia – o mille – è una piccola arte personale, ma lo è anche scegliere ciò che vogliamo “esporre” o conservare. Vogliamo che sia la macchina, con un click, a farlo per noi?

Che cos’è una pietra?

Una persona cammina e inciampa su una pietra.
– Come mai questa pietra è qui? – chiede.
– E’ qui perché gli operai stanno costruendo una strada che va a quella nuova città.
L’uomo incuriosito si dirige verso la nuova città per vedere com’è.

Altro uomo, ma stessa pietra. Anche lui ci inciampa – questi lavorano proprio alla cazzo.
– Come mai questa pietra è qui? – chiede.
– E’ qui perché gli operai hanno interrotto il lavoro a causa di uno sciopero.
L’uomo si incuriosisce e chiede le ragioni di questo sciopero e scopre che ecc.

Tutti noi, tutti i giorni, inciampiamo continuamente su tantissime pietre. Non è perché siamo i pronipoti di Mr Magoo, ma perché le pietre in questo caso sono semi di scelte e di conoscenza potenziale. Trovata una, possiamo decidere quale strada percorrere fra quelle che ci propone e vedere dove ci porta. Sul web: un link, il rimando a un’altra pagina, a una foto, a un video. Può anche essere chiamata serendipità se volete, ma la definirei così solo se fatta bene.
La pietra però è potenzialmente anche un errore. La stessa parola, può avere qualche significato diverso o innumerevoli percezioni diverse da parte dei singoli soggetti.
Se cerco “Eros” da google.it il secondo sito che mi compare è quello di Ramazzotti, ma se lo cerco da google.com – e per farlo devo per forza di cose usare un proxy per evitare la localizzazione dell’IP – naturalmente non è così.
Qual è l’errore? O meglio: c’è un errore? No. Eros è contemporaneamente il dio greco dell’amore e il nome di un cantante e Google funziona così: applica dei filtri alle nostre ricerche, fra cui la geolocalizzazione.
Quello che si tenta di fare però, è proporre i risultati sul dio dell’amore proprio quando stiamo cercando quello e i risultati sul cantante proprio quando cerchiamo di lui.

Ma la cosa mi fa pensare. Mi fa pensare che più le ricerche si affinano e diventano precise e seguono la via che si sta intraprendendo con tutte queste novità presentate alla conferenza, più rischiamo di perdere una cosa molto importante: l’errore. E se perdiamo gli errori, perdiamo un po’ di serendipità. Nel nostro esempio, se i due uomini non fossero inciampati su una pietra per errore, non avrebbero scoperto cose nuove e interessanti.
E’ anche per questo che in si è parlato molto dei filtri che Google alle nostre ricerche – vedi The Filter Bubble. Un Web davvero Semantico non deve eliminare gli errori, bensì abbracciarli come una cosa importantissima, perché anch’essi – forse soprattutto – fanno parte della sfera delle nostre conoscenze presenti o future.
Lo stesso “errore” è qualcosa di per sé molto ambiguo, volatile. Per una terza persona sia i risultati relativi al dio dell’amore sia quelli al cantante possono essere sbagliati, perché stava cercando l’Electronic Register of Somalis (E.R. o. S.).
Con risultati troppo precisi, troppo guidati, troppo “anticipati”, forse si rischia di perdere l’inaspettato, che può farci scoprire qualcosa. Per dire, adesso il CEO dell’Electronic Register è un fan sfegatato di Ramazzotti.

Pubblicato originariamente qui

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Laureato in Informatica Umanistica all'Università di Pisa, guarda le nuove tecnologie da un punto di vista sociologico, culturale e qualche volta letterario. Adora i vizi e non si fida di chi dice di non averne. - http://www.marcobruschi.net/ Twitter: @paroledipolvere

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