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Apologia del viaggio lento

di Francesco Varanini 07 Ottobre 2013

Sto viaggiando in treno. Ormai si viaggia senza più guardare fuori dai finestrini. O non vale la pena di guardare fuori, perché non c’è niente da vedere. Viaggiamo in treno come se viaggiassimo in metropolitana. Trenitalia se ne fa un vanto: ‘La metropolitana d’Italia’.
Si viaggia sempre più veloci. Si viaggia ‘fuori dal tempo’. E’ questo l’unico modo? Non potremmo, proprio in virtù delle tecnologie di cui disponiamo, tornare a viaggiare lentamente?
Mi viene in mente che tanti anni fa avevo scritto un articolo a questo proposito. Lo schedario di una biblioteca, reperibile in Rete, mi informa che l’articolo era stato pubblicato sulla rivista Sistemi & Impresa, nel febbraio 1996, pp. 9-10.
Trovo l’articolo sul disco del mio portatile. Lo ripubblico qui così com’era.

Perché viaggiamo? Il viaggio -inteso come oneroso spostamento fisico- si motiva come risposta a un bisogno. Lo spostamento deve corrispondere a una necessità culturale, a un vantaggio economico, a un incremento della qualità della vita. Altrimenti, perché spostarsi?
Affermata la necessità del viaggio, e la sua civiltà -ovvero, il fatto che l’enormemente incrementata possibilità di viaggiare costituisce una conquista della modernità- resta aperta una domanda, solo apparentemente peregrina. Il tempo di viaggio è tempo di vita?
Sembra di no. Il tempo di viaggio è vissuto come tempo sprecato.
Si accetta ogni limitazione alla comodità del viaggio, ogni limitazione alla possibilità di parlare, muoversi, provare piacere durante il viaggio in funzione della rapidità del viaggio stesso, ovvero della possibilità di tornare il più presto possibile a vivere al termine del viaggio, in condizioni di non-viaggio.
La qualità del viaggio sembra identificarsi con la sua limitata durata. Valga un esempio: giustificata dalla velocità, è passata come normale la limitazione dei movimenti costituita dalle cinture di sicurezza. Si viaggia legati, senza potersi muovere, non solo in aereo, ma anche in automobile (e in un futuro prossimo, secondo normative della Comunità Europea) sugli autobus.
Metafora tipica di questa modalità di spostamento è la metropolitana, intesa come sistema che rappresenta virtualmente luoghi e distanze ‘reali’. Sistema al quale ci si affida ciecamente per emergere (ri-trovarsi) altrove.
Sono evidenti, in questo senso, le analogie tra il viaggio in metropolitana e il viaggio in aereo. Ed è in questa direzione che si muovono i progetti più avanzati di nuovi sistemi di trasporto: in Svizzera si sta progettando una metropolitana destinata a collegare in tempi inferiori all’ora le principali città del paese. Un sistema fatto di tunnel a cento metri o più sotto il suolo, con ‘treni’ costituiti da cilindri di tre metri di diametro, le stesse dimensioni dei tunnel.
Questa atteggiamento di fronte al viaggio porta, alla fine, alla negazione del viaggio stesso, inteso come spostamento fisico, come accettazione del movimento. Infatti, l’estremo sviluppo di questo atteggiamento risiede nella virtualizzazione del viaggio. La tecnologia è vicina ad offrircene la possibilità. Chiusi nella nostra dimensione domestica potremo simulare lo spostamento, azzerando del tutto il tempo trascorso nel ‘buco nero’ del treno del futuro.
Se il tempo di viaggio è tempo inutilizzabile, è legittimo chiedere al mezzo di trasporto di minimizzarlo. Ma ciò non è vero.
E’ veramente giustificato pensare che il tempo trascorso nello spostarsi tra un posto ed un altro è sprecato? Perché viaggiare rapidamente se il viaggio è piacere? Perché ridurre a tutti i costi la durata del viaggio se si può vivere durante il viaggio?
Perché minimizzare il tempo di viaggio, se oggi, con l’uso delle tecnologie elettroniche il tempo di viaggio può essere agevolmente inteso come tempo di lavoro, dato che è possibile -durante il viaggio- mantenere attiva ogni forma di collegamento con i propri posti di lavoro ‘fissi’, e con ogni interlocutore?
In questo senso, il massimo di civiltà del viaggio sembra essere stato raggiunto tra le due guerre con treno, nave e dirigibile: tecnologie rivoluzionarie rispetto a quelle disponibili ancora pochi anni prima in termini di velocità. Ma caratterizzati anche dalla comodità. Treno, nave e dirigibile sono mezzi di locomozione che hanno in comune la possibilità di essere rappresentati con la metafora della ‘città in movimento’. Il movimento del mezzo (la sua velocità), qui, non è visto come alternativo al movimento del viaggiatore all’interno del mezzo. Nel definire le modalità del viaggio, si considera anzi come obiettivo il permettere al viaggiatore di svolgere le stesse attività che avrebbe svolto nella situazione di non-viaggio.
Le motivazioni che sessant’anni fa potevano spingere verso uno sviluppo delle tecnologie dei mezzi di trasporto orentato nel senso della minimizzazione del tempo di viaggio sono oggi venute meno. Il tempo di viaggio oggi non è più caratterizzato dalla labilità dei collegamenti. Durante il viaggio è agevole restare in collegamento con qualsiasi luogo e persona.
Alla metafora della metropolitana si può dunque tornare a sostituire, come ai tempi della nave, del treno e del dirigibile la metafora della ‘città in movimento’.
E’ di nuovo possibile viaggiare lentamente. Anzi, è vantaggioso: già il mutamento di paesaggio, se può essere osservato, è un piacere ed uno stimolo alla creatività – e quindi anche un potenziale incremento della qualità del lavoro.

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