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Qualcosa non va tra colleghi, tra pari. Il chiarimento efficace tra persone che lavorano insieme

di Simonetta Pugnaghi 20 Ottobre 2013

Qualche tempo fa, ho lavorato a lungo come consulente in una media azienda del settore alimentare. La loro organizzazione prevedeva due capoturno per ognuno dei tre turni giornalieri, erano persone che condividevano una elevata responsabilità e che potevano fare al meglio il proprio lavoro andando di comune accordo. Infatti, i turni in cui i due capoturno erano alleati erano i migliori, mentre dove c’erano tensioni e conflittualità le cose andavano peggio e soprattutto il personale aveva imparato ad approfittare dei contrasti tra i due.

Due capoturno in particolare vivevano un rapporto difficoltoso, che appesantiva il loro lavoro e faceva sì che andassero spesso a casa amareggiate o arrabbiate. Ciascuna aveva una serie di critiche nei confronti della collega, comportamenti e modi di lavorare che riteneva sbagliati, nessuna però era disponibile a dire apertamente all’altra cosa non andava. Per lungo tempo ho incontrato un risoluto rifiuto da parte di entrambe, Io con lei non ci parlo, tanto non serve, tanto dopo sto solo male, è molto meglio tacere.  Le cose però non miglioravano, ogni tanto, una delle due esplodeva, com’è logico a forza di mandare giù. La direzione la riprendeva, faceva presente che non è un comportamento adeguato per un capoturno urlare o perdere il controllo, e la capoturno pensava ancora peggio della collega, causa dei suoi problemi lavorativi e del rimprovero ricevuto. L’altra, sua volta, disistimava ancora di più la collega che aveva perso le staffe. Finché un giorno qualcosa scattò e ognuna diede la propria disponibilità ad un chiarimento con l’altra.

Parlando loro separatamente, concordai che non avremmo parlato del passato, e tantomeno di singoli episodi, ciascuna invece avrebbe chiesto alla collega quello che le serviva per lavorare meglio insieme. Si fece l’incontro, ciascuna invece di criticare, rivangare, recriminare … chiese. Entrambe reagirono con stupore. Davvero vorresti questo? Non l’avevo capito, non l’avrei mai immaginato. Entrambe risposero positivamente, sinceramente, alla richiesta della collega. Sì, sono disponibile su questo. Se può aiutarti a lavorare meglio, per me va bene. Le cose cambiarono. Trovarono un maggiore equilibrio nel rapporto, una sufficiente collaborazione e soprattutto recuperarono un po’ di fiducia l’una nei confronti dell’altra. Da quel chiarimento costruirono una alleanza sufficiente, che si mantenne nel tempo. Il turno andò meglio, così le occasioni di contrasto diminuirono. Ne guadagnarono tutti, anche l’azienda e i collaboratori.

Questo è stato un caso piuttosto eclatante, in cui il rapporto stava degenerando e la sofferenza delle persone coinvolte era notevole, un caso grave, ma non così raro. Voglio sottolineare con questo racconto che non dirsi le cose tra colleghi generalmente non è un buon modo per andare d’accordo, o per creare un buon clima e un buon rapporto. Certo, una certa quantità di tolleranza occorre e c’è modo e modo di dirsi le cose, ma parlare e dire cosa non va è importante. Rinunciare a chiarire solo apparentemente serve al quieto vivere, alla lunga non è così. Ingoiare, così come innervosirsi, esplodere, accusarsi e ferirsi a vicenda non sono buone strade. Quando il rapporto è alla pari, non possiamo criticare in senso stretto, occorre scegliere modi diversi per parlare. Soprattutto, non parliamo alle spalle della persona. Non cerchiamo alleati tra gli altri colleghi, evitiamo  lo sfogo, che in un modo o nell’altro arriverà deformato alle orecchie del collega che ne è l’oggetto. Confrontiamoci invece in modo costruttivo, se ci serve, con qualcuno che in modo sincero ci aiuti a vedere cosa non va anche nel nostro comportamento, in che modo entrambi possiamo aver contribuito alla situazione. E soprattutto che ci dia una mano a valutare che cosa si potrebbe realisticamente fare. Cerchiamo soluzioni, più che carburante alle nostre accuse. Prima o poi, con i tempi e i modi che ci risultano congeniali e appropriati alla situazione, troviamo il coraggio di parlare alla persona con cui il rapporto non funziona, alla persona di cui non ci vanno alcuni aspetti del suo comportamento. Troviamo il coraggio di parlare direttamente e in modo franco, ma pacato e centrato su ciò che fa, non sul suo essere. Il nostro scopo, quando parliamo, non è quello di dare giudizi sul collega o sul suo modo di fare. Non siamo giudici. È importante considerare il punto di vista dell’altro, infatti quando chiedo, ad esempio durante una consulenza, Secondo te lui, o lei, cosa pensa? La risposta è invariabilmente Ah, certo lui, o lei, penserà che sono io…. Quando ci mettiamo nei panni dell’altro, vediamo subito che la nostra verità non è più assoluta, è il nostro punto di vista, il nostro sentire, che per questo acquisisce più forza. Soprattutto, chiariamoci con buona tempestività, non lasciamo degenerare le cose.

È difficile! Mi dicono le persone con cui ho occasione di parlare di questi temi. È vero, non è semplice. Ma non è semplice nemmeno lavorare fianco a fianco con qualcuno con cui non stiamo bene, le energie incanalate in modo non costruttivo. E se poi se la prende? Se parlo, non è che poi la situazione peggiora? Può darsi, anche se in genere se ci siamo espressi in modo corretto e pacato finisce bene. Ed è meglio parlare in modo preparato e ponderato, piuttosto che non dire nulla, lasciar trasparire fastidio (perché traspare, non c’è dubbio!) e poi scattare. Se io sono stato aperto, pacato e corretto e l’altro se l’è presa … il problema francamente è suo. Comunque lasciamo aperta la porta.

 

 

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Lavoro da venticinque anni nel settore organizzazione e risorse umane, sono consulente, formatore e counselor. Il mio interesse per le persone viene da più lontano, è maturato nella adolescenza e nel periodo universitario, prima facendo parte degli scout e poi come capo scout.

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