Contributi

Il gioco della formazione e il gioco nella formazione

di Gianluca Bocchi 30 Novembre 2013

 

L’immagine comunemente condivisa della conoscenza si rifà a una concezione classica di scienza: una attività astratta e formalizzata, indipendente dai contesti, dalle situazioni, dagli spazi e dai tempi storici, estranea alle interazioni con le individualità.
Per analogia, dal presunto modello dei processi cognitivi scientifici si deduce la necessità di un modello di formazione ugualmente decontestualizzata. Il fine del nostro quaderno è smontare tale pregiudizio.
La confutazione di tale assunto è articolata su due binari: da una parte abbiamo mostrato come ormai la stessa epistemologia vada alla ricerca di una scienza contestualizzata; dall’altra si è sottolineato il carattere ibrido della formazione, che si avvale delle esperienze di molte altre attività umane, tra cui la tecnica, l’arte e il gioco, fortemente legate al proprio specifico contesto.
Il punto di incontro tra la formazione e i diversi campi di attività cognitiva non è da ricercare nei contenuti disciplinari, necessariamente peculiari a ciascuna attività, ma piuttosto nella condivisa propensione delle diverse forme di conoscenza e di attività a immergersi profondamente nella propria dimensione contestuale.
Queste forme di conoscenza hanno tutte dentro di sé, quasi incarnata, una profonda riflessione sull’aspetto contestuale. In questi termini, l’interesse in ambito formativo per tali discipline non deriva dal carattere specifico di ciascuna disciplina, ma dall’esperienza di relazione tra un individuo e un contesto, tra un individuo e una materialità, tra un individuo e una situazione storica, che le diverse attività umane hanno maturato.
Il gioco, in questo senso, rappresenta una esperienza di straordinario interesse in ambito formativo perché diviene la via privilegiata per com- prendere il legame tra vincolo e possibilità, tra regolarità ed evento.
Il gioco è definito da un insieme di regole e di vincoli che circoscrivono uno spazio all’interno del quale si realizzano e si sviluppano le azioni e le interazioni, si elaborano e si attuano le diverse strategie.
All’interno della situazione di gioco tutto ciò che non è vietato è per- messo. Ecco, allora, che le regole del gioco rivelano una capacità generatrice enorme.
Tradizionalmente si è pensato che le leggi della natura fossero leggi ‘prescrittive’, capaci di affermare in modo deterministico il verificarsi di un evento: lo spazio delle possibilità era così molto ristretto, poiché tutto ciò che non era permesso era vietato.
Adesso scopriamo, invece, il carattere ‘proscrittivo’ delle leggi, le quali non ci forniscono alcuna informazione riguardo agli infiniti stati di cose ammessi dai vincoli.
Il gioco, nel momento in cui prevede regole il più possibile proscrittive e non prescrittive, si rivela uno strumento eccezionale per capire (e sperimentare) come muoversi in questi spazi di possibilità.
Tutti i giochi che hanno avuto una portata culturale possiedono due caratteristiche fondamentali: un sistema di regole non troppo restrittivo e un potenziale generativo di un numero infinito di situazioni.
Anche i giochi più formalizzati come il bridge e gli scacchi, nonostante la complessità di regole e vincoli, lasciano spazio a un numero di situazioni combinatorie tendente all’infinità. Nei giochi sportivi, inoltre, all’infinità contribuiscono il ricambio dei protagonisti della competizione e dei terreni di gioco, la cronaca e la storicità meno astratta del contesto.
Tale ricchezza creativa può e deve essere valorizzata anche nella formazione. Per far ciò è necessario innanzitutto allentare le regole del gioco formativo.
In un contesto in cui si mescolano molti linguaggi, il potenziale formativo viene, infatti, valorizzato e si evita di produrre delle risposte e del- le reazioni stereotipe degli individui.
Ad esempio, in una unità formativa di un’ora sul cambiamento in azienda potrei decidere di adottare un linguaggio molto formalizzato, accademico, adottando un solo linguaggio, ad esempio quello della fisica, disciplina che ha affrontato il tema del cambiamento.
Ma le regole del gioco avrebbero così un potenziale generativo ridotto. Se si parla di cambiamento in fisica l’individuo sarà coinvolto solo come persona che è in relazione con la fisica, se si parla di cambiamento per l’azienda l’individuo coglierà solo l’aspetto aziendale.
Se invece si crea un contesto in cui, accanto ai linguaggi formalizzati, si suggeriscono delle suggestioni tratte da esperienze più vicine all’immaginario e la sensibilità dell’interlocutore (quali i film o i romanzi) e si forniscono immagini tratte dalla situazione storica in cui l’individuo è coinvolto in quanto attore storico, ecco allora che gli individui sono interpellati in punti diversi del loro percorso.
Ciascun individuo potrà applicare al mio discorso una lettura che privilegi la sua esperienza: aziendale, personale o accademica che sia.
Questa strategia formativa, incentrata sulla differenziazione di ruoli, garantisce che il gioco sia interessante e coinvolgente: le reazioni, non più stereotipe, fluttueranno da un contesto a un altro, saranno imprevedibili ed emergenti rispetto al contesto di partenza.
Il docente, non solo dovrà pescare e valorizzare la varietà lì dove essa si propone, ma, in un senso più forte, dovrà egli stesso essere suscitatore di varietà.
Quando il formatore pensi di avere un pubblico apparentemente omogeneo, con la stessa età, estrazione o mansione professionale, deve scoprire che l’apparente uniformità può trasformarsi in una varietà insospettata.
Solo allora si innescherà un gioco ad alto potenziale generativo. La formazione, riflettendo sul passaggio storico da una scienza classica a un modello contestuale di conoscenza, e prendendo spunto dalla tecnica e dall’arte, scopre anche il suo ‘essere gioco’.
La formazione come gioco ha la necessità di trovare regole, quanto più possibile intersoggettive e generali, ma anche quanto più possibile generatrici di situazioni effettive di gioco.
Ma nell’indicare ‘l’essere gioco della formazione’ non si vuol fare riferimento solo alla sfera affettivo-motivazionale dell’interazione comunicativa, ma prevalentemente e in modo specifico alla valenza cognitiva del gioco. Il vero potenziale non consiste nell’usare il gioco come una metafora semplicemente illustrativa, ma nel consentire la comprensione del legame tra vincoli e possibilità, tra regole ed eventi.
Una volta acquisita la consapevolezza del gioco come elemento sia affettivo che cognitivo fondamentale per la formazione, ecco che acquista un altro significato anche l’uso effettivo del gioco nella formazione: le situazioni ‘ludiche’ non sono più esemplificazioni ma prosecuzione formalizzata di elementi che sono già presenti nella formazione stessa.
Un essere gioco della formazione dà un nuovo senso all’idea del gio- co nella formazione: il gioco può diventare una sorta di formalizzazione della formazione come educazione alla complessità e alla possibilità.
Non soltanto i giochi formalizzati fanno emergere nuovi contenuti, semplificando le situazioni, ma possono diventare un momento di riflessione e di autoriferimento di straordinaria efficacia.

Il testo è un estratto da un capitolo di Gianluca Bocchi e Francesco Varanini, Le vie della formazione. Creatività, innovazione, complessità, Guerini e Associati, 20013.

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Gianluca Bocchi, filosofo della scienza e storico delle idee, è professore ordinario di Filosofia della scienza presso l'Università di Bergamo.

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