Recensioni

Meglio un seme che un virus

di Virginia Fiume 30 Gennaio 2014

di Virginia Fiume

contenuto pubblicato originariamente in lingua inglese con il titolo “A seed is better than a virus” sul blog Storie fatte di parole

È stato pubblicato recentemente in italiano Spreadable media. I media tra condivisione, circolazione e partecipazione. Si tratta dell’ultima fatica dello studioso dei media Henry Jenkins, che questa volta ha deciso di lavorare con due esperti di strategia digitale, Sam Ford e Joshua Green, entrambi ricercatori del centro di studi comparati sui media del MIT. Mi ha ispirata il riferimento ai media come qualcosa che si può seminare. Ho deciso di cercare una copia cartacea del libro qui a Vancouver, ma nel frattempo il sito di appoggio al progetto editoriale è molto interessante e ricco di spunti [spreadablemedia.org].

Lo stimolo all’acquisto me lo ha dato una recensione al libro pubblicata su uno dei più interessanti siti di carattere culturale in Italia, Doppiozero. In una recensione a Spreadable Media scritta da Tiziano Bonini si trova uno spunto che dimostra come il libro potrebbe interessare sia a chi si occupa dello studio dei media, sia a persone coinvolte a vario titolo nella comunicazione di aziende, organizzazioni, marchi.

La differenza tra un virus e un testo mediale è che il virus ha inscritto nel suo codice l’obiettivo di replicarsi il più velocemente possibile, mentre un testo mediale è un prodotto culturale che si replica solo attraverso l’azione umana. Non è una questione di lana caprina. Nella concezione dei media come virus è sottintesa una visione degli utenti come consumatori che vengono passivamente contagiati e non possono far altro che trasmettere il virus ai propri vicini.

Leggere queste righe mi ha fatto venire in mente un incontro preliminare che ebbi qualche mese fa con uno startupper. La maggior parte della conversazione ruotava intorno al concetto di “virale”. Lo startupper in questione era già a buon punto nello sviluppo della sua attività: chiaro il “prodotto”, chiaro il “posizionamento”, chiara la gamma dei “prezzi”. Alle 4 P del marketing mancava solo l’ultima gamba, la “promozione”. Per tutta la durata della nostra conversazione l’ambizioso startupper ha continuato a chiedermi di realizzare qualcosa di “virale”. E per tutto il tempo ho provato a spiegargli che un contenuto virale per il web non si realizza in mezz’ora davanti a una birra. “Ci vuole tempo, devi gettare tanti semi e avere la pazienza di aspettare il momento giusto, in cui il contenuto esplode e entra nella vita delle persone connesse in quel momento”, gli dicevo.

Ovviamente quella specifica consulenza non è andata a buon fine. Mi sono licenziata da sola ancora prima di cominciare. Lui parlava di virus. Io parlavo di semi.

Ora sono felice di sapere che un autore noto per il suo impegno nel cercare il punto di equilibrio tra comunicazione e impegno sociale ha lavorato, insieme ad altri, su questo tema. Forse leggendo il libro la prossima volta che mi troverò ad avere a che fare con un tipo del genere avrò qualche argomentazione in più per spiegargli perché preferisco i semi ai virus.

Il libro: Henry Jenkins, Sam Ford, Joshua Green, Spreadable media. I media tra condivisione, circolazione, partecipazione , Apogeo

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autrice freelance, viaggiatrice, con un'infarinatura in lettere e una in antropologia dei media. Al momento vivo a Vancouver. Nel tempo libero, oltre a vagabondare, mi prendo cura dei miei due blog: Storie fatte di parole - http://www.virginiafiume.com Hobomondo - http://hobomondo.wordpress.com

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