Contributi

Non solo per Renzi

di Maria Cristina Koch 09 Marzo 2014

Stiamo vivendo un’epoca straordinaria per possibilità, potenzialità e risorse a nostra disposizione, sembra che il mondo intero si offra disponibile alla nostra portata, innegabile il sorgere e l’imporsi di pensieri e proposte fresche.
Pure, mi sembra che il sentimento più diffuso e lo sport più frequentato sia quel ritrarsi, quel sostare sulla soglia con poca curiosità e quell’antiquato vezzo di mugugno scontato concluso il quale si torna, insoddisfatti, a lamentarsi nel quotidiano.
Penso che nessuno di noi possa e debba essere esonerato dal prendersi cura della propria esistenza, di divenirne protagonista, di applicarsi a inventarsela la vita. Non sto sottovalutando le difficoltà gravissime che stringono e soffocano migliaia e milioni di cittadini, no, mi sto riferendo a un chiacchiericcio vieto soprattutto delle persone della mia generazione, quella che il ’68 e la fantasia al potere, dei meravigliosi anni ’60 e degli anni ’80 della Milano da bere, quella generazione che oggi ha un potere sconfinato, che controlla l’economia, la cultura, la politica, la stampa. Una generazione che è la più ricca, con maggior potere contrattuale di tutte le altre e, indifferente al palese squilibrio, continua a rimpiangere di non aver avuto tutto ciò che voleva, sfruttando il suo potere ma non riconoscendolo apertamente e trascurando di aver avuto le maggiori occasioni e le più grandi opportunità.
Siamo passati dal latino e dalla rigorosa disciplina cattolica ad aperture inimmaginabili, abbiamo attraversato tempi e rinnovamenti profondi, smanettiamo al computer e ci incuriosiamo di tutti nuovi giocattoli della comunicazione ma non ci fermiamo mai a riflettere sul come risarcire la società di tutto ciò che ci è stato dato. E se non abbiamo avuto ciò che pensiamo di aver meritato, la colpa non è di Renzi né dei suoi coetanei.
Incapaci di gratitudine, osserviamo biliosamente il formarsi di nuove realtà che, irriguardose, non cercano il nostro apprezzamento né, tanto meno, ci propongono di metterci alla guida. Sì che finisce che pur di rientrare nel gioco ci riproponiamo, magari, di nuovo con i capelli bianchi come fondatori di pensieri e di movimenti che devono finalmente risolvere le pene del’Italia se non del mondo intero, oppure, sulle proposte che non controlliamo, ecco che passiamo il tempo a considerarle con sufficienza, incapaci di formulare pensieri e critiche non abusate. E critichiamo insofferenti, parliamo di radici, di ideologie, chiediamo chi sono i loro santi in Paradiso, spolveriamo divise antiquate che vorremmo far indossare ai ragazzi nostri figli (se non nipoti) solo per poterci nuovamente sentire giovani, per essere sicuri di esistere ancora.
Vorrei tanto che comprendessimo che oggi è il tempo di lasciare il passo e la prima linea d’azione a chi di questo tempo è figlio e abitante legittimo, che tutto ciò che ci è stato consentito in una vita lunga di esplorare, apprendere, accumulare come esperienza non è di nostra proprietà, non va conservato avaramente nelle nostre cantine ma eventualmente messo a disposizione di chi possa utilizzarlo.
Quel che abbiamo da dare non sono le nostre valutazioni ammuffite che fermano il tempo ma la capacità che, questa sì, possiamo condividere, di guardarsi intorno con curiosità, di stupirsi, di immaginare seguendo il filo del racconto di un altro, di essere anche un po’ fieri di questa generazione che sta finalmente salendo a governare, augurandole di farci ritrovare fiducia e speranza affinché nel successo loro possiamo riannodare il senso di tanti anni che ci sono sembrati troppo incompleti.
Volere con forza, assieme e al seguito dei più giovani, che ogni cittadino divenga protagonista, che questa ne sia la cifra e il diritto civile più importante della nostra convivenza, che si formi una classe dirigente di cui essere finalmente fieri. Se quel che abbiamo può servire, perfetto, è a disposizione ma è soddisfacente l’essere e il sentirsi protagonisti non nel senso di essere noi a guidare in prima persona ma nel fare parte di una storia che prende forma attimo per attimo.
Perché credo davvero che il tema più serio di un’esistenza sia il tema del lasciare: sia lasciare un posto, una visibilità e uno spazio che spetta ad altri, sia interrogarsi su ciò che vogliamo lasciare a chi viene dopo di noi. Affinché nella storia dell’altro possa riassumersi il significato del nostro vivere ed essere vissuti. Che assieme si possa dire: Confesso che ho vissuto.

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libera professionista, psicoterapeuta, saggista, counselor, formatrice. mcristina@mckoch.fastwebnet.it, www.lacasadivetro.com, www.sistemanet.com, www.sicolombardia.it

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