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Ragionare sul vissuto diventa fondante di un pensiero politico. Un punto di vista di donne apre nuove prospettive nel management

di Luisa Pogliana 03 Giugno 2014

Il management che vediamo in azione ogni giorno ripete troppo spesso la stessa storia. Manca un nuovo agire perché manca un nuovo pensiero. Ma un contributo diverso viene oggi dalle donne.
E’ il risultato di uno scarto che molte manager hanno fatto rispetto alla questione, spesso problematica, del rapporto con il potere in azienda. Hanno superato le resistenze
ad assumere i ruoli decisionali più alti, resistenze dovute alla la cultura -storicamente maschile- che domina nei luoghi ‘di potere’. E che si manifesta con logiche in cui le donne non si ritrovano.
Abbiamo così visto che molte donne manager, entrate in questi luoghi -luoghi di uomini- hanno mantenuto vivo il loro stupore dinnanzi a ciò che appare insensato, e anziché adeguarsi alle pretese regole del modello manageriale dominante, hanno portato una loro visione, un punto di vista di donne. Da qui emergono nuovi pensieri e nuove pratiche nel management. Ma è difficile renderle visibili: non se ne parla, non si conoscono.
Le donne per prime non ne parlano, sostanzialmente perché non ne vedono il valore. Sembra un paradosso, ma succede spesso.
Qui, nello specifico del ruolo manageriale, una ragione sta soprattutto nel fatto che le donne si muovono con dei progetti in testa, ma non partono da teorie, da modelli astratti. Le loro politiche nascono da intuizioni fondate sulla propria esperienza, da quello che a loro sembra necessario e ‘ovvio’. Per questo la visione e i criteri che originano le loro politiche vengono frequentemente sminuiti dagli uomini come semplice ‘buonsenso’. Dopo che la nuova strada è stata concepita e realizzata, tutto viene ritenuto facile.
In realtà molte cose diverse che una donna può fare non vengono valorizzate semplicemente perché non esistono nelle teorie e nei modelli. Questo fatto, invece, dice che le donne stanno aprendo nuove prospettive, nuovi modi di agire nel management. Ma sono modi non riconosciuti, perché fuori dalla dottrina. Fuori anche dal linguaggio formalizzato: le donne tendono ad usare un linguaggio aderente alla realtà a cui si riferiscono, non passano attraverso il gergo manageriale. Che però costituisce un codice di appartenenza, e di collocazione nel pensiero manageriale consolidato.
C’è un’altra ragione diffusa per cui le donne stesse che mettono in atto politiche innovative non danno valore a quello che fanno. E’ perché spesso non si tratta di grandi progetti: soffocate dall’imperativo del ‘grande cambiamento organizzativo’, sottovalutano la portata delle cose che fanno quotidianamente. Invece sono importanti anche le risposte ai problemi contingenti, i modi di agire nella gestione corrente. Il cambiamento, per quanto piccolo, è importante se punta a incidere sulla cultura aziendale, rendendo acquisiti nuovi modi di pensare. La contingenza è lo stimolo alla ricerca di soluzioni, ma le soluzioni non devono essere contingenti e riassorbibili. E’ da qui che viene il cambiamento, non dalla dimensione del progetto.
Dunque se non si riconosce il valore di queste esperienze diverse e non si trasmettono, è come se non esistessero. Eppure di esperienze così ce ne sono ormai tante. Facciamo qualche esempio.
Penso ad una Hr Director di una multinazionale, con prevalenza di donne giovani e qualificate, che rovescia il modo di pensare alla maternità: quanto costa all’azienda non scegliere una donna? Fare investimenti che aiutino nel momento della maternità costa meno che non gestire affatto il problema escludendo le donne dal lavoro. Così si prevede -tra l’altro- un contributo per l’asilo privato per tre anni, e un coaching per il reinserimento professionale. E il rientro al lavoro è stato elevatissimo.
Penso anche alla responsabile di un’importante area di business, che si è chiesta come fare spazio al suo desiderio di avere un figlio, evitando di bloccare la carriera. La risposta è stata costruire -con mesi di team building- la crescita professionale e di autonomia dei collaboratori, per mettere la struttura in condizione di funzionare senza la sua presenza continua. E questo è diventato il nuovo paradigma organizzativo aziendale. Cito ancora l’esperienza di una giovane manager, Direttore del Personale di un’azienda che progetta e realizza rotabili. Chiamata a gestirne lo stato di crisi fino alla dismissione, ha puntato invece a salvare l’azienda e il lavoro di tutti. Di fronte alla possibilità di portare a termine le commesse in corso, come base per continuare l’attività, ha coinvolto tutti nell’obiettivo. Chiedendo, e molto -lavoro e sacrifici- ma nella prospettiva di un ritorno per tutti. Facendo leva sulla fiducia, la responsabilità e la valorizzazione di tutte le competenze.
Queste ed altre esperienze mostrano donne che – partendo dal loro punto di vista personale – si sono trovate a fare delle cose nuove che hanno avuto effetti positivi sull’organizzazione. E sono state fatte con la fiducia in sé, sentendo che ci può essere un modo di essere manager non in contraddizione con se stesse. Queste donne hanno messo in campo la loro differenza soggettiva.
Le loro pratiche, per questo, spesso sono fuori dalle regole abituali, e certi principi del management sono stati rovesciati.
Negli accenni fatti, abbiamo visto il passaggio dalla maternità come problema e come costo, alla valorizzazione della maternità e del lavoro delle donne, come fatto di rilevanza aziendale e non personale: le soluzioni sono venute da un cambiamento di politiche organizzative. Si è cambiato il cardine della cultura organizzativa: la separazione, impossibile, tra tempo-luogo di lavoro e il resto della vita. Dall’organizzazione tradizionalmente fondata sul controllo di chi lavora ad una che cresce costruendo responsabilità diffusa. E dal profitto costruito sulla compressione del lavoro alla ripresa dell’azienda con la valorizzazione e la responsabilizzazione di chi lavora.
Con i loro comportamenti queste donne dicono con autorevolezza: guardate, nelle aziende possono succedere queste cose, nelle aziende ci sono donne che le stanno facendo succedere. Mostrano che c’è un altro modo più proficuo di governare un’azienda.
Ragionare su queste esperienze ha fatto emergere il loro valore, i criteri che le hanno rese efficaci. Così si può conservare e trasmettere la conoscenza che se ne ricava, anche se quell’esperienza non si replica. Per questo bisogna imparare a leggere la nostra esperienza ‘politicamente’. Che non vuol dire formalizzarla in un modello rigido, ma prendere consapevolezza del suo senso.
Far emergere e ragionare sul vissuto in questo modo diventa fondante di un pensiero politico. Ovvero, capace di cambiamento.

Questo articolo riprende i temi trattati nel convegno ‘Le donne il management la differenza’ organizzato dall’associazione Donnesenzaguscio (Milano, ottobre 2013). I temi e le esperienze a cui si fa riferimento si trovano nel libro di Luisa Pogliana Le donne il management la differenza. Un altro modo di governare le aziende (Guerini, 2011)

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