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Vorrei una scuola che sia per le persone

di Maria Cristina Koch 11 Settembre 2014

 

Ma abbiamo mai riflettuto sul serio su quanto è bizzarra (assurda?) l’idea di organizzare la scuola, in ogni suo rango, secondo classi di età? Chiunque abbia pascolato con dei bambini, qualsiasi formatore, qualunque madre/padre di famiglia, esattamente come qualunque mammifero, chiunque di noi ha potuto verificare che ogni persona ha i suoi tempi e i suoi modi di apprendere: quando le serve, quando rientra nei suoi interessi, quando ne ha voglia, quando le importa davvero.

L’antica idea che per studiare ci vogliono lacrime e sangue, duro lavoro e costrizione è platealmente smentita da ogni esperienza di vita, dalla Montessori all’apprendimento easy oggi degli strumenti di comunicazione. Chiunque di noi abbia avuto la possibilità di fare davvero esperienza di insegnamento, sa bene che occorre interessare, avvincere, creare curiosità, andare al passo, del gruppo e di ogni singolo nel gruppo.

Perché, tanto per dire, non si potrebbe pensare a cicli di tre anni nell’ambito dei quali i bambini e i ragazzi si muovano liberamente, accelerando o frenando secondo i loro tempi, squisitamente personali? Immagino le elementari come una serie di due cicli di tre anni, appunto, e i bambini che vi si muovono all’interno, ascoltando i loro desideri, sospendendo ciò che non li appaga, avviandosi dove la curiosità li attrae.

Nei fatti quotidiani, i bambini quando giocano non si danno le regole, sono capaci di rispettarle dandosele mentre giocano, e lo studio, la conoscenza non deve essere meno liberamente affascinante del gioco. Siamo noi adulti che abbiamo creduto di dover dimenticare il piacere dell’indagine curiosa, siamo noi che se parliamo di “educare” i figli, cioè guidarli traendo indicazione dai figli stessi, addirittura usiamo il termine “formazione” per adulti che si dovrebbero presupporre già formati, siamo noi che parliamo di “crescita” nelle aziende infantilizzando degli adulti che si dovrebbero presupporre già cresciuti.

Siamo noi, bacchettoni e tutto sommato evidentemente non così tanto bendisposti verso i nostri figli che diciamo loro frasi orrende e minacciose come: studiare è il tuo lavoro. E certamente non intendiamo nel senso che il lavoro è il gioco degli adulti, perché la vita a questo servirebbe, come scrive Gregory Bateson, “è un gioco il cui scopo è scoprire le regole, regole che cambiano sempre e non si possono mai scoprire” del tutto.

Non ci piacerebbe avere dei figli che fanno dello studio un’esperienza modellata su di loro, che si fanno delle domande inedite e si fanno guidare dal desiderio di saperne di più cercando in giro fra le diverse discipline? Certo che è nostro compito educarli, certo che vanno dati dei limiti, questa è la responsabilità degli adulti, non dei cuccioli, ma avete mai sentito due madri che hanno allattato il figlio nello stesso modo? Eppure è stata esperienza primaria di ogni persona, si condividono, molto grossolanamente, degli schemi di massima ma poi diventa esperienza assolutamente personale. Eppure esistono madri primipare e tutte hanno inventato il loro modo di allattare il figlio, come qualunque madre con più figli vi dirà le radicali differenze fra un figlio e l’altro.

La vita non può essere ridotta all’obbedienza soffocante di regole sempre uguali nel tempo, le regole scadono via via che la collettività si trasforma, abbiamo avuto da Giovanni Gentile in poi scuole che sostanzialmente hanno reiterato lo stesso modello di base: bene, ne abbiamo fatto uso, abbiamo imparato, ne abbiamo fatto esperienza, ora con il Terzo Millennio una scuola fatta di persone che gestiscono il loro tempo e la loro conoscenza liberamente sarebbe davvero impraticabile o sbagliata?

Perché non ne parliamo senza subito decidere per il sì o per il no, perché non custodire a modo nostro il nostro futuro?

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libera professionista, psicoterapeuta, saggista, counselor, formatrice. mcristina@mckoch.fastwebnet.it, www.lacasadivetro.com, www.sistemanet.com, www.sicolombardia.it

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