Contributi, Conversazioni

Non sparate allo UX designer II

di Luca Benazzi 14 Aprile 2017

Vorrei complimentarmi con Damiano Ceccarelli per l’eccellente risposta, che trovo ampiamente condivisibile. Credo anch’io che l’articolo di Francesco abbia sbagliato bersaglio, pur nel merito di aver sollevato la questione. Nella mia esperienza professionale, mi sono raramente trovato nella situazione in cui potevo dare alle persone quello che le persone cercano – per essere precisi, le persone non sanno che cosa cercano, sanno solamente qual è il problema che devono risolvere, e qui sta l’arte del design. Di mezzo sempre qualche capetto che proprio non ci arriva, qualche cliente con idee fisse, qualche graphic designer con ghiribizzi creativi che ignora totalmente i principi di visual design, qualche stratega, esperto di marketing, business analyst, sviluppatore prepotente. Attaccare Norman, o Nielsen, mi sembra decisamente fuori luogo. E’ grazie a loro se abbiamo fatto passi da gigante nella comprensione dei modelli mentali delle persone che usano i prodotti, chiamateli pure utenti o esseri umani, secondo le vostre preferenze, a me interessa la sostanza. Un paio di anni fa Norman e Tognazzini hanno scritto un articolo sui prodotti Apple, “How Apple Is Giving Design A Bad Name”, scritto con una tale competenza e autorevolezza, ma al tempo stesso senza mai scadere nella lamentela o nell’arroganza, ce ne fossero di progettisti che scrivono articoli di tale spessore! Per non parlare del lavoro encomiabile di Jakob Nielsen, da sempre poco ascoltato dai designer stessi, specialmente i finti UI/UX designer o i creative directors, o altri cazzoni come ne ho conosciuti tanti.

Certo c’è da dire che molti designer sono tendenzialmente pecoroni, carenti di pensiero analitico e poco inclini ad un approccio più rigoroso, basato sull’evidenza. Oltretutto pochi che oggi si definiscono UX designer lo sono davvero. Ma senza divagare, mi limito a valutare la critica di Francesco come immotivatamente ideologica e ingiustamente rivolta al solo designer, quando è semmai l’intero ecosistema a dover essere criticato.

Poi criticare è facile, ma il software è cosa complessa. Se vogliamo criticarlo, dobbiamo anche proporre delle alternative, come hanno fatto Norman e Tognazzini nell’articolo che ho menzionato. Così come politici incapaci sono lo specchio di una società di persone ignoranti che in fondo meritano di esser governati male e di finire in pasto al populista di turno, come succede in Italia con Grillo, allo stesso modo credo che prodotti mediocri siano il risultato dei gusti mediocri delle persone. Basti vedere dove vanno a mangiare, quali film vanno a vedere, che musica ascoltano.

La critica deve avere dei punti di appiglio. E’ vero, come dice Ted Nelson, ci vengono propinati dei pacchetti, in una situazione di quasi monopolio. Una situazione che io trovo davvero insoddisfacente, per i miei standard personali. Ma proporre nuovi modelli implica una maggior consapevolezza da parte dell’utilizzatore finale, nuovi strumenti per lo sviluppo di software sempre più complessi, una banca dati di design pattern che ad oggi ancora non esiste, non è così semplice. Chi ha soluzioni concrete, si faccia avanti.

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