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Il mio senso di responsabilità

di Giulio Scaccia 18 Giugno 2018

Quante volte sentiamo qualcuno dire: “Non mi assumo responsabilità” o “non voglio avere responsabilità”. Raramente sentiamo e quasi ci commuoviamo quando riecheggia un coraggioso che dice: “E’ mia la responsabilità, ne rispondo io”.

Che significa realmente essere responsabili?

E’ interessante andare alla radice della parola. Essa deriva dal latino respondere, rispondere. Responsabilità è l’abilità di dare risposte, di riconoscere ed accettare che i nostri pensieri, emozioni, atteggiamenti possono produrre determinati risultati.

Essere responsabile di un qualcosa significa rispondere a se stessi o a qualcuno delle proprie azioni e degli esiti ottenuti. Essere responsabile significa avere un legame con gli altri. Essere responsabile significa saper dialogare con se stessi e riconoscere se si dispongono le capacità necessarie per farsi carico di qualcosa e portarlo a compimento. Il tema della responsabilità poi investe in pieno il mondo organizzativo. Abbiamo accennato pocanzi alla non ammissione di errori e ricerca di alibi ed attenuanti generiche, tipo “il capo non mi valorizza”, “questa azienda non fa crescere”, “i colleghi con cui lavoro non sono collaborativi”, “i miei collaboratori non mi danno quello che chiedo”. La prima domanda che si dovrebbe porre chi fa queste affermazioni è, ad esempio, “cosa faccio io per mettermi in evidenza?”, o “come mi pongo di fronte ad una difficoltà?, ed anche “cosa faccio io per supportare chi lavora con me?”.

Spesso poi, si assiste a rimbalzi di competenze, responsabilità ed oneri, con poche persone che provano a forzare la contingenza e cercano opzioni ed azioni diverse, sia come iniziativa individuale, sia in condivisione con altri. La domanda qui sorge spontanea. Quanti sentono il tema della responsabilità verso gli altri, che siano colleghi, collaboratori o clienti, e quanti si pongono davvero in un’ottica collaborativa? Dalla mia osservazione pochi. In quanto risulta più semplice ed immediato generalizzare, cercare alibi o non prendersi in carico nulla che impegni oltre il dovuto e che faccia virare verso comportamenti nuovi e maggiormente impegnativi. Il cambiamento personale, in ambito professionale, significa anche acquisire la consapevolezza di come si manifestino in modo diffuso queste modalità. La sfida è nella ricerca di connessioni, punti di incontro e confronto, momenti di collaborazione e accettazione della diversità, come momento di crescita e contaminazione reciproca, senza cercare alibi ma affrontando tutte le difficoltà che nascono da una vita organizzativa complessa e spesso contraddittoria.

Ritornando al nostro percorso, e focalizzando l’attenzione su di noi, il processo di cambiamento di sé che vogliamo percorrere, implica e richiama una significativa presa di responsabilità.

Inoltre, prendersi in carico una qualsiasi cosa, presuppone anche la possibilità di un fallimento e di un possibile danno all’autostima. Quanto ci sentiamo in grado di farci carico di un cambiamento riguardante la nostra persona?

Il concetto di responsabilità è direttamente collegato all’autostima e all’immagine che ho di me stesso, all’idea che ho delle mie risorse personali per affrontare la mia relazione con il mondo.

Essere responsabili significa migliorare costantemente la qualità di ciò che facciamo attraverso l’assunzione del controllo delle proprie azioni (correndo dei rischi), smantellando la cultura degli alibi. Il focus è su se stessi, sulla volontà di cambiamento e il desiderio di incidere sulla realtà. Occorre capire quale è il limite entro il quale c’è influenza sul contesto esterno e possibilità di modificarlo, ed in questo bisogna tener sempre presenti vincoli e condizioni sulle quali non possiamo esercitare controllo.

Il tema della responsabilità ricorre costantemente in molte delle nostre attività e nelle molteplici fasi della nostra vita, personale e professionale. Ad esempio, quando all’interno di una organizzazione ci viene affidato un progetto, in quel momento ci viene data e ne assumiamo la responsabilità. Questo presuppone che chi ce lo ha affidato, ritiene (o almeno dovrebbe) che noi abbiamo esperienze, competenze e capacità per portarlo a termine. Noi riteniamo a nostra volta di possedere (o almeno dovremmo) le caratteristiche adatte per portare a compimento l’incarico affidatoci. E, oltre a queste, la nostra capacità di immaginare un futuro e andare verso l’ignoto, perché non sappiamo se porteremo a termine le consegne e le attività nei tempi e nei modi previsti.

Un progetto ha un obiettivo che poi diventerà risultato nel momento in cui avremo posto in essere una serie di azioni funzionali al suo raggiungimento (pianificazione ed organizzazione delle attività, esecuzione delle stesse e così via). L’esistenza stessa di un obiettivo presuppone la possibilità di un esito negativo. E l’esito negativo rappresenta un momento di misura per la nostra autostima e l’immagine che abbiamo di noi stessi. Per analogia possiamo estendere questo esempio a qualsiasi progetto di sviluppo ed espansione personale.

Su questo punto possiamo collegare un’ultima riflessione: nella nostra cultura il concetto di responsabilità viene spesso associato a quello di colpa e capita che i due termini siano usati quasi come sinonimi. La realtà non solo è diversa ma addirittura opposta: una persona è tanto più in grado di assumersi delle responsabilità quanto meno ragiona in termini di colpa.

Una persona in preda ai sensi di colpa rimane paralizzata e non compie nessuna azione responsabile; allo stesso tempo chi dà la colpa agli altri si percepisce come vittima e crede che le azioni responsabili dovrebbe farle l’altro per rimediare ai suoi errori. Insomma colpa e responsabilità occupano uno stesso spazio all’interno dell’individuo e l’una può crescere solo nella misura in cui l’altra si riduce.

Da un punto di vista umano e culturale, la colpa ha spesso una valenza di giudizio morale: è quella che ci affligge interiormente e ci fa sentire completamente inadeguati, soprattutto in situazioni nelle quali si è commesso un errore o una mancanza. In realtà, la colpa non è che una sovrastruttura che si traduce in sentimenti ed emozioni vincolanti e punitivi.  E’ un meccanismo culturale con un forte accento di controllo sociale che incide su di noi in maniera spesso subdola. I sentimenti di colpa implicano valutazioni e giudizi rispetto all’inadeguatezza, all’indegnità, all’essere o meno all’altezza della situazione. La responsabilità è invece legata all’agire, e a quello che si genera come conseguenza con la propria azione. Riconoscersi una responsabilità è ben diverso dall’attribuirsi una colpa. Il senso di colpa va espunto prendendosi la responsabilità delle proprie azioni.

Giulio Scaccia

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