BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 10/08/2009

 

BERESHEET LA SHALOM: PARTIRE DALLA FIDUCIA. INTERVISTA AD ANGELICA CALO' LIVNE' (1)

di Maria Grazia Balbiano (2)

Schismogenesi. Così Bateson chiama il processo di allontanamento progressivo che avviene tra le persone quando l'attenzione si concentra e si accumula su ciò che distingue, su ciò che separa, invece che su ciò che costituisce l'interesse comune. In questa differenziazione progressiva la posizioni finiscono per allontanarsi sempre di più, fino a portare al conflitto.  E' lo stesso tipo di meccanismo teorizzato dall'economista israeliano Aumann, i cui studi matematici dimostrano che i giochi cooperativi sono sempre vincenti rispetto a quelli conflittuali.  Perché questi alimentano un circolo vizioso, dove all'aggressione si reagisce con l'aggressione, la violenza genera violenza, in un meccanismo distruttivo per tutti. Come avviene, per esempio, nella guerra tra Israele e Palestina.
I meccanismi cooperativi son un'alternativa più efficace anche nelle organizzazioni: il vantaggio di entrambi gli attori è massimizzato se cooperano, se ognuno contempla nel suo progetto anche il progetto degli altri.
L'adozione del comportamento cooperativo anziché conflittuale in azienda è una caratteristica manageriale più femminile che maschile. Anzi, possiamo dire che questo  è uno dei contributi maggiori che le donne, con il loro stile, hanno portato nel management.
Per questo abbiamo trovato interessante parlare del lavoro portato avanti da una donna, Angelica Calò Livné, che vive e opera proprio in Israele, nel cuore del conflitto (per cui capita che il suo cane si metta a giocare con un pezzo di bomba trovato in giardino).
Angelica lavora per una prospettiva di pace partendo da un lavoro comune tra persone appartenenti alle diverse parti in conflitto. Al di là dei tentativi di teorizzare su questo -proprio come le donne spontaneamente praticano un modello manageriale diverso- Angelica fonda i suoi interventi su una pratica di cooperazione, mostra come può funzionare e dove porta un modello cooperativo.
Al di là dei problemi di imprenditorialità e di organizzazione, che possono essere comuni a molti organismi no profit, questa sembra una specificità in più da cogliere nella sua esperienza (3)

Qualche mese fa arriva una telefonata “Sto cercando di portare qui , in vacanza, un gruppo di cinquanta bambini palestinesi di Gaza, ma mi stanno facendo un sacco di difficoltà” la voce che arriva da skype, è quella di Angelica Edna Calò Livné e quel “qui” sta per l'Alta Galilea nel nord di Israele.
Sono cessati gli ultimi scontri da appena qualche giorno e chi ascolta con logica e pragmatismo a qualche migliaio di chilometri di distanza, non può non pensare che “le difficoltà” siano solo naturali, che sia improbabile che non ci sia più di qualche impedimento, ma non per Angelica, che è abituata a realizzare cose impossibili col suo slancio e questo mix di amabile follia e volontà ferrea.
Lei è l'artefice della Fondazione Beresheet La Shalom ('un inizio per la pace') con la quale cerca di unire ragazzi israeliani di religioni ed etnie diverse attraverso attività teatrali, sportive, culturali e di volontariato: è una donna abituata alle sfide, a cui, proprio per il tipo di attività, non è facile far domande tecniche. Le skill, la preparazione arrivano sino ad un certo punto, poi lasciano lo spazio ad altro.

La tua Fondazione rappresenta una sfida professionale un po' anomala, cosa puoi raccontare?
È una sfida sotto tanti punti di vista: prima di tutto perché sono una donna, che raggiunge i suoi obiettivi attraverso l'educazione e la cultura, e come ben sappiamo il binomio donne e cultura non è tenuto in gran considerazione. Poi perché è una Fondazione che nasce in Israele per educare ebrei e arabi al dialogo e infine perche' non conosco nessuno a livelli politici e istituzionali, per cui è molto difficile realizzare qualunque sogno.

Quindi la tua è un'impresa del bene. Che difficoltà imprenditoriali che hai trovato, dovendoti organizzare e configurare come fondazione? Tu nasci come educatrice e coreografa, quindi con competenze diverse da quelle manageriali, che credo servano in questo caso.
Un regista in un certo senso deve avere delle qualità manageriali ma per dirigere una fondazione a carattere internazionale come è diventata Beresheet LaShalom, servono anche altre competenze: sono stata per più di vent'anni un'insegnante, come mio marito Yehuda. L'idea della fondazione è venuta quando ci siamo resi conto che non potevamo più portare avanti le nostre iniziative restando ad agire a livello personale.
Non potevamo più gestire la situazione: all'inizio avevamo un sostegno operativo del Regional Council per gli spostamenti dei ragazzi  da un villaggio all'altro  finché non hanno più potuto sostenere le spese. Abbiamo dovuto inventarci qualcosa per proseguire: è arrivato come un miracolo il Premio per la pace al femminile di Assisi, che ci e' valso 5.000 euro e con questo prezioso contributo abbiamo creato la Fondazione. L'aiuto e' arrivato da tante persone.
Una economista mia amica americana mi consiglio' di lasciare l'insegnamento e dedicarmi solo alla fondazione. Avevo 280 alunni la settima che aspettavano le mie lezioni. Mi disse : “E' vero, avrai 280 alunni in meno la settimana, ma avrai 5 milioni di persone in più all'anno, che potrai raggiungere con i gli spettacoli che allestisci, con le interviste, con i laboratori, le presenze congressuali ... toccherai molte più persone”. È questo che mi ha dato il coraggio di lasciare tutto dopo venticinque anni.

Hai coinvolto da subito anche tuo marito?
Certamente. E' lui che mi ha incoraggiato ad intraprendere questa grande avventura. Anche  dal punto di visita della coppia è stata una cosa molto speciale. Sono molto inflessibile con me stessa, opero e agisco  a ritmi incredibili e se non ottengo tutto e subito perdo la pazienza e mi demoralizzo, mentre Yehuda è molto più calmo, più solido, possiede uno sguardo che si protrae nel futuro e, con molta pazienza, mi ha guidato. Yehuda ha la facoltà di capire quando il Kibbutz è troppo limitato per un dato progetto e dirige tutti gli sforzi verso istituzioni più vaste. Se il consiglio Regionale non coopera si va più in alto, fino ad arrivare alla Casa del Presidente. E così sogno dopo sogno abbiamo realizzato tutto ciò che ci eravamo prefissati.

Quindi ci sono state nel percorso delle persone chiave: l'economist, tuo marito e chi altri?
A parte i miei genitori, sempre presenti con il loro senso del commercio e la loro
creatività,  Yoel Hirshberg, uno dei primi pionieri fondatori del kibbuz: americano, oggi ottantaduenne, mi ha sempre dato la forza di continuare. Yoel è una delle persone che attraverso la loro esperienza mi hanno fatto capire che le cose non possono avvenire dall'oggi al domani, fatica e perseveranza portano al successo e alla realizzazione.
Uno dei primi amici che hanno ventilato l'idea della creazione di una fondazione é Luciano Assin, arrivato in Kibbuz come me dall'Italia, che ci ha incoraggiato e sostenuto affinché Beresheet LaShalom prendesse vita. Anche lui si é appassionato dal primo momento ai contenuti e al messaggio. A livello legale, per creare una Fondazione, in Israele, servono cinque persone, dei testimoni che firmino.

Tu hai trovato le persone con le giuste capacità per farne parte?
Senza dubbio: le persone giuste al momento giusto. Era venuto  a trovarci un amico di Roma, Sandro di Porto, che abita a Gerusalemme, che ci raccontò di come aveva preso  parte alla creazione  di alcune fondazioni, come la Dante Alighieri. Ha accettato la nostra richiesta di aiuto ed è diventato il nostro amministratore delegato, coinvolgendo un altro  amico milanese, Beniamino Lazar, che è diventato il nostro legale. Ti accorgi che le cose avvengono e tu fai quasi parte di un disegno.

Tu invece come competenze tue prima insegnante, poi responsabile di una fondazione, cosa è cambiato? Cosa hai dovuto imparare? Quale è diventato il tuo stile nel gestire quest'attività?
Quando fai regia  nel team, c'è chi fa i costumi, chi la scenografia, chi la musica ... ecco la cosa più difficile, il problema maggiore, è creare un team. Fino ad oggi l'amministratore e l'avvocato della fondazione lavorano gratis, a me piacerebbe creare un team a cui possa riconoscere un contributo, perché molte delle cose le faccio ancora da sola e incontro delle grandi difficoltà. Ognuno di noi conosce i suoi limiti e i campi in cui eccelle. Io so che oggi attraverso i miei metodi di educazione al dialogo posso aggregare qualunque tipo di persone con diversità generazionali, di cultura, di lingua.
Nei miei laboratori, i partecipanti dopo poche ore imparano già a conoscersi e a sentirsi a proprio agio. Però preparare ogni mese le note, le buste paga, anche se molto simboliche perché molti sono volontari, oppure occuparmi degli aspetti legali,  di permessi e contributi, mi è estremamente difficile. Vorrei avere la possibilità  di assumere qualcuno che facesse le cose  professionalmente e sul serio. Per concentrarmi sulla mia attività. Io vorrei essere l'anima di questa fondazione, il direttore artistico e pedagogico, il ruolo amministrativo non fa per me.

Per la tua attività tu metti insieme persone, soprattutto giovani di etnie e religioni diverse, di estrazioni sociali diverse. Cosa tramuta questi individui in  un vero gruppo affiatato come quello che vediamo  con le performance  del Teatro Arcobaleno?
Penso che appena qualcuno ha un primo approccio con Beresheet LaShalom, con il teatro, con i ragazzi con le storie che raccontiamo, che sono davvero appassionanti, viene coinvolto emotivamente. Ogni essere umano reca in sé il bisogno di dare. Puoi essere il più grande miliardario del mondo, il più grande manager, ma la vera gioia si conquista vedendo che hai reso felice un altro.  Basta una cosa piccola, ma qualcosa che sai che hai dato di tuo. Io ho avuto la grande fortuna di potermi dedicare a un'opera come Beresheet LaShalom. Forse  le mie energie scaturiscono da ciò che ricevo in cambio, dalla gioia che vedo, che sento nelle persone, nei ragazzi con i quali lavoro: questa è la vera felicità a mio giudizio.
Una volta ho partecipato ad un corso di un rappresentante del Dalai Lama. Nella sala c'erano più di 300 persone e lui ha voluto darci un esempio della loro filosofia : “Chiudete gli occhi e pensate a questa ultima settimana. Cercate di ricordare una situazione  in cui per merito vostro si e' disegnato un sorriso sul volto di un'altra persona. Anche un gesto semplice. Pensate a cosa vi suscita...”. Eravamo tutti con gli occhi chiusi a pensare. Ho sbirciato un po' intorno a me: ognuno sorrideva soddisfatto. Alla fine è questa la vera gioia. Durante la seconda guerra tra Libano e Israele, mentre ci volavano  i missili sul capo e avevo due figli nell'esercito, il Signore mi ha dato una straordinaria possibilità di prendermi cura di 1200 persone che erano fuggite da casa. Occupandomi di loro non ho pensato al pericolo e ai disagi.

Parliamo dei tuoi ragazzi. Come li coinvolgi, per trasmettergli il tuo messaggio, hai un percorso formativo,  un metodo per aiutarli?
Prima di tutto parto da un presupposto: desidero profondamente che quando escono dal nostro incontro si sentano bene, più allegri, più leggeri, carichi di energie.  Parto con qualcosa che possa aggregarli, iniziamo sempre con la lingua universale della musica. Noi la chiamiamo riscaldamento. Per abituarsi a comunicare in un altro modo, comune. Preparo sempre un argomento, ma spesso mi accorgo che i ragazzi vogliono parlare di qualcosa d'altro e quindi dirotto tutto verso l'argomento che sento è importante per loro affrontare quel giorno. Anche quando presento i laboratori  per insegnanti o per manager cerco di creare le condizioni in cui si sentano al sicuro, protetti l'uno nei confronti dell'altro sia dal punto di vista fisico che psicologico.  Partendo dal movimento, da movimenti semplici che danno la possibilità di sentirsi bene con se stessi, si crea una situazione di rilassamento e di fiducia l'uno nell'altro e da qui si parte con i diversi argomenti. Poi uso l'improvvisazione, perché l'improvvisazione viene da dentro. I partecipanti sanno che non c'è giusto o sbagliato: qualsiasi cosa è giusta, perché nasce da loro, tutto ciò che scaturisce dal loro incontro, dall'incontro con se stessi,  é una scoperta per loro e per il gruppo.
Quando scelsi il master di Educazione attraverso le arti chiesi ad una delle  insegnanti se avevo fatto la scelta giusta. Avevo la sensazione che gli studenti di Dramatherapy fossero più considerati professionalmente, e lei mi rispose  “Sei esattamente al posto giusto, perché la Drama Therapy cura attraverso l'arte e la psicologia, mentre con l'educazione attraverso le arti tu porterai alla luce le caratteristiche che molte persone hanno già dentro di sé, ma che non avevano mai scoperto”. Attraverso le mie lezioni molti scoprono un mondo sconosciuto della loro anima e imparano a cantare, a danzare, scoprono un repertorio nuovo di personaggi dentro di sé e acquistano fiducia in se stessi, più coraggio di parlare agli altri e vivere nella comunità.

Allora ora viriamo ed esploriamo un altro fronte anche noi. Abbiamo parlato delle persone che ti hanno aiutato a creare la Fondazione, dei ragazzi con cui lavori con le tue attività, ora parliamo degli esterni. I sostenitori,  anche economici,  i partner, quelli che sono i tuoi stakeholders, che rapporto hai con loro, sono sufficienti per sostenere la tua attività?
Devo dire che le prime persone che mi hanno aiutato sono donne. Donne imprenditrici che hanno veramente visto con grande affetto quello che faccio, loro si occupavano soprattutto di economia, di grande industria: hanno saputo cogliere  qualcosa che avevano nel cuore loro stesse. Come Susan Bondi, economista americana, Marina Salomon, imprenditrice, donne super, loro mi hanno aiutato fisicamente con dei primi finanziamenti per andare avanti come Fondazione. Poi siamo riusciti a diventare autonomi perché abbiamo iniziato con gli spettacoli, per cui riceviamo un contributo, e gli articoli che scrivo, i gettoni di presenza ai convegni: questo ci aiuta a finanziare i progetti educativi di Beresheet LaShalom.
Un altro prezioso aiuto lo abbiamo ricevuto da grandissimi professionisti, grandi esperti nel loro campo che si innamorano del sogno e vogliono contribuire in qualche modo. Come Belinda Hollander che ha creato tutti  i nostri siti web, o un'amica che ci cuce i costumi, o Franco Calò che ci ha messo in contatto con decine di persone, istituzioni, centri per la Pace. Luigi Amicone che per primo ha pubblicato i miei pezzi sulla rivista settimanale Tempi. Questo è ciò che manda avanti oggi i nostri progetti.

Cosa mancherebbe ancora?
Il mio sogno a occhi aperti è  un'istituzione, una banca che ci desse un contributo annuale più certo per le esigenze di base. Un Lorenzo De' Medici, sensibile all'arte, all'educazione, alla multiculturalità, che ci desse la sicurezza della sopravvivenza. Mi preoccupo molto dei pagamenti. Se fossi più tranquilla potrei dedicarmi ai contenuti, a nuovi progetti e attività, a diffondere il messaggio in mille modi creativi diversi. Farei volentieri  anche dei laboratori gratuitamente, ma oggi ho bisogno di ogni più piccolo contributo per poter  mandare avanti la fondazione. Per poter finanziare il progetto Volontari del Monte Meron, per creare il Centro Ecologico per la pace.
E mi manca un fund raiser.

Per chiudere il cerchio e proiettare Beresheet verso il futuro: oggi tu e tuo marito siete creatori e anima di questa Fondazione, ma come la vedi fra vent'anni, stai coltivando i futuri eredi? Chi possa prenderne le redini?
Io spero che i ragazzi, in particolare quelli di loro che studieranno teatro, economia e cultura all'università, vogliano tornare. In realtà il primo problema l'ho avuto proprio di recente. C'è una ragazza che ha finito gli studi e vorrebbe tornare a lavorare con noi. Ci ha anche aiutato tanto per la realizzazione del Concerto della Riconciliazione, tenutosi in Terra Santa in onore della visita del Papa, a cui noi abbiamo preso parte. Ma vuole un salario, che io non posso permettermi. Anche se non è alto, non posso ancora permettermelo. Lei è bravissima, poteva essere un primo tassello per il futuro. Avrei voluto averla come assistente.
Sto rinunciando a queste cose che sono importanti, ma non posso fare altrimenti per ora.

Le persone, le risorse, le competenze, sfruttare al meglio i propri talenti e poter delegare ad altri i ruoli in cui si è meno bravi: sono senz'altro problematiche trasversali che ben conosciamo tutti, imprenditori, uomini di azienda, manager. Quando poi l’obiettivo da raggiungere è così alto, come la pace in Medio Oriente, ci vuole anche un network che contagi. Un marketing del passaparola per dirla in gergo, che sostenga lo sforzo come risposta etica della comunità. Una Fondazione è per tutti e di tutti. L'augurio è che Angelica, la donna che fa miracoli, trovi soldi e persone per continuare  il suo lavoro.  Che è sopratutto un esempio di come la pace si possa costruire, ognuno nel proprio piccolo quotidiano.


1 - D’origine romana, a vent’anni scelse di andare a vivere in Israele in un kibbutz ai confini col Libano. Sposata con Yehuda Calò Livné, che condivide con lei il lavoro nella Fondazione, è madre di quattro figli. Per la sua attività ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti:  'Premio Internazionale Donne che Educano alla Pace' di Alghero nel 2003, Premio per la Pace al Femminile di Assisi nel 2004, candidatura al Premio Nobel per la Pace 2006, onorificenza dell'Ordine della Stella della Solidarietà Italiana con il titolo di Cavaliere conferitole dall'Ambasciatore d'Italia in Israele nel 2007, premio per il miglior progetto di solidarietà Takunda nel 2008.

2 - Professionista della comunicazione integrata e relazione con i media, lavora da circa 15 anni al servizio di aziende e manifestazioni di carattere nazionale e internazionale.  Risiede e lavora a Torino. Laureata in Magistero, ha integrato le proprie competenze con un corso biennale presso la Carlo Chiavazza in Giornalismo e Relazioni Pubbliche. Collabora a titolo personale con la Fondazione Beresheet La Shalom. mariagrazia.balbiano@fastwebnet.it

3 - Questa intervista è già apparsa su Persone & Conoscenze, 50, giugno 2009.

Pagina precedente

Indice dei contributi