ALL'APPARENZA
Questo terzo millennio ha il sigillo della
non persistenza. L’ho visto nel 1994 quando sono entrato in una
rampante web agency di New York piena di ragazzotti ambosex e ho scoperto
internet. Ma ho capito cosa vuol dire non persistenza qualche tempo dopo,
studiando l’architettura dei primi siti e leggendo le regole di
Jacob Nielsen che riesce a farsi pagare 10.000 dollari al giorno per snocciolarle
a consessi di top manager ipnotizzati.
Certo, il messaggio elettronico è volatile, metterlo in archivio
è una forzatura alla sua natura digitale. Ma la non persistenza
è un’altra cosa, sono le aziende spesso concorrenti che decidono
di mettersi insieme per fare uno specifico business e poi, chiusa la pratica,
tornano a muoversi separatamente e forse a combattersi più di prima.
La non persistenza è impegnarsi in un progetto in un Paese mentre
nel resto del mondo ci si occupa magari di tutt’altro; e hanno una
motivazione non persistente gli imprenditori che invece di comprare aziende
per produrre cercano di conquistarle per pura speculazione finanziaria
e disfarsene appena si presenta l’occasione lucrativa.
Un’azienda, una fabbrica, quanto di più solido, stabile,
radicato potessimo immaginare è diventata volatile come la realtà
virtuale. Mentre ci sono Marchi centenari che sopravvivono e prosperano,
vediamo brand costruite con investimenti pubblicitari colossali che spariscono,
si accorpano, falliscono o cambiano nome e logo con una disinvoltura che
sgomenta, dilapidando un capitale di notorietà. Per tutti, vedi
Omnitel sopraffatto e cancellato da Vodafone.
Ma il primato della non persistenza spetta ai media. Un file elettronico
rimpiazza il CD, una smart card sostituisce la fotografia, il videoregistratore
immagazzina la partita e su un DVD ci stanno tutte i match delle finali
di calcio o tutti i lemmi della lingua italiana.
L’imperativo è consumare in continuazione, tutto e subito,
non i beni di cui abbiamo bisogno ma specialmente le cose superflue, ché
altrimenti l’economia si ferma e diventiamo tutti più poveri.
E così tutto deve essere rigorosamente transitorio, cancellabile
e riscrivibile, sostituibile senza lasciare tracce, per far posto alle
nuove inutilità, prodotte con il falso alibi dello sviluppo sostenibile
e dell’aumento del PIL.
Tutto in nome dell’apparenza, perché la sostanza ha il difetto
di durare. L’apparenza, non persistente per definizione, sta diventando
durevole come la sostanza. E la sostanza?
Be’, ne facciamo a meno.