BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 17/05/2004

I PRINCIPI NON CONTABILI DI BILANCIO E LA NON COMUNICAZIONE DELL'ETICA AZIENDALE

di Cesare Carbonchi

C’è qualcosa che non va in troppe prese di posizione sulla vicenda dei bilanci truccati e sull’idea di promuovere finalmente una nuova via ai bilanci, come con il bilancio sociale ed il bilancio etico.
La considerazione di fondo è che (nel caso Parmalat come nei casi paralleli di Giacomelli e varie altre situazioni del Nuovo Mercato) i problemi siano stati dovuti al fatto che l’imprenditore si è comportato da bandito ed i meccanismi di controllo (per inefficienza o negligenza) non hanno controllato. Vero, ma non è questo il problema.

Che qualcuno abbia agito da pirata è evidente ma anche consolante: noi tutti, che siamo persone per bene, siamo diversi. Noi no, noi applichiamo scrupolosamente i principi contabili IAS / IFRS / IASB / US GAAP / GDS secondo Best Practice, noi non facciamo queste cose! (certo lasciamo in bilancio qualche vecchio credito che non incasseremo mai perché se lo togliamo emerge che quest’anno siamo in perdita, il reddito che dichiariamo al fisco non è sempre proprio quello giusto, ma sono poca cosa, banalità fatte in un ambito casereccio, di poco valore). Il senso etico è come ogni altra cosa e quindi lo misuriamo a soldi: quando entriamo nell’ombra nera del non etico, ad un milione di lire, ad un milione di euro, ad un miliardo di euro?
Che nei casi citati i meccanismi di controllo non abbiano funzionato a dovere è pure cosa evidente: qui s’impone una riforma degli organismi di sorveglianza e delle modalità di effettuazione dei controlli. Cose tecniche, che con adeguate risorse si mettono a punto. Se lo strumento non funziona lo cambio, è colpa dello strumento inadeguato, non certo del mio modo di lavorare, non certo del mio essere ed agire.

E’ infine pure evidente che i bilanci non rappresentano tutta un insieme di informazioni che tutti noi riteniamo oggi importanti: sull’ambiente, sullo sfruttamento del lavoro e delle risorse, sui rapporti con la comunità nella quale l’azienda opera, con tutte le parti coinvolte nell’attività aziendale anche se non sono i suoi soci o dipendenti. Serve allora un nuovo strumento informativo da affiancare al bilancio per integrarlo ed arricchirlo. Aspetto tecnico che un apposito gruppo di lavoro interdisciplinare sa sicuramente mettere a punto, anzi lo ha già fatto. L’importante nel mondo attuale sembra essere solo la costruzione di una adeguata procedura amministrativa e tecnologica, una liturgia che soddisfi il nostro (debole) desiderio di etica.

Personalmente prenderei una buona parte della recente pubblicistica su bilanci etici e sociali e dintorni e la collocherei in uno dei vari recipienti colorati che il comune ci mette a disposizione per la raccolta differenziata dei rifiuti. Poi proverei a fare (farmi) una domanda: a qualcuno interessa agire in modo etico? o importa solo la rappresentazione, la comunicazione di un’immagine diversa di business, che possa piacere ai rinati principi religiosi piuttosto che o a un lontano passato con l’eskimo? E se quello che conta fosse invece l’agire e non l’immagine, quali sarebbero i veri “principi non-contabili” da adottare e da “non-comunicare”? Prima di scegliere gli strumenti chiediamoci quale lavoro deve essere fatto. A mio avviso si può gestire un giornale pornografico in modo etico come si può gestire un albergo per anziani in modo non etico, si può pubblicare un bilancio tradizionale corretto e veritiero oppure pubblicare un bilancio sociale falso. Quello che conta è cosa sta a monte, prima della codifica, prima della rappresentazione (che possono solo distorcere e togliere, ma non aggiungono) prima che intervengano i tecnici (io sono un tecnico, so cosa siamo capaci di fare).

Serve un codice etico ed una persona in azienda sufficientemente autorevole da imporlo. Un consigliere di amministrazione, ad esempio. Un independent director che faccia proprio il codice etico e possa testimoniare dentro l’azienda cosa fare e come farlo e che, possibilmente, lo comunichi all’esterno il meno possibile, quando è veramente certo di quello che succede, o meglio ancora, non lo comunichi affatto. Perché nel mondo della comunicazione l’unico modo (etico) per farsi notare è ormai quello di stare zitti.

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