ANALISI DEI FABBISOGNI DELLA FORMAZIONE IN ITALIA
La formazione, così
come tutti la conoscono, è un processo che accompagna i dipendenti delle
aziende, ma anche i singoli cittadini, verso quegli obiettivi di crescita professionale
indispensabili per rimanere sul mercato del lavoro e magari giocarci un ruolo
importante.
Concepita in tutte le sue oramai innumerevoli manifestazioni, cioè nelle
sue diverse articolazioni metodologiche, si pone come quel fenomeno organizzativo
che più di altri arricchisce il patrimonio umano di un ente economico.
Seguendo uno schema di classificazione generale suddivido in formazione professionale e formazione manageriale si può articolare una prima suddivisione sui contenuti. Alla prima categoria si legano tutte le iniziative di formazione che producono sapere e nuove professionalità per attività con contenuti di responsabilità concentrati sulle risorse materiali. Alla seconda appartengono quegli interventi con contenuti di responsabilità gestionali concentrati nei rapporti fra persone, in funzione del loro controllo e della loro guida.
Semplificando si può
dividere in formazione tesa ad apprendere un mestiere e formazione tesa a dirigere
un gruppo di lavoratori.
Da qui nascono necessariamente due indirizzi gestionali che caratterizzano la
formazione.
Gestire la formazione manageriale significa intervenire sul clima aziendale,
sulla organizzazione dei processi e sulla articolazione operativa del management.
Di conseguenza l'intervento è demandato a agenzie che gestiscono processi
consulenziali a livello dirigenziale, allacciando contenuti anche diversi. In
pratica la formazione diviene spesso uno strumento per risolvere problemi all'interno
di strategie già consolidate e con obiettivi anche diversi. La formazione
manageriale inserita in processi di consulenza su tematiche legate a processi
di ristrutturazione, sviluppo di nuove strategie, apertura di nuovi business,
nuovi mercati, ecc.
Come strumento di processi più ampi la formazione si caratterizza per approcci interdisciplinari che accompagnano lo sviluppo dell'azienda e delle persone.
Seguendo la linea della formazione professionale invece la caratterizzazione sui contenuti diventa più evidente e l'approccio si lega al processo materiale di produzione o erogazione di un servizio.
La formazione in questo senso è caratteristica funzionale di un "momento" del processo economico del business specifico: si insegna ad utilizzare un nuovo programma informatico, ad utilizzare un nuovo macchinario, ecc.
In questo schema gestionale
la formazione assume il ruolo di pratica professionale su specifici aspetti
del processo.
Per quanto attiene l'erogazione della formazione manageriale e professionale
la situazione in essere nel mercato nazionale suddivide fra società di
consulenza che erogano interventi all'interno dei quali c'è anche la
formazione e agenzie che formano i livelli aziendali più bassi sui contenuti
delle professioni più comuni, sarebbe meglio dire del mestiere.
Le risorse economiche
per la funzionalità del sistema vengono reperite attraverso la corresponsione
di compensi a giornate/uomo da aperte dei committenti nei confronti dei consulenti
e attraverso risorse reperite nel settore pubblico per l'erogazione di formazione
professionale.
In via generale la formazione manageriale vive sui bisogni delle aziende che
se la pagano di tasca, mentre la formazione professionale vive con il ricorso
a sistemi di finanziamento pubblico legati a fondi diversi a seconda del territorio
di riferimento, della situazione occupazione e delle caratteristiche ambientali.
Si intuisce che la formazione scolastica, erogata dagli istituti professionali, è parte integrante della formazione professionale finanziata attraverso il ricorso al budget pubblico.
Naturalmente nel sistema
esistono e si perpetuano inquinamenti e contaminazioni che provocano forme spurie
di intervento a metà fra le modalità gestionali della formazione
manageriale e professionale. Mi riferisco agli interventi di sviluppo manageriale
che si finanziano con il ricorso alle stesse risorse che coprono i fabbisogni
di formazione professionale. Per esempio la società di consulenza che
ottiene finanziamenti pubblici destinati alla formazione professionale per erogare
interventi di sviluppo manageriale, a loro volta contenuti in progetti più
ampi stabiliti con il committente.
La cosiddetta contaminazione fra uno e l'altro approccio caratterizza spesso
situazioni di incompatibilità gestionale fra forme che di per se esigono
una assoluta flessibilità e modelli gestionali centrati invece su sistemi
di controllo e programmazione legati a logiche diverse.
Se da un lato si cerca di intervenire con misure mirate, brevi e circoscritte dall'altro, spesso le esigenze di programmazione pubblica incidono in maniera determinante sulla progettazione, tanto da rendere vane le intenzioni di efficienza dell'intervento.
D'altra parte pensare
che la formazione finanziata dal settore pubblico si concluda solo con gli interventi
destinati ad addestrare la manodopera, in un sistema produttivo, fra l'altro,
ormai poco incline ad un addestramento standardizzato, non qualifica il sistema
ne lo rende funzionale.
La formazione post fordista, tanto per usare una definizione concettualmente
condivisibile da molti, non può limitarsi all'addestramento standard
su specifiche mansioni isolate. Deve per forsa tener conto di una articolazione
produttiva trasversale dovuta al massiccio ricorso a tecnologie che un ventennio
fa erano lontane da venire impiegate.
Un discorso inversamente
proporzionale si può fare per la formazione manageriale. Quanto e quali
cambiamenti ha imposto la gestione con i PC? Sembra, a questo punto, che una
sorta di standardizzazione investa invece il percorso gestionale, attraverso
software che più di prima, pianificano, analizzano, suggeriscono comportamenti
spesso uguali fra gli atri della direzione.
Gli strumenti di finanziamento della formazione manageriale e professionale,
in questo contesto, sono discutibili, o perlomeno oggetto di un forte investimento
in termini di rielaborazione dei modelli di approccio.
A titolo solamente esplorativo propongo di articolare un modello che da un lato finanzi la formazione manageriale con risorse in parte pubbliche ma soprattutto si avvalga dell'autofinanziamento, educando le aziende ad investire in formazione, dall'altro finanzi la formazione professionale con il ricorso esclusivo al sistema di finanza pubblico, in contemporanea e non in concorrenza con la scuola, attraverso un sistema stabile.
In concreto la formazione manageriale deve essere sponsorizzata dalle aziende con interventi costruiti con il ricorso alle società di consulenza che, suggerisco, dovrebbero avere una sorta di accreditamento per erogare oltre alla consulenza anche la formazione. In questo caso sarebbe auspicabile un sistema di certificazione delle competenze dei formatori che metta in chiaro le professionalità per una corretta erogazione didattica.
Il settore pubblico potrebbe intervenire con un sistema di voucher che finanzi la formazione manageriale centrata sui contenuti standard: uso dei programmi gestionali, uso della rete, leadership, autostima, ecc. Il sistema dei voucher sarebbe tarato solo sul finanziamento di un massimo di ore e pagherebbe solo la docenza, lasciando gravare gli altri costi sull'azienda. In questa maniera sarebbe possibile il ricorso ad una sorta di metodologia di tutoring anche per gruppi piccolissimi di dirigenti.
Discorso diverso per
la formazione professionale. Prima di tutto un chiaro e lineare percorso formativo
attraverso la scuola. Indirizzi di specializzazione professionale nelle scuole
superiori che tengano conto della realtà produttiva locale. Scuole così
ci sono, devono specializzarsi ancora ed evitare di invadere altri campi. L'abolizione
della famigerata terza area, perché la scuola formi ragazzi che di anno
in anno possono trovare percorsi lineari e ripetibili. La terza area, che non
è altro che un progetto sviluppato ad hoc di anno in anno, non consente
di programmare un futuro professionale, serve solo a far svolgere più
ore della stessa materia agli stessi docenti.
Agganciare in alternativa un sistema della formazione professionale che si pongo
come quell'anello di congiunzione fra scuola e lavoro effettivamente funzionante.
In questo approccio vedrei bene la certificazione di enti di formazione professionali con criteri di strutturazione, capacità progettuale, attrezzature, ecc.
Tali agenzie, poche
e differenti in ogni realtà territoriale, dovrebbero programmare percorsi
di formazione perlomeno quinquennali e non annuali come avviene ora. Il sistema
pubblico dovrebbe avere la forza di procedere alla qualificazione delle agenzie
garantendo una sopravvivenza di breve periodo (ripeto quinquennale) che portino
avanti una programmazione formativa omogenea alla struttura produttiva della
zona.
Capisco le problematiche legate alla erogazione dei fondi del Fondo sociale
Europeo, ma le Regioni, che programmano la sua erogazione devono per prima cosa
cercare di costruire un percorso logico e ripetibile, autogenerante per complicare
un po', e non rimanere vincolate a programmazioni annuali con priorità
e obiettivi diversi di anno in anno. Come poi si possa pensare che gli obiettivi
formativi di una Regione siano diversi dal 2000 al 2001 è assolutamente
inconcepibile.
Qui legherei il discorso delle Università. Facciano ricerca sui fabbisogni, per aiutare le Regioni a programmare. Facciano pure l'ente di alta formazione ma soprattutto affianchino il sistema compenetrandolo con analisi, elaborazioni e tutto quello che serve per dire: questo è un sistema, proviamo a vedere come funziona.
Probabilmente aprirebbero anche le porte della ricerca, così bistrattata in Italia, a valenti giovani pronti a cimentarsi con indici e analisi qualitative. Perché con la ricerca si cresce e si può sapere quello che si vuol fare.
Bibliografia
ISFOL "Formazione e occupazione in Italia e in Europa. Rapporto 2000". Franco Angeli, Milano 2001.
ISFOL "La rilevazione dei fabbisogni professionali e formativi nelle regioni italiane". Franco Angeli, Milano 2001.
M. Palombo (a cura di) "Valutazione 2000", Franco Angeli, Milano 2001.