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Pubblicato in data: 08/07/2002

Approcci diversi al Mercato del lavoro fra economia e sociologia

di Emanuele Fontana

Parlare di Mercato del lavoro significa comunemente parlare dei meccanismi che presiedono e regolano l'incontro tra occupazione possibile (posti di lavoro disponibili) e persone in cerca di occupazione, e che determinano il livello del salario, in pratica dunque il confronto fra offerta e domanda. Questa visione un po’ stereotipata  della concezione del mercato del lavoro  è tuttavia quella che ha dominato fino alla fine del '900, pur se ormai da venti anni (soprattutto negli Stati Uniti) se ne è messa in discussione la validità o la concretezza. Tuttavia il concetto "astratto" del mercato del lavoro così come l'abbiamo appena definito, ha strutturato le ricerche e le teorie su di  esso e continua ancora oggi ad essere presente nella accezione comune. Vale la pena, dunque, di passare in rassegna rapidamente quali sono gli aspetti teorici che ne hanno caratterizzato lo studio  fino ad oggi, distinguendo da subito due approcci fondamentali quello economico e quello sociologico.

Gli studi sul mercato del lavoro sono da sempre stati caratterizzati da approcci differenti a seconda che le ricerche fossero più marcatamente sociologiche o economiche. L'economia vanta in realtà una sorta di "diritto di primogenitura" rispetto alle analisi sul mercato del lavoro, tuttavia, almeno a partire dagli anni '90 del '900, soprattutto in Gran Bretagna e Stati Uniti, si è assistito ad un avvicinamento delle due discipline che spesso hanno lavorato affiancate dando luogo ad approcci interdisciplinari. Pur non entrando nel dettaglio, si possono ricordare a questo proposito, per quanto riguarda la Gran Bretagna,  gli studi di Fevre (1992) che parla di una "sociologia dei mercati del lavoro" e, per gli Stati Uniti, di Granovetter e Swedberg (1992) i cui lavori si collocano in quell'ambito di ricerche definito new economic sociology, nonché i numerosi autori che hanno, fin dagli anni '80, fatto riferimento ad approcci di carattere interdisciplinare come Berger, Piore e Sabel, questi ultimi molto noti anche in Italia per i loro studi sulla "seconda via" dello sviluppo industriale e sui distretti industriali.Per quanto riguarda il nostro paese, gli studi sul mercato del lavoro non possono prescindere da Massimo Paci (1973) che ha analizzato il mercato del lavoro nel suo complesso, e dai contributi che nel corso degli ultimi due decenni sono venuti da numerosi sociologi i quali, tuttavia, hanno soprattutto indagato temi particolari, anche se centrali al problema, quali la disoccupazione (Accornero), il doppio lavoro (Gallino), la dimensione "localistica" dei mercati del lavoro (Bagnasco), la questione femminile (Saraceno), fino agli studi di Reyneri (1996), che per primo ha affrontato il problema in una ottica di comparazione con la situazione europea, partendo dal punto di vista che il mercato del lavoro è oggi parte di una realtà più complessa di quelle nazionali, le quali tuttavia presentano pur sempre Istituzioni sociali ed economiche differenziate che derivano da culture diverse

In sostanza, quindi, dal punto di vista teorico, il mercato del lavoro è oggi una "terra di confine" fra economia e sociologia su cui raramente i metodi di indagine e gli approcci teorici riescono ad interagire anche se spesso esiste una larga sovrapposizione dei temi delle ricerche e tutti concordano che questo ambito produce implicazioni politiche e sociali.

Esiste ancora, in ogni modo, una differenziazione di base per cui gli economisti, come afferma Reyneri (1996, 14) "pongono maggiore attenzione ai rapporti del mercato del lavoro con gli altri mercati e alla domanda di lavoro, mentre i sociologi preferiscono affrontare quelli con il sistema sociale e politico e l'offerta di lavoro". Inoltre, sul piano del metodo e degli strumenti di indagine, c'è una propensione degli economisti a privilegiare analisi di tipo quantitativo e a costruire modelli  interpretativi che derivano da dati istituzionali (ad esempio l'Istat per l'Italia), mentre i sociologi preferiscono utilizzare questi dati come "sfondo", su cui costruire indagini "mirate" e raccogliere direttamente i dati, per cui il dato viene "costruito e guidato" dalle ipotesi della ricerca Le differenze fra i due approcci, comunque, da un punto di vista sostanziale, non risiedono tanto nel campo specifico di indagine o nei metodi, quanto nei meccanismi e nelle cause con cui gli uni e gli altri spiegano "come funziona" il mercato del lavoro. Da questo punto di vista le differenze sono tutt'ora forti e per evidenziarle ci si può rifare allo schema ormai classico di  England e Farkas (1988), secondo cui gli assunti di base dell'approccio degli economisti neoclassici  al mercato del lavoro vanno individuati in cinque punti:

Ø        le persone si comportano sulla base di scelte razionali che tendono a "massimizzare l'utilità", pur se in una società complessa come quella odierna le informazioni di cui essi dispongono non sono complete;

Ø        la massimizzazione dell'utilità va collegata sostanzialmente con la massimizzazione del salario, che quindi diventa l'indicatore primario della scelta di un posto di lavoro rispetto ad un altro. Sappiamo in realtà che in questo processo di scelta entrano anche altri obiettivi e che alcuni di questi non sono monetizzabili, tuttavia l'approccio quantitativo rispetto a quello qualitativo porta "naturalmente" a privilegiare un modello di riferimento in cui le scelte non monetizzabili rappresentano lo scostamento non prevedibile;

Ø        i modelli interpretativi dei comportamenti non possono che considerare le preferenze non contemplate come scelte "autonome", "individuali", e non influenzate dalle culture dei gruppi di riferimento, dalle reti sociali e da quelle di potere,  quindi possono essere interpretate solo qualitativamente (dai sociologi ?)

Ø        il mercato del lavoro è visto in un'ottica di concorrenza e di equilibrio, essendo domanda ed offerta equilibrate dal gioco dei prezzi;

Ø        lo scambio economico è paritario, poiché lavoratori e datori di lavoro sono elementi neutrali nel gioco del mercato e la loro relazione è dunque, in questa ottica, puramente economica e non di potere;

Il punto di vista della sociologia è meno categorizzabile in modo uniforme poiché non esiste un unico paradigma teorico di riferimento, tuttavia England e Farkas individuano tre assunti condivisi:

Ø        le persone non possono essere viste come degli ottimizzatori atomistici, individuali,  poiché ogni individuo per la sociologia va visto in un contesto di reti e relazioni sociali che si strutturano in gruppi. Esiste una forte categorizzazione fra gruppi diversi che sono solidali al loro interno, poiché portatori di interessi, posizioni e valori diversi. I comportamenti e le preferenze degli individui quindi vanno "lette" a seconda della loro collocazione nella struttura sociale;

Ø        il mercato del lavoro non può essere che una componente della società e, dunque, è portatore delle sue disuguaglianze e dei rapporti di potere che esistono al suo interno;

Ø        la spinta ad agire degli individui non può essere riconducibile a sole motivazioni economiche, anche quando l'azione è rivolta a questioni economiche come quelle collegate con il mercato del lavoro. Su questo, già Weber aveva individuato un "agire dotato di senso", quindi razionale,  delle persone nelle loro interazioni con gli altri, interazioni che coinvolgevano non soltanto interessi economici ma anche ricerca di stabilità, status, potere.

Accanto a questi assunti di base condivisi dalla maggioranza delle scuole di pensiero, si deve collocare un approccio microsociologico, soprattutto di scuola americana, che pone l'accento sulla razionalità "pura" delle azioni umane, pur tenendo conto che la teoria dello scambio in sociologia ammette sia il confronto tra utilità personali e quindi le differenze di potere fra individui, sia il fatto che non sempre le persone agiscono in termini di razionalità "pura" in quanto valori e preferenze possono rimanere a guidare le loro scelte anche a fronte di un cambiamento di scenari e situazioni. C'è da questo punto di vista una costruzione "sociale" della realtà per cui sono gli individui che creano e negoziano simboli e situazioni, contribuendo a definire stili di vita, identità sociali e di gruppo, e quindi sono costantemente degli "attori creativi" non meri soggetti che interpretano passivamente i ruoli imposti dalla società in cui si muovono.

Una interpretazione più europea e macrosociologica,  pone invece in rilievo i vincoli  sociali che il mercato del lavoro impone, per cui l'individuo non è in grado di scegliere liberamente, in quanto i suoi comportamenti sono fortemente determinati dai sistemi economici e sociali in cui  vive, che strutturano anche le sue preferenze e le sue scelte. In questa ottica lo studio da parte della sociologia del mercato del lavoro ha necessariamente al suo centro l'analisi dei sistemi economici e sociali dominanti. Entrambe queste visioni sono parziali e solo in parte possono essere integrate affiancando ad esse l'analisi della "strutturazione  storica"  dei rapporti e quindi l'analisi dell'influenza che sugli avvenimenti ed i rapporti odierni hanno le scelte del passato. Manca infatti, cosa peraltro cruciale se si vuole comprendere la realtà e lo specifico italiano, la presa in considerazione dell'azione degli attori sociali collettivi (partiti e sindacati da un parte e associazioni imprenditoriali dall'altra) e delle istituzioni pubbliche, che sono determinanti per la nostra realtà. In questo breve excursus teorico, va infine segnalata la lettura che si rifà ad una visione più propriamente deterministica dei comportamenti individuali e sociali e quindi anche del mercato del lavoro, sia nella sua accezione più propriamente culturalista che in quella più economicista. Alla prima appartengono quelle teorie (conflitto e riproduzione sociale) che vedono i comportamenti psicologici e sociali degli individui come determinati e in un certo senso imposti, dalle norme del gruppo sociale di riferimento, per cui esistono classi dominanti e classi subordinate e le prime hanno il potere di imporre alle seconde una "falsa coscienza" che porta a legittimare lo squilibrio delle risorse a disposizione. In questa ottica la conoscenza dei diversi processi di socializzazione e risocializzazione , nella famiglia, nella comunità e nel lavoro, sono determinanti per comprendere i comportamenti  degli individui all'interno del mercato del lavoro, al centro del quale si pone l'analisi dell'offerta.  L'approccio economicista punta invece sull'analisi della domanda di lavoro, vale a dire l'evoluzione del sistema economico-produttivo,  che, assoggettando il sistema sociale,  vincola i comportamenti degli individui all'interno del mercato del lavoro. In particolare questo approccio teorico è stato dominante nell'analisi sociologica italiana del mercato del lavoro per tutti gli anni sessanta e settanta, e trovava la sua legittimazione nella lettura economicista e marxista del mercato del lavoro, saldando i due determinismi (culturale ed economico) attraverso il riconoscimento del potere delle classi dominanti di controllare la domanda di lavoro e, contemporaneamente, le istituzioni delegate alla "riproduzione culturale" (famiglia e scuola prima di tutto) che in definitiva strutturano l'offerta di lavoro. Per  coloro che si riconoscono in questa impostazione teorica, economisti o sociologi,  è la struttura economica che determina dunque i comportamenti degli individui e quindi solo le sue caratteristiche  devono  essere studiate.


Bibliografia

Beck U
La società del rischio, verso una seconda modernità,
Roma, Carocci, 2000.

Fevre R
The sociology of Labour Market,
New York-London, Harvester  Wheatsheafche, 1992.

Granovetter M. e Swedberg R.
The sociology of economic life,
San Francisco-Oxford, Westview Press, 1992.

Paci M.
Mercato del lavoro e classi sociali in Italia,
Bologna, il Mulino, 1973.

Reyneri  E.
Sociologia del mercato del lavoro, Bologna, il Mulino, 1996.

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