RIFLESSIONI SULLE IMMINENTI ELEZIONI AMMINISTRATIVE E IL MALE O IL BENE DI UNA GENERAZIONE
A vent’anni
ero comunista. Di quel comunismo italico, roba romantica radicata nel mito
degli anni ’70. L’autogestione, la partecipazione, l’acculturazione
delle masse erano i parametri che da studente servivano a identificarti con
un modo di vivere, pensare, per certi aspetti anche agire.
Il fascino del marxismo, la mitologia del PCI e molti altri elementi hanno
contribuito a formarmi alla scuola della vita di provincia. L’Università
ha ampliato, approfondito e chiarito questi presupposti concentrandoli in
una modalità di affrontare le cose del mondo che ancora mi pervade.
Poi, maturando, è sorta la critica interiore. Nulla a che vedere con
la critica oggettiva dei regimi comunisti. La mia generazione non c’entra
nulla con i pentimenti o le autocritiche di chi ha investito in quei modelli
la propria dignità. La mia generazione, quella degli attuali trent’enni,
ha solo recepito l’eco dei travagli delle generazioni precedenti: ripeto
noi non c’entriamo nulla con il passato stalinista, l’Internazionale
o Mao.
La critica interiore dicevo, mia e di tutti i ragazzi come me, è frutto
di una continua riparametrazione del livello di giustizia apprezzabile. Una
critica che verte essenzialmente su come ci si deve porre nei confronti della
politica. Quali domande porre. Come intervenire. Cosa fare. E’ stata
ed è un po’ una convalescenza dentro l’altra grande convalescenza
della sinistra Italiana. Quest’ultima però indubbiamente conclusa
con la ripartizione del dell’universo della sinistra italiana fra Rifondazione
e il PDS, ora DS.
La critica interiore esce dal soggettivo per sanzionare prese di posizione
e modelli che sembrano irrimediabilmente superati. La rappresentanza sindacale,
il centralismo democratico del vecchio PCI, riproposto nei due partiti della
sinistra senza soluzione di continuità, il dibattito spesso inarticolato
sulle tematiche ambientali.
Sana, robusta e integerrima critica di cui veramente la mia generazione deve
sentirsi orgogliosa.
E’ con questa consapevolezza che ancora mi riconosco, in parte, in un
patito che sinceramente ha poco a che vedere con il mondo attuale, il PRC.
E’ con questa consapevolezza che altri miei compagni e amici militano
nelle file dei DS. Potremmo sinceramente scambiarci di posizione ma il risultato
non cambierebbe. Lo dico con ingenuità forse ma è indubbiamente
così. La forza critica che ci deriva da un tasso di istruzione superiore
alle precedenti generazioni, una volontà di capire più articolata,
porta, secondo me, a creare le condizioni per interscambiarci. Forse è
più facile rispetto alle generazioni precedenti anche perché
sinceramente non abbiamo storia, o ne abbiamo una minima percentuale rispetto
ad altri che hanno vissuto più di noi.
Parlo di interscambio, di critica, pensando al quotidiano impegno politico.
Sono consigliere provinciale. Sono un politico locale. Uno che prende voti
alle elezioni ma che non dirige la sezione locale di un partito. Fino a che
punto io usi il partito o il partito usi me non l’ho ancora capito.
Ricopro un ruolo, come altri miei coetanei in altri partiti o nel mio. Formalmente
sono ancora un comunista.
Con l’avvicinarsi delle elezioni amministrative ed europee ci siamo
posti qualche interrogativo.
Fare l’accordo con i DS e il resto del centro sinistra per governare
la provincia dal 2004 al 2009 è sembrato, date le condizioni nazionali,
il punto di arrivo logico di una evoluzione che è partita dal 2001,
dopo il trionfo di Berlusconi su tutti i fronti. Sono fiero ed orgoglioso
di questo percorso. Sinceramente era anche l’unica strada per convincermi
a rimanere militante di questo partito.
Senonché gli ultimi avvenimenti di questi mesi hanno incrementato il
mio senso critico e messo a dura prova la mia appartenenza. Come me, proprio
per le ragioni che illustravo prima e per quello che dirò poi, anche
molti amici e compagni di DS, Margherita e cespugli vari hanno espresso qualche
insofferenza al “sistema”.
Insomma voglio giungere subito al nocciolo della questione. Con una serie
impressionante di riunioni, comitati, assemblee, attivi e quant’altro
la fenomenologia partitica può sperimentare, si è giunti a definire,
come partito locale, una serie di equilibri, aggiustamenti, rimpasti, insomma
una strategia complessissima che trovo a dir poco disdicevole, se non assurda.
Proiettando tutto in un ipotetico governo dello stato libero di Bananas (così
non faccio torto a nessuno) voglio descrivere il caso e cercare di far luce
su quanto avviene in termini organizzativi nei partiti. La storia è
suppergiù questa.
Un tranviere diventa improvvisamente un uomo politico. E’ stato avvicinato
e scelto da un partito che vuole investire in una persona con una sua identità
professionale e doti indubbie di fedeltà alla causa. Il tranviere diventa
parlamentare dello stato libero di Bananas. Deve tutto al partito, indubbiamente.
E’ quest’ultimo che lo ha messo in condizioni di vincere le elezioni.
Svolge il suo lavoro con dignità. Lavora soprattutto sul tema dei trasporti,
compatibilmente alle sue competenze e alla sua professionalità.
Giunti di nuovo alla scadenza elettorale, il partito, dopo estenuante lavoro
di contrattazione con gli altri partiti, lo convoca per spiegarli la situazione
e proporgli qualcosa in più.
L’offerta è quella di ricoprire il ruolo di ministro della salute.
Un tranviere al ministero della salute… Non dovrebbe funzionare così.
Il partito però ha una sua giustificazione. In breve, si è venuto
a creare un sistema di equilibri per cui il partito deve mobilitare i propri
rappresentanti per ricoprire ruoli che altri non vogliono ricoprire. Insomma,
come diceva il buon Rino Gaetano in una memorabile canzone: “Dal momento
in cui, sinceramente, ragion per cui, tocca tutto a me, hai lo stress…”
A significare che l’equilibrio in politica oltrepassa la razionalità.
Che sia cosa negativa o positiva non sta a me giudicare. L’unica mia
preoccupazione è il servizio offerto al cittadino. Che può fare
un tranviere al ministero della sanità? Riorganizzare il servizio di
ambulanze.
Il partito obbietta che esiste la struttura che deve lavorare per obiettivi.
Il ministro è solo un nome messo lì…..la struttura svolge
il lavoro, con devozione, rispetto e autonomia sufficiente.
Beh, forse anche questo è vero ma allora perché tanto studiare,
lavorare, criticare. Dopo tutto lo stato libero di Bananas ha bisogno di gente
competente anche al vertice dei suoi ministeri… non bastano le strutture,
ci vuole una testa consapevole. Un ministero deve essere affidato a chi professionalmente
opera in quell’ambito. Così che possa conoscere il settore, lavorare
per migliorarlo e farlo prosperare. Che senso ha ricoprire ruoli non adatti
alle capacità della persona scelta.
Lasciando perdere la storiella dello stato libero di Bananas torniamo alla
critica interiore. Sinceramente ha uno scopo politico o è solo un modo
di speculare sulla realtà?
Credo abbia un senso. Sia corretta, efficace e indispensabile. Lo pensano
anche altri amici, coetanei, nei DS, nella Margherita, qualcuno persino di
destra. La mia generazione non c’entra nulla con l’equilibrio
da trovare a tutti i costi. Con la riproposizione della stessa minestra riscaldata.
E’ per questo che non accetta compromessi anche dove potrebbe trarne
vantaggi. E’ per questo che prima o poi primeggerà oltre i meriti
anagrafici sul resto del panorama politico italiano.