STORIA DI UNA OCCASIONE MANCATA (ALMENO PER ORA)
di Maura Fulle
Ci sono aziende per le
quali è stato ed è tuttora difficile comprendere la portata, in
termini gestionali, dello schema della catena sequenziale così composta:
strategia = struttura = uomini = meccanismi operativi
Sinceramente ho passato alcuni anni della mia esperienza professionale (seconda
metà anni ’90) a sostenerne una certa validità e nell’invitare
il top management a fare sforzi in questa direzione.
Procedetti per semplici “conquiste” successive:
uno) generai nei Managers la consapevolezza della necessità di darsi
un metodo per progettare lo sviluppo della propria organizzazione;
due) suggerii l’adozione di uno schema, appunto il suddetto;
tre) lo sperimentai ed il risultato immediato fu l’aver messo “un
po’ di ordine” e un po’ di coerenza tra i desiderata e l’agito
aziendali.
Le soddisfazioni personali furono molte, ma il fatto rilevante è che,
a distanza di alcuni anni, posso dire che le stesse non si tradussero in altrettanti
successi per l’azienda, nonostante il mio obiettivo fosse proprio quello
di tracciare una strada verso lo sviluppo organizzativo.
E questa considerazione di “insoddisfazione” tiene già conto
della percentuale di insuccesso insita nella fisiologica resistenza del management
a quello che allora veniva considerato un cambiamento di cultura.
Il problema era che la staticità propria dello schema sembrava giustificare
la lentezza con cui lo sviluppo organizzativo veniva programmato e realizzato:
si generava stasi non sviluppo.
Nel frattempo l’azienda nel suo
complesso cominciava a riconoscere qualche valore di utilità allo schema
sequenziale e quindi non sarebbe stata disposta a mettere in discussione la
strada intrapresa.
Ben presto scelsi di sospendere nel “mio metodo” di fare progettazione
organizzativa lo schema a catena, e cominciai a ragionare su un paradigma organizzativo
più dinamico.
La parola chiave divenne per me la “competenza” : il nuovo paradigma
poteva chiamarsi “caccia grossa alla competenza”.
Si lavorò un po’ sul termine, sulle sue possibili implicazioni
nello sviluppo organizzativo e si concluse con confondere le competenze con
le valutazioni dei dipendenti (per la precisione le valutazioni solo di una
quindicina tra quadri e dirigenti).
Il cambiamento periodico dei vertici aziendali rese ancor più arduo il
tentativo di attirare l’attenzione sulla “competenza”.
Oggi a causa di un mercato di riferimento aziendale in rivoluzione, in un’Azienda
che si dà obiettivi di business a breve termine (molto spesso a brevissimo)
e che si pone parametri di “sopravvivenza”, si chiede di trovare
la “formula vincente” per lo sviluppo organizzativo.
Mi appare subito chiaro che non possono essere la definizione delle strutture,
oppure la definizione dei ruoli e delle responsabilità, a fare da soli
la differenza!.
Penso alla necessitò di individuare i presidi, presidiare l’innovazione,
ma, soprattutto presidiare.
Penso che conoscendo le competenze di cui le risorse interne sono portatrici
(sane), si potrebbe impiegarle e spostarle tra i presidi.
L’azienda si svilupperebbe.
E ancor meglio, si potrebbe rispondere alle sue necessità di business
con una discreta flessibilità
Il seme della “sopravvivenza” sarebbe gettato.
Però, dopo anni di assenza di
valutazione delle prestazioni e dei potenziali fatti in modo “attendibili”
è molto difficile “mettere in campo” una squadra pronta a
trasformare la sfida dei tempi in successo di business.
E’ difficile farlo ora in corsa.
E mentre provo a far passare questo messaggio e ne chiedo una consapevole condivisone,
scopro che mi sbagliavo riguardo il basso grado di apprendimento dello schema
a catena sequenziale, almeno nella mia azienda, perché di fatto, nonostante
l’evidenza, siamo tutti chiamati a lavorare sulla semplice messa a punto
delle strutture!
Io, però non mi arrendo.