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Pubblicato in data: 12/09/2005

IL SENSEMAKING. LA DIFFERENZA TRA 'ASPIRARE' E 'ISPIRARE'

di Riccardo Paterni

Sensemaking

Sensemaking una delle tante parole inglesi che sentiamo sempre più di frequente in giro; spesso utilizzata in modo improprio o semplicemente sbattuta in una frase più o meno a caso perché pare dare sostanza e valenza a ciò che cerchiamo di comunicare. In realtà, a differenza di molte altre espressioni gergali di management, il sensemaking è destinato ad essere molto più di una moda passeggera. Sensemaking significa dare un senso, inquadrare, contestualizzare seguendo un filone logico; in altre parole cercare di attribuire un significato a ciò che facciamo e soprattutto a contesti e situazioni complesse. Poiché la complessità è destinata a crescere a causa di (o forse potremmo azzardare un “grazie a”) tecnologia, evoluzioni geopolitiche, demografiche, sociali e culturali è ormai molto importante per chiunque operi in un settore economico, a qualsiasi livello, cercare di comprendere quanto stia accadendo allo scopo di trarne le opportune considerazioni per il proprio presente e futuro.

Da qui tutto il filone di dibattiti, articoli, discussioni, libri ecc. dedicato al sensemaking sia in forma esplicita che implicita: sono tutti supporti che noi abbiamo per dare un senso alla realtà che ci circonda. Di per se quindi il sensemaking non solo è una cosa positiva ma anche da incoraggiare e sviluppare. In ogni caso, mi azzardo a riscontrare due filoni di sensemaking: quello che io definisco “aspirato” (stile aspirapolvere) e quello che io definisco “ispirato”.

Ci sono differenze sostanziali fra i due approcci, differenze alle quali ritengo che tutti noi dovremmo prestare la massima attenzione allo scopo di gestire al meglio la risorsa più importante che abbiamo: il tempo.

Il sensemaking aspirato: più uno strumento di intrattenimento che di effettiva utilità

Il concetto di sensemaking aspirato mi è balzato in testa leggendo l’articolo di Francesco Zanotti pubblicato sul numero 9 di Persone & Conoscenze: “Innovare, diffondere, copiare: dove è la differenza?”

Non voglio soffermarmi a ribadire considerazioni sul caso specifico (un libro) che Zanotti stesso ha già articolato in modo efficace; aldilà dell’indubbio rispetto per chiunque investe tempo e risorse nello scrivere un libro, che senso ha continuare a lavorare su idee già discusse senza nemmeno presentarle in un modo fresco, maggiormente calato nella realtà in cui viviamo?

Quante volte apriamo un libro di nuova pubblicazione per riscontrare la presenza di diagrammi, sondaggi, considerazioni già “trite e ritrite”?

Mi trovo spesso a fare questa constatazione sia riguardo a libri di pubblicazione Italiana che straniera: ma cosa ho imparato veramente di nuovo da questa lettura? Come questa lettura aiuta il mio sensemaking?

Mi aiuta a dare un senso a eventi che avvengono attorno a me e sulla base dei quali devo prendere decisioni? Vi trovate mai a fare questa stessa considerazione? Ogni volta che abbiamo questo dubbio, molto probabilmente ci troviamo di fronte a un libro, ad un dibattito, ad un seminario che rappresenta il sensemaking aspirato: in un modo o nell’altro i suoi contenuti sono frutto di un processo di aspirazione (stile aspirapolvere) di idee, concetti, riflessioni che sono ormai da un po’ di tempo in giro… Possiamo chiaramente fare di meglio, di molto meglio.

Come? Francesco Varanini in una breve nota a fianco dell’articolo di Zanotti fa richiamo ad un verbo greco “metahérein” che significa “trasportare oltre”, in altre parole mettere in discussione e portare costruttivamente su un nuovo livello la ricchezza di conoscenze che già abbiamo: espandere ed esplorare da quelle radici.

Questa considerazione e una piacevolissima conversazione con Gary Klein mi hanno aiutato ad inquadrare (sensemaking !) il concetto di sensemaking ispirato come strumento per “trasportare oltre” la conoscenza e farne un concreto strumento utile alla vita di tutti i giorni, non semplicemente uno strumento di intrattenimento intellettivo…

Il sensemaking ispirato: uno strumento di sviluppo concreto e collettivo

Gary Klein è l’autore di due libri di successo negli: USA Sources of Power: How People Make Decisions e The Power of Intuition: How to Use Your Gut Feeling to Make Better Decisions at Work.Anche Malcolm Gladwell nel suo diffusissimo libro Blink(che sono certo verrà presto pubblicato anche in Italia) fa diretto riferimento al suo lavoro.

Qualche settimana fa ho incontrato Klein a Chicago, da tempo ammiravo il suo lavoro per freschezza ed originalità e volevo conoscerlo di persona. In pochi minuti ci siamo ritrovati a chiacchierare in modo schietto dell’evoluzione del management come disciplina di ricerca applicata nel corso degli ultimi 10-15 anni. Klein (che sta scrivendo un nuovo libro), senza troppi peli sulla lingua e facendo tesoro di più di 30 anni di lavoro gomito gomito con nomi prestigiosi nel campo del management come Charles Weick, ha affermato che siamo di fronte a varie “frodi” riguardo al modo di percepire e comprendere cosa realmente avviene nelle aziende.

Un esempio: il modo tradizionale e lineare di articolare e descrivere la pianificazione aziendale (uno dei temi in vetta alla Hit Parade del sensemaking aspirato di cui sopra…).

Perché questo? Semplicemente perché se si osserva effettivamente quanto avviene nelle aziende ci rendiamo conto che c’è ben poco in linea con queste belle teorie…

Ecco, il sensemaking ispirato si basa appunto su questo concetto: cerchiamo di mettere da parte tante belle teorie distanti dalla realtà o almeno mettiamole e mettiamoci sempre e comunque in discussione in quello che facciamo e quello che pensiamo; facciamo tesoro delle esperienze quotidiane di chi effettivamente è in prima linea e mettiamoci noi stessi in prima linea per comprendere meglio quanto realmente stia avvenendo. Anche secondo Klein questo potrebbe essere l’unico modo per arrivare a comprendere ed utilizzare a nostro vantaggio le dinamiche di una realtà che inevitabilmente accrescerà la sua complessità.

C’è bisogno di metodo, di disciplina, di umiltà, di non prendere e di non dare niente per scontato stimolando anche altre persone a vivere la propria realtà lavorativa in modo critico e analitico. Si fa un gran parlare in Italia del fatto che le cose non vanno… sarà allora il momento di cambiare qualcosa? Vogliamo essere concreti ispiratori di ciò che possiamo rendere possibile o mediocri aspiratori di ciò che abbiamo già constatato essere il passato o il presente?

Un’ultima nota di colore a questa mia riflessione: aspirare, nella definizione che io ho dato, è chiaramente associabile al gonfiarsi (finchè magari non si finisce per esplodere); l’inspirare invece è associabile all’immagine dello sgonfiarsi in quanto si diffondono, si condividono, si aprono alla discussione, le idee che abbiamo generato. Interessante notare che Gary Klein, nonostante sia a capo di una solida struttura consulenziale che ha clienti fra le aziende più importanti a livello mondiale, sia una persona snellissima nel fisico e nel pensiero, si faccia chiamare semplicemente Gary e vada in giro con un tono tutt’altro che mondano.

Si effettivamente Gary Klein ispira parecchio…

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