Keep it simple
di Gianfrancesco Prandato
Caro Francesco,
leggo su Bloom questo bel dibattito dal titolo: "SOLUZIONI NUOVISSIME O CRETINATE". Nello spirito di Bloom dico la mia, e lo confesso, spero di buttare un po' di benzina sul fuoco.
Lascio ovviamente perdere il libro che Gaiarin cita, non lo ho letto e nemmeno lo leggerò perché dove vivo non e' facile procuraselo. Premetto che, credo come tutte le persone di buonsenso condivido la stupidità e la pericolosa deriva verso gli ibridi che così bene è articolata. La mia risposta è però un poco più cinica ed è: ma chi se ne frega, non ho tempo per chi perde tempo. Io credo infatti che il professionismo della non professionalità, che è un poco il senso di essere superficiali e magari un po' volgari, di saltare sulle cose all'ultima moda, sia una cosa che ha poco futuro e che comunque risulterà marginale nel corso delle cose. La competizione, specie nel mercato del lavoro, è là fuori, arriverà prima di quanto ci si possa aspettare e ridimensionerà, rimetterà le cose al loro posto.
Il vero problema è che buttiamo
risorse dalla finestra per sciocchezze, mentre gli altri paesi e altre imprese,
le investono in cose serie. Senza citare l'America, pensa all'India.
La carenza strutturale di investimenti è sempre riportata come un problema
cronico della nostra ricerca e della formazione nel nostro paese. Non ho mai
capito se poi è proprio così o se i soldi non li buttiamo dalla
finestra seguendo nuove "mode" che, come dici tu, sono mode spesso
solo libresche e solo per una ristretta cerchia di persone.
Visto che si parla di spezzoni di autobiografia,
permettimi di condividere anche un pezzo della mia. Premetto che lavoro da tanti
anni e oltre a gente non all'altezza delle aspettative, di cui si parla sempre
troppo, ho incontrato tanta gente da cui ho imparato molto, di cui si parla
troppo poco. Gente con talento che ho conosciuto e che bastava solo avere la
curiosità di ascoltare e in alcuni casi la pazienza di scoprire (alle
volte negli interstizi). Io sono stato fortunato, ho imparato tanto anche dai
miei capi di cui spesso ho sentito parlare male da gente che mi pare distratta.
Ho imparato tanto e ancor oggi sto imparando, forse ancor di più, a tutte
queste persone sono grato. Con queste persone ho passato il tempo a queste persone
ho dedicato la mia attenzione.
In aggiunta da qualche tempo, oltre a lavorare e imparare da colleghi, collaboratori e capi, frequento i corsi regolari dell'M.b.a. della J.Hopkins. È una esperienza che mi diverte, perché fatta da "vecchio", rilassato, mi da uno spaccato di vita americana e mi aiuta a capire il sistema educativo che crea la classe dirigente di questo paese. Ovviamente le considerazioni che seguono, non sono relative alla media del sistema, ma a una scuola di eccellenza.
Il percorso è molto selettivo all'entrata e meno selettivo nel percorso. Molto pratico, nel senso che insegna a fare le cose e poco teorico, la teoria la studi solo se vuoi, magari facendo un successivo Phd. Rispetto all'università che ho fatto in Italia (Economia Aziendale), più di 20 anni fa ormai, c'è molta meno teoria e più focalizzazione. È ' passato molto tempo e penso di avere fatto una facoltà che in Italia era di eccellenza.
Se confronto le diverse esperienze oggi trovo che, parafrasando Gaiarin, non ci sono citazioni in latino, nessuno conosce Wittgenstein o Kant (ma sarebbe bello fare un questionario su quanti lo conoscono veramente anche in Italia), però tutti escono che sanno calcolare il WACC, il Beta o il Net Present Value. I professori poi passano lezioni (plurale) a insegnare come si usa la calcolatrice tascabile con entusiasmo e senza nessuna vergogna. Sono curate le competenze di base, come: il computer, la finanza, la matematica, ecc Insomma professori e studenti sono focalizzati sui risultati e sulle tecniche. Il giornale è il vero libro di testo, i fatti da studiare sono lì. Si parla di realtà di cosa accade, del perché ci sono certe operazioni, di come vengono annunciati I risultati delle società, di come andrà il trimestre per gli utili e perché, si impara dal mondo.
Se poi sono eccentrici, con i sandali
o con la cravatta o con i capelli lunghi o corti, sono affari loro; chi se ne
frega. Non gliene importa niente a nessuno. Questo vale più o meno per
tutti.
La diversità è rispettata, ma anche e proprio per questo ignorata,
per cui gli stereotipi e i pregiudizi si fermano di fronte al test a risposte
multiple dell'esame.
Quindi c'è meno stimolo e meno interesse a fare gli eccentrici se non si lo si fa per se stessi, perché in qualche modo e' difficile definire un parametro di normalità. Provenendo da culture e mondi diversi tutti sembrano un poco eccentrici.
Tipico di una società multietnica,
con tante razze e culture dentro.
E questo, che piaccia o no, è il futuro.
Io insomma, se ho capito bene il senso
della lettera, condivido solo parzialmente Gaiarin nel suo disprezzo per i "rampanti"
delle Frottole, di cui bisogna per me solo disinteressarsi, né condivido
il rimpianto per i "classici" e le loro lezioni, lasciamoli a chi
li studia e li ama veramente, non volgarizziamoli con il management, non serve.
Coltiviamoli nella nostra intimità.
C'è chi può fare dei crossover, ma sono poche le persone titolate
e non dall'accademia, ma dalla vita. Mi pare infatti evidente che lo fanno per
passione, per piacere. E facendolo ridefiniscono l'universo di cosa è
classico, legandolo alla propria storia personale. Non a caso alcuni dei tuoi
pezzi più belli di inferenza organizzativa nella letteratura sono tratti
da quella che si definirebbe letteratura di genere. Per esempio, cito a memoria,
i pezzi su Ripley o Dick.
La critica mi pare, perciò,
un tempo rubato alla costruzione delle cose importanti.
Come canta Jovanotti, che è un bell'esempio di evoluzione e di apprendimento
nel campo musicale: "pensiamo positivo".
Torniamo alla professionalità,
quella è solida, è concreta e soprattutto è alla portata
di tutti, su quella dobbiamo investire, sui fatti, sullo studio della realtà,
di cosa accade là fuori, nel mondo, non solo nei libri, anche se sono
di Aristotele o di Wittgenstein.
La lezione che ho imparato è che con un computer e la tua curiosità
si può imparare Aristotele, non viceversa.
Gianfrancesco