BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 31/05/2004

STORYTELLING E CHANGE MANAGEMENT: INTERVISTA A STEVE DENNING

di Francesca Prandstraller

Anche se in Italia se ne parla pochissimo, lo storytelling come strumento di cambiamento organizzativo ha oramai conquistato un posto al sole nella letteratura manageriale americana e nei seminari nelle grandi imprese non solo statunitensi, ma anche nord europee. Con la prossima uscita nel giugno 2004 di un libro dedicato allo storytelling nelle organizzazioni ( Storytelling in Organizations: How Narrative and Storytelling Are Transforming Twenty-first Century Management ) , nomi del calibro di John Seely Brown e Larry Prusak mettono la loro firma accanto a quella di Steve Denning, che da qualche anno si occupa del tema

Steve Denning è l'autore di The Springboard: How Storytelling Ignites Action in Knowledge-Era Organizations , sta per pubblicare un secondo testo sempre sull'argomento ed è considerato un guru del tema.

Dal 1996 al 2000, Steve è stato il Program Director del Knowledge Management alla the World Bank dove è stato promotore dell'Oganizational Kowledge Sharing Program della Banca. È proprio durante questo periodo non professionalmente felice che Denning, quasi casualmente, si accorge del potere di cambiamento organizzativo insito in una storia ben raccontata. Come egli stesso ci narra, l'origine del suo interesse per lo storytelling nasce dal fatto che come manager del progetto tenta invano di comunicare l'importanza del knowledge management al personale della Banca. I tradizionali metodi analitici di comunicazione non funzionano: slides, charts, dati e ragionamenti non bastano a smuovere le persone, sino a quando Denning non inciampa ( dice proprio cosi': to stumble) in una storia organizzativa che lo aiuta a galvanizzare l'attenzione delle persone sul knowledge management e ad avviare un processo di cambiamento organizzativo. La storia si riferisce a quanto accaduto in Zambia e raccontandola in una riunione di manager, Denning ne suscita l'entusiasmo:

"Nel giugno del 1995, un dottore in una minuscola citta'dello Zambia si connette` con il website del Center for Disease Control ad Atlanta Georgia( USA) e trovo' la risposta ad una domanda riguardo il trattamento della malaria.

"Questo nel giugno 1995, non nel giugno 2001. E quella non era la capitale dello Zambia ma un piccolo villaggio a seicento chilometri di distanza Questo non era un paese ricco: era lo Zambai, uno dei paesi piu' poveri del mondo. Ma la parte piu' importante per noi della World Bank è questa: noi non ci siamo nel racconto. La World Bank non ha il suo know-how accessibile a tutte le milioni di persone che hanno preso decisioni sulla poverta'. Ma immaginate se solo lo avesse fatto. Pensate a che tipo di organizzazione potrebbe diventare.”

Nel dicembre del 2000 Steve Denning lascia la World Bank e inizia la sua attivita' di consulente che insegna ad altri = come usare il potere dello storytelling nelle organizzazioni. Quella che segue è un'intervista da me realizzata con Steve Denning a Washington, DC nel 2003.

D: Ho letto il suo libro e l'ho trovato molto interessante perchéconnette lo storytelling al change management. Le faccio alcune domande.

Siamo circondati da storie. I libri che leggiamo sono storie sulle persone e la vita; andiamo al cinema per vedere storie, perfino i video giochi ci raccontano storie. Il solo luogo dove le storie non sembrano essere accettate sono le organizzazioni. Perché?

R: Platone è stato il primo ad attaccare seriamente la narrazione di storie e la sua Repubblica è stato uno dei testi base del pensiero occidentale che ha messo una grandissima enfasi sul pensiero analitico. Questo ha portato a una grande enfasi sulla conoscenza di tipo analitico non solo nelle organizzazioni, ma anche nell'istruzione. Si è pensato per secoli che la sostanza sia l'analisi e che la conoscenza sia solo quella analitica e che la comprensione dei fenomeni sia la vera saggezza, mentre la narrazione non sia qualcosa di davvero serio e che va, insomma, guardata dall'alto in basso. Il risultato è che le persone nelle organizzazioni cosi' come nell'accademia hanno rifiutato lo storytelling per duemila anni. E ci hanno creduto anche se il loro stesso modo di pensare dimostrava loro il contrario, perché la nostra mente pensa attraverso storie, ogni giorno e ogni ora.

Pesiamo in storie, capiamo tutto attraverso storie, ma a scuola cominciamo a credere che il pensiero analitico sia il migliore. È stata una forma di rimozione.

A partire dagli anni Ottanta lo storytelling prende slancio, ma è solo negli anni piu' recenti che emerge la consapevolezza che in molti campi si puo' procedere solo attraverso la narrazione. Il mio lavoro è una parte di questo processo di riconoscimento di come le persone pensano e agiscono.

D:Ha cominciato con Platone, ma anche lui usava i miti, e dunque storie per esporre le sue idée.

R: Di recente ho riletto la Repubblica. Molti anni fa, alla prima lettura, avevo saltato tutte le parti di narrazione perché non le capivo. Anche libri di critica recente trattano questi passaggi come se non fossero presenti, ma mi sono reso conto che tutto il messaggio della Repubblica è: guardate come sarebbe il mondo se vivessimo completamente nella saggezza, in una cornice analitica, e questo è il motivo per cui è cosi' importante liberarsi delle storie. Si puo' dire che neppure Platone lo credesse possible perché egli stesso scrisse delle storie, ma questo è il messaggio.

D:E lui stesso viveva in un'epoca in cui la narrazione era molto importante e tutta l'educazione si basava sulle storie.

R:Gia'… e cosi' hanno provato a togliere le storie dall'educazione, perché la gente pensa con le storie. Duemilacinquecento anni di sforzi hanno prodotto qualche risultato…Ma oggi sono in molti a dire che è una cosa ovvia che si tratta di due diversi modi di comprendere la realta' e che sono tra loro irriducibili , che riguardano aspetti diversi, ma che entrambi hanno un valore.

È cosi' ovvio, ma per molti è una rivelazione. Anche per me lo è stata perché ho passato quasi tutta la mia vita cercando di seguire Platone e tutto nel mio ambiente, a scuola, nell'organizzazione, mi diceva che quello era il modo corretto. Ero la quintessenza del manager analitico che usa solo la parte sinistra del cervello.

D: Cosi' invece ha scoperto che le storie possono avere molta influenza ed essere molto potenti nelle organizzazioni. Nel libro lei descrive come ci sia arrivato quasi per caso

R: La mia vita si puo' dividere in quattro fasi. Nella prima, che è durata molto tempo, le storie non avevano nessun ruolo.Questa fase, che è terminata nel 1996, era basata sull'idea che il reale si fonda sull'analisi e che lo storytelling non vi ha alcuna parte. La seconda fase è iniziata quando mi sono trovato in una situazione di crisi, anche se non per colpa mia. Il mio capo alla World Bank andava in pensione e stava emergendo un nuovo gruppo dirigente che voleva sbarazzarsi dei manager esistenti, e io ero uno di questi, anche se non ero pronto ad andarmene. Cosi' cominciai a guardarmi intorno e capii che se avessimo potuto condividere le nostre conoscenze saremmo potuti diventare una organizzazione molto piu' eccitante ed efficiente. Cercai di convincere i miei colleghi della bonta' della mia idea usando il vecchio caro pensiero analitico, ma non funziono'. E poi, casualmente, trovai questa storia dello Zambia e sembro' che funzionasse, anche se io rifiutavo l'idea. Stavo usando quella storia per il mio lavoro, mi dicevo, ma era solo un supporto, un supporto utile. Nel 1996 e ‘97 usai sempre piu' storytelling e sempre meno analisi. Alla fine del 1997 comincio' la terza fase, il riconoscimento che lo storytelling è importante in sè. Cominciai a studiarlo, a cercare di capire come funzionava, che tipo di storie funzionavano e quando. Questa fase è durata dal 1997 al 2000, esplorando e scrivendo il libro. Nel dicembre del 2000 ècominciata la fase corrente, quella in cui lo storytelling è diventata la mia professione. Quel che faccio adesso è insegnare alle persone come raccontare storie. È stato un processo, un'evoluzione che mi ha completamente cambiato.

Se avessi ascoltato uno stoyteller a quel punto, probabilmente non avrei fatto i progressi che ho fatto, perché il tipo di stoie che io raccontavo non erano storie di tipo tradizionale, ma storie organizzative. Quando alla fine ho consultato un narratore di professione mi ha detto che io ero un pessimo narratore, perché dal punto di vista letterario non sapevo come andava raccontata una vera storia. Ma a quel punto ero cosi' avanti nella mia ricerca da sapere che se avessi tenuto conto di questo giudizio non sarei stato efficace per niente nelle organizzazioni.

D: Possiamo dire allora che le storie che funzionano nelle organizzazioni sono un tipo speciale di storie? Quali sono le loro caratteristiche?

R: Nel libro parlo di molte storie che possono innescare il cambiamento, storie minime, senza molti dettagli. Lo storytelling tradizionale si preoccupa di dare molti riferimenti su luoghi, suoni, sapori e odori. Queste invece sono storie minime, dove l'ascoltatore ha molto spazio per immaginare da sè Le storie di cui parlo mancano dei dettagli delle storie tradizionali, perché' non sono storie di intrattenimento con un finale positivo, ma storie di individui in organizzazioni simili a quelle che si vogliono cambiare.

D: Qual'è il meccanismo che le fa funzionare

R: La mia ipotesi è che cio' che funziona è il fatto che l'ascoltatore ha la capacita' di inventare le sue storie Se la storia che ascolta funziona, pensa “ questo è forte, potrebbe funzionare anche nel mio contesto” Se parlo a cinquanta persone, tutte e cinquanta possono immaginare storie che funzionano nel loro ambiente di riferimento, e tutte emergono da loro stessi. Questa è la chiave per far muovere le persone rapidamente, per farle agire: sentono che è un'idea loro e percio' si adoperano per metterla in pratica.

La prima volta che ho notato questo meccanismo è stato nell'aprile del 1996. Camminavo per i corridoi, cercando di interessare la gente alla mia idea di knowledge sharing, ma nessuno era interessato ad ascoltarmi, perché' io ero un perdente che stava per uscire dall'organizzazione. Finalmente ottenni 10 minuti per parlare al Change Management Committee della World Bank, e raccontai la storia dello Zambia, e appena finii la storia gia' i membri mi chiedevano: “ perché non sta facendo questo e quello e quell'altro ancora…..” Quando cominciai a parlare avevo solo 10 minuti e queste persone non erano disposte ad ascoltarmi ne` a parlare con me, e adesso stavano dicendomi che non facevo abbastanza per implementare la “loro” idea..è orribile, mi hanno rubato l'idea!! Che meraviglia, mi hanno rubato l'idea! . Mentre parlavo avevano internalizzato il concetto, lo avevano fatto proprio e stavano gia' pensando a come implementarlo. È stato cosi' che ho capito improvvisamente con quanta rapidita' e potenza tutto questo puo' accadere .

D:Una cosa che mi ha colpito nel libro e` come questo tipo di cambiamento è rapido inizialmente e poi sembra rallentare. Lei stesso ha avuto un sacco di problemi nel far continuare le cose. Allora, la storia è una specie di varco che apre una porta, che mette le persone nello stato d'animo del cambiamento, ma poi cosa si deve fare per sostenere il cambiamento?

R: Non penso che il cambiamento rallento'. Ad ogni modo in ogni burocrazia si puo' avere un cambiamento entusiasta in meta' dell'organizzazione e un'altra parte che pone ostacoli. In ogni caso il processo continua ancora, diversi anni dopo che me ne sono andato. L'organizzazione ha fatto propria la mia idea e ciascuno la vede come un'idea propria. È un cambiamento di tipo continuo.

D: Quali sono i limiti di questo approccio?

R: Ho formato i top manager di altre organizzazioni e so che se non c'è alcun vero cambiamento che vogliono implementare, lo storytelling non funziona. La cosa cruciale è la chiarezza su che tipo di cambiamento si vuole iniziare.

Se i manager non hanno le idée chiare su questo non c'è storia che tenga. Possono anche aver chiaro il problema, ma il primo punto è chiarire il tipo di cambiamento che si vuole. In secondo luogo la storia deve venire dall'organizzazione stessa. Spesso i manager rispondono che non ne viene loro in mente nessuna, ma bisogna cercare un frammento, non una storia finita. Il processo di raffinare la storia di cambiamento è come quello di tagliare un diamante grezzo: sembra un sasso, ma per renderla una pietra di Tiffany bisogna togliere tutte le incrostazioni e lo sporco e solo allora guardare come appare. Forgiare la storia è un processo in cui si individua il messaggio centrale, si tolgono tutti i dettagli irrilevanti e si incornicia un frammento che appariva poco significativo trasformandolo in qualcosa che attiri l'attenzione delle persone. Non si tratta mai di scrivere della fiction ma di presentare la storia in modo che attiri l'attenzione.

D: Pensa che queste storie possano essere manipolative?

R: Queste storie funzionano anche se sono confezionate in un certo modo solo se stai dicendo la verita'. Se non parli sul serio la gente lo capisce molto in fretta e cio' innesca delle reazioni esattamente contrarie a quello che volevi ottenere . Se non si è aperti in cio' che si vuole trasmettere lo storytelling non funziona. È qualcosa che io chiamo la storia del Titanic: descrivi 700 persone felici in crociera che hanno raggiunto New York e basta, ma la tua audience scoprira' subito che il Titanic è affondato e che 1000 altre persone sono affogate. La storia è vera, ma non è sincera. Una storia che manipola l'audience è il contrario di quello che la storia è in sè. Ripeto, la manipolazione genera contro reazioni molto forti e dannose.

D: Nella mia esperienza ci sono tante storie che circolano in ogni area delle organizzazioni e spesso non concordano o sono in aperto contrasto. Come si usa una change story in un ambiente dove circolano varie storie contrastanti? Cosa fa si` che quella che racconti tu vinca sulle altre?

R: Per prima cosa la storia deve essere vera e l'audience interessata a quello che hai da dire. Se pensano agli email a cui devono rispondere o a come uscire dalla riunione al piu' presto, devi farli fermare e devi farti ascoltare. Gran parte degli executive a cui insegno sono cosi'.

Un modo è quello di raccontare una storia che ti riguarda come essere umano e cosi` le persone cominciano a identificarsi con te e ad essere piu` disponibili verso quello che hai da dire. Io comincio raccontando come sono stato licenziato dalla World Bank solo perché c'era un nuovo presidente e cosi' gli ascoltatori cominciano a entrare in contatto con me come essere umano e cosi` facendo si preparano ad ascoltare la storia organizzativa.

L'altro modo e` parlare dei loro problemi nell'organizzazione. Se sai che cosa preoccupa in quel momento l'organizzazione, allora puoi cominciare dai loro problemi. E` quello che ho fatto nel 1996 in Banca Mondiale. Dicevo: “ la gente dice che questi sono i problemi, ma in realta' essi sono molto piu' seri e gravi, lasciate che ve li spieghi…” E cosi` avevo la loro attenzione.

Poi racconti la storia e se la storia li eccita ed è rilevante per la situazione dell'organizzazione, con un po' di fortuna ha la meglio sulle storie che circolano gia'. Ma siccome c'e` sempre competizione tra le storie, la tua deve essere una buona storia e il problema deve essere reale. Altrimenti non funziona.

D: Pensa che ci siano organizzazioni piu' inclini di altre a sviluppare storie? La cultura in cui la storia è raccontata influenza l'esito del metodo?

R: Non direi che ho raccontato storie in ogni tipo di organizzazione, ma non conosciamo nessuna cultura al mondo che non abbia le sue storie. Lo storytelling è un fenomeno umano pervasivo ed e` improbabile che ci siano organizzazioni che lo rifiutano. Oggi tutte le organizzazioni devono cambiare perché il mondo si trasforma radicalmente. Alcune ne sono consce, altre meno e il management cerca strategie per far accadere le cose, per indurre il cambiamento. È qui che spesso vengono da me, quando sono disperati e hanno gia' provato con il ragionamento, con l'analisi, perfino con le minacce, hanno provato tutti i trucchi manageriali e non ha funzionato. Adesso stanno di fronte al disastro, perciò' pensano che qualcosa di non convenzionale come lo storytelling li possa aiutare.

D: Ma una strategia di cambiamento deve essere gia' stata sviluppata in precedenza…

R: Ho tenuto un seminario alla McDonald qualche tempo fa. Le quote di mercato sono calate negli ultimi tre anni e i top manager chiedono ad un famoso chef che gli dice di migliorare il cibo, ad un guru della strategia che consiglia di cambiare strategia, di vendere i ristoranti e di diventare un business to business. Chiedono ad un esperto di efficienza che dice che dovrebbero tagliare costi e focalizzarsi su cio' che fanno piu' efficientemente. Quelli del marketing dicono fate pubblicita' migliore ecc. ecc. Fino a quando il corporate strategy group non prende una decisione io non posso venir fuori con una storia. Prima decidete la direzione in cui volete andare e poi ci muoviamo. Io insegno ai manager come sviluppare una buona storia di cambiamento, ma il cambiamento devono deciderlo loro.

D: Lei dice che lo storytelling e il cambiamento organizzativo sono connessi. Lo sono anche storytelling e apprendimento?

R: Si', ma con tipi di storie diverse. Le storie di cambiamento finiscono con azioni che vengono intraprese, con un lieto fine che genera energia e muove all'azione. Le storie nelle quali impariamo qualcosa sono storie di errori, di cose andare male, di sconfitte che ci fanno riflettere.

Le storie da cui si apprende sono storie negative, mentre se vuoi generare azione hai bisogno dell'happy end. Per imparare bisogna parlare di problemi e questioni aperte, di un tipo diverso di storie. Non si genera azione con una storia negativa.Le storie positive fanno internalizzare l'idea di cambiamento alle persone, e poi il processo puo' cominciare.

D: Si puo' dire che queste storie accendono una visione?

R: Se annunci una vision la reazione tipica è: non accadera' mai qui, è troppo difficile. Una change story è un modo di aggirare l'ostacolo. È accaduto in un'altra organizzazione una settimana fa, lasciate che ve lo racconti…. Cosi' una storia che riguarda il passato diventa una storia sul futuro e comincia a creare una visione di come le cose potrebbero essere. E` uno strumento cosi' potente perché' fa una cosa molto difficile in modo molto semplice, e` una visione del futuro dove e` l'ascoltatore che fa tutto il lavoro.

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