BLOOM! frammenti di organizzazione

Emanuele Fontana

recensione di:

Emile Durkheim
La divisione del lavoro sociale
1893; trad. it. Comunità, Milano, 1989 (nuova ed. 1999).

La "coscienza collettiva" come primo momento di costruzione della solidarietà sociale

Suddiviso in tre libri, funzioni, cause e forme anomale, il fondamentale testo di Durkheim è un'analisi puntigliosa della divisione del lavoro sociale oltre il riduzionismo economico e le implicazioni politiche. In questo modo rappresenta una testimonianza della universalità della sociologia: disciplina insicura fino alla definitiva consacrazione avuta dai lavori del Durkheim stesso e di altri grandissimi, fra cui Pareto, Michels e non ultimi Weber e Marx.
La divisione del lavoro sociale non è un testo di organizzazione, non traccia la suddivisione delle funzioni aziendali, ne tanto meno fornisce un quadro esaustivo dell'articolazione del sistema economico di allora.
Il testo di Durkheim è una gigantesca analisi del sistema sociale occidentale fino alla fine dell'ottocento che anticipa e determina, per molti aspetti, i rapporti di convivenza della contemporaneità.
All'interno del costrutto teorico del positivismo Durkheim analizza in modo originale ed elegante le modalità di creazione, evoluzione e i sistemi di sopravvivenza della civiltà moderne.
Si concentra sull'articolazione sociale della solidarietà, come costrutto unico del vivere insieme. Parla in prima istanza, attraverso l'analisi di fatti oggettivi, quali le regole del diritto, di solidarietà meccanica. Questa è l'elemento coesivo delle società fondate sull'accettazione di presupposti di aggregazione in funzione della prescrizione di comportamenti.
Il diritto che regola la convivenza delle società primitive, fondate sulla solidarietà meccanica, è il diritto penale, applicazione delle regole prescrittive della morale condivisa, della coscienza collettiva.
Sulla base di questa prescrizione morale prima e sostanziale poi il diritto si afferma e funge da mezzo regolatore dei rapporti sociali.
Uscendo ora da una interpretazione rigorosamente meccanicista, come universalmente è accordata al pensiero positivista di Durkheim, mi sembra opportuno far notare che in realtà le argomentazioni del lavoro durkheimiano siamo di fondamento per successive elaborazioni concettuali che sanciscano un approccio diverso. Il pensiero di Durkheim si adatta a segmenti specifici della dinamica sociale, fornendo illuminanti interpretazioni di cosa fa e come funzione un micro sistema sociale.
La trattazione dell'approccio oggettivo con l'indagine sulla funzione del "diritto penale" e del "diritto privato" è sicuramente da non ridurre ad un semplice portato del meccanicismo ma vuole essere piuttosto un sistema di analisi delle modalità di produzione della società.
Questo si nota soprattutto con il progredire del ragionamento di Durkheim. Dalla società fondata sulla solidarietà meccanica si passa a quella fondata sulla solidarità organica. Dove il diritto, visto ancora come sistema di regole comuni, riduce il suo carattere prescrittivo divenendo restitutivo.
L'evoluzione in diritto restitutivo è la trasformazione dei rapporti di solidarietà dalla prescrizione del diritto penale, delle società primitive, al rispetto dei rapporti contrattuali che fondano le società liberali dell'ottocento. Naturalmente Durkheim si ferma qui, non ha vissuto oltre i primi decenni del '900. Le sue idee però servono anche in tempi più recenti, fino a delineare, secondo me, i tratti della contemporaneità.
Da sottolineare la riscoperta, mai tardiva, ma sicuramente rivoluzionaria dal punto di vista dell'approccio, che Csikszentmihalyi (pron. Cizentmiali) opera con la costruzione del concetto di "rappresentazione sociale": clone sistemico del concetto di "coscienza collettiva" del Durkheim. La coscienza collettiva non è altro che il portato funzionalista della società a solidarietà meccanica e ugualmente diventa il valore fondamentale della società a solidarietà organica.
La rappresentazione sociale moderna, si parla di una elaborazione degli anni 70 del '900, è la riproduzione più marcatamente costruttivista dello stesso concetto.
Lo scarto non è da poco ma bisogna pur considerare gli ottanta anni di differenza fra i due autori. Quello che più interessa però è vedere il concetto di "coscienza collettiva" come primo momento di costruzione della solidarietà sociale. Elemento irrinunciabile per lo sviluppo della civiltà.
Insomma sintetizzando un po' mi sembra che il lavoro di Durkheim sia valido oltre la sua riducibilità al positivismo e fondi concretamente un approccio sociologico teso a spiegare la civiltà occidentale in termini organici.
I diritti prescrittivo e restitutivo, costrutti normativi traducibili in diritto penale e diritto privato, quest'ultimo comprensivo della partizione in diritto commerciale, domestico, ecc., sono gli assi portanti della solidarietà, cioè del modello di comportamento che suddivide il lavoro sociale e costruisce la società.
Con l'arrivo dei concetti sistemici e l'estensione dell'autopoiesi a modello interpretativo applicabile anche alla realtà sociale, il pensiero di Durkheim sembra davvero ridursi. E in effetti è questo che succede. Il discorso di Durkheim che fa della società il modello generativo dell'uomo sociale diviene implicitamente riduzionista.
Ma se lo applichiamo alla realtà concomitante, al fatto oggettivo, non smette di darci aiuto nel capire la società e soprattutto le comunità al suo interno.
Sono convinto della validità del costruttivismo nello sviluppo della coscienza personale e sociale ma resta il fatto che per determiniati momenti della vita collettiva il fatto che sia la società a generare personalità è indubbio. Per esempio con la divisione del lavoro in un'azienda il portato sociale del gruppo comunica uniformità e se si vuol continuare a rimanere in quel contesto è necessario uniformarsi. Sto parlando di uniformità a obiettivi comuni non certo a valori universali, ancora riduco per comprendere.
Il comportamento derivante dalla funzione ricoperta da un soggetto all'interno di un'azienda, qualunque essa sia, è scandagliabile per mezzo dell'analisi del costrutto normativo e morale. A questo si accompagna poi la realizzazione del vivente ma è un discorso diverso. Quello che mi preme sottolineare è che Durkheim è ancora valido se lo utilizziamo per comprendere i fatti oggettivi in contesti ristretti, come la divisione del lavoro in un'azienda.
Non voglio, con questo, spersonalizzare la funzione ma renderla oggettiva perlomeno nella sua essenza di qualcosa che serve ad un fine. Una azione o insieme di azioni da realizzare per un obiettivo: il profitto, l'eccellenza, la qualità o quello che si vuole.
Durkheim ci lascia la possibilità di applicare le sue teorie alla funzione oggettiva, tutto il resto, quello che menti grandissime hanno formulato nel '900, è il modello di lettura della vita in generale, diverso dal particolare dell'analisi organizzativa. Non voglio far intendere che l'analisi debba essere oggettivata e priva di riferimento al costrutto della complessità, sarebbe sbagliato. Voglio solo mettere in evidenza che sono fondamentali approcci diversi per realizzare compiutamente il vivere in società e capirne le dinamiche. Riducendo la complessità ai nostri occhi.


Bibliografia.

Emile Durkheim "La divisione del lavoro sociale", Edizioni di Comunità, Torino, 1999.

Emile Durkheim "Le regole del metodo sociologico", Editori Riuniti, Roma, 1996.

Paolo Inghilleri "Esperienza soggettiva, personalità, evoluzione culturale", UTET, Torino, 1995

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