Emanuele
Fontana
recensione di: Emile
Durkheim |
La "coscienza collettiva" come primo momento di costruzione della solidarietà sociale
Suddiviso in tre libri, funzioni,
cause e forme anomale, il fondamentale testo di Durkheim è un'analisi
puntigliosa della divisione del lavoro sociale oltre il riduzionismo economico
e le implicazioni politiche. In questo modo rappresenta una testimonianza della
universalità della sociologia: disciplina insicura fino alla definitiva
consacrazione avuta dai lavori del Durkheim stesso e di altri grandissimi, fra
cui Pareto, Michels e non ultimi Weber e Marx.
La divisione del lavoro sociale non è un testo di organizzazione, non
traccia la suddivisione delle funzioni aziendali, ne tanto meno fornisce un
quadro esaustivo dell'articolazione del sistema economico di allora.
Il testo di Durkheim è una gigantesca analisi del sistema sociale occidentale
fino alla fine dell'ottocento che anticipa e determina, per molti aspetti, i
rapporti di convivenza della contemporaneità.
All'interno del costrutto teorico del positivismo Durkheim analizza in modo
originale ed elegante le modalità di creazione, evoluzione e i sistemi
di sopravvivenza della civiltà moderne.
Si concentra sull'articolazione sociale della solidarietà, come costrutto
unico del vivere insieme. Parla in prima istanza, attraverso l'analisi di fatti
oggettivi, quali le regole del diritto, di solidarietà meccanica. Questa
è l'elemento coesivo delle società fondate sull'accettazione di
presupposti di aggregazione in funzione della prescrizione di comportamenti.
Il diritto che regola la convivenza delle società primitive, fondate
sulla solidarietà meccanica, è il diritto penale, applicazione
delle regole prescrittive della morale condivisa, della coscienza collettiva.
Sulla base di questa prescrizione morale prima e sostanziale poi il diritto
si afferma e funge da mezzo regolatore dei rapporti sociali.
Uscendo ora da una interpretazione rigorosamente meccanicista, come universalmente
è accordata al pensiero positivista di Durkheim, mi sembra opportuno
far notare che in realtà le argomentazioni del lavoro durkheimiano siamo
di fondamento per successive elaborazioni concettuali che sanciscano un approccio
diverso. Il pensiero di Durkheim si adatta a segmenti specifici della dinamica
sociale, fornendo illuminanti interpretazioni di cosa fa e come funzione un
micro sistema sociale.
La trattazione dell'approccio oggettivo con l'indagine sulla funzione del "diritto
penale" e del "diritto privato" è sicuramente da non ridurre
ad un semplice portato del meccanicismo ma vuole essere piuttosto un sistema
di analisi delle modalità di produzione della società.
Questo si nota soprattutto con il progredire del ragionamento di Durkheim. Dalla
società fondata sulla solidarietà meccanica si passa a quella
fondata sulla solidarità organica. Dove il diritto, visto ancora come
sistema di regole comuni, riduce il suo carattere prescrittivo divenendo restitutivo.
L'evoluzione in diritto restitutivo è la trasformazione dei rapporti
di solidarietà dalla prescrizione del diritto penale, delle società
primitive, al rispetto dei rapporti contrattuali che fondano le società
liberali dell'ottocento. Naturalmente Durkheim si ferma qui, non ha vissuto
oltre i primi decenni del '900. Le sue idee però servono anche in tempi
più recenti, fino a delineare, secondo me, i tratti della contemporaneità.
Da sottolineare la riscoperta, mai tardiva, ma sicuramente rivoluzionaria dal
punto di vista dell'approccio, che Csikszentmihalyi (pron. Cizentmiali) opera
con la costruzione del concetto di "rappresentazione sociale": clone
sistemico del concetto di "coscienza collettiva" del Durkheim. La
coscienza collettiva non è altro che il portato funzionalista della società
a solidarietà meccanica e ugualmente diventa il valore fondamentale della
società a solidarietà organica.
La rappresentazione sociale moderna, si parla di una elaborazione degli anni
70 del '900, è la riproduzione più marcatamente costruttivista
dello stesso concetto.
Lo scarto non è da poco ma bisogna pur considerare gli ottanta anni di
differenza fra i due autori. Quello che più interessa però è
vedere il concetto di "coscienza collettiva" come primo momento di
costruzione della solidarietà sociale. Elemento irrinunciabile per lo
sviluppo della civiltà.
Insomma sintetizzando un po' mi sembra che il lavoro di Durkheim sia valido
oltre la sua riducibilità al positivismo e fondi concretamente un approccio
sociologico teso a spiegare la civiltà occidentale in termini organici.
I diritti prescrittivo e restitutivo, costrutti normativi traducibili in diritto
penale e diritto privato, quest'ultimo comprensivo della partizione in diritto
commerciale, domestico, ecc., sono gli assi portanti della solidarietà,
cioè del modello di comportamento che suddivide il lavoro sociale e costruisce
la società.
Con l'arrivo dei concetti sistemici e l'estensione dell'autopoiesi a modello
interpretativo applicabile anche alla realtà sociale, il pensiero di
Durkheim sembra davvero ridursi. E in effetti è questo che succede. Il
discorso di Durkheim che fa della società il modello generativo dell'uomo
sociale diviene implicitamente riduzionista.
Ma se lo applichiamo alla realtà concomitante, al fatto oggettivo, non
smette di darci aiuto nel capire la società e soprattutto le comunità
al suo interno.
Sono convinto della validità del costruttivismo nello sviluppo della
coscienza personale e sociale ma resta il fatto che per determiniati momenti
della vita collettiva il fatto che sia la società a generare personalità
è indubbio. Per esempio con la divisione del lavoro in un'azienda il
portato sociale del gruppo comunica uniformità e se si vuol continuare
a rimanere in quel contesto è necessario uniformarsi. Sto parlando di
uniformità a obiettivi comuni non certo a valori universali, ancora riduco
per comprendere.
Il comportamento derivante dalla funzione ricoperta da un soggetto all'interno
di un'azienda, qualunque essa sia, è scandagliabile per mezzo dell'analisi
del costrutto normativo e morale. A questo si accompagna poi la realizzazione
del vivente ma è un discorso diverso. Quello che mi preme sottolineare
è che Durkheim è ancora valido se lo utilizziamo per comprendere
i fatti oggettivi in contesti ristretti, come la divisione del lavoro in un'azienda.
Non voglio, con questo, spersonalizzare la funzione ma renderla oggettiva perlomeno
nella sua essenza di qualcosa che serve ad un fine. Una azione o insieme di
azioni da realizzare per un obiettivo: il profitto, l'eccellenza, la qualità
o quello che si vuole.
Durkheim ci lascia la possibilità di applicare le sue teorie alla funzione
oggettiva, tutto il resto, quello che menti grandissime hanno formulato nel
'900, è il modello di lettura della vita in generale, diverso dal particolare
dell'analisi organizzativa. Non voglio far intendere che l'analisi debba essere
oggettivata e priva di riferimento al costrutto della complessità, sarebbe
sbagliato. Voglio solo mettere in evidenza che sono fondamentali approcci diversi
per realizzare compiutamente il vivere in società e capirne le dinamiche.
Riducendo la complessità ai nostri occhi.
Bibliografia.
Emile Durkheim "La divisione
del lavoro sociale", Edizioni di Comunità, Torino, 1999.
Emile Durkheim "Le regole del metodo sociologico", Editori Riuniti, Roma, 1996.
Paolo Inghilleri "Esperienza soggettiva,
personalità, evoluzione culturale", UTET, Torino, 1995