BLOOM! frammenti di organizzazione

Nicola Gaiarin

recensione di:
Nicholas Shakespeare
Bruce Chatwin:Strategie di un viaggiatore. Ovvero: imparare a pensare per frammenti.
Baldini & Castoldi, Milano 2001

Esplorare la complessità significa anche imparare a pensare per frammenti e connessioni tra parti distanti della realtà. Bruce Chatwin, viaggiatore, collezionista di idee luoghi e storie, affabulatore, truffatore e straordinario imprenditore di se stesso è stato in primo luogo un appassionato esploratore dei nessi invisibili e – a volte – immaginari che tengono assieme le tessere dell’esperienza. La dettagliata biografia scritta da Nicholas Shakespeare nel 1999 – e ora ripubblicata in edizione economica – offre un ritratto a tutto tondo di un autore che è ormai diventato l’icona inflazionata di un certo modo di viaggiare: il viaggio come esplorazione un po’ snob, distaccata, con la penna sempre accanto; ma anche l’esplorazione a portata di tutti, l’avventura a buon mercato. Se i tour operator trattano pacchetti-vacanza per la Patagonia e se le librerie, accanto alla cassa, sfoggiano il set completo dei quaderni Moleskine, con la loro inconfondibile copertina nera e ruvida, lo si deve in gran parte alla straordinaria ostinazione con la quale Chatwin ha voluto e saputo creare il proprio mito. Il suo nome è diventato uno straordinario fenomeno di marketing.

Dietro il mito e l’immagine, dietro il velo delle storie romantiche e spesso inverosimili con le quali Chatwin era solito condire ogni incontro un po’ fuori del comune, si trova però un core, un centro di attrazione, qualcosa di cui non si riesce a fare a meno: l’esperienza e l’affabulazione, vale a dire la vita e la capacità di raccontarla e condividerla con gli altri. Imbattendosi in Chatwin non ci si trova di fronte ad un "grande" autore, ma a un individuo capace di creare una rete di narrazioni – precise, dettagliate e assieme evanescenti e ossessive – che sono innanzitutto disperati tentativi di lanciare un ponte verso le altre persone. Lasciando da parte le spiegazioni psicanalitiche e genealogiche con le quali Shakespeare tenta di decifrare il senso di sradicamento dello scrittore, quello che colpisce in Chatwin è il ritmo. Il passo preciso del viaggiatore che viene raddoppiato dalla scrittura nitida su di una pagina piana, priva di ostacoli e senza una vera tensione stilistica. In fondo, quello che conta è l’esperienza, la distanza incolmabile tra la scrittura e quello che si è visto e toccato. La complessità sfugge sempre alle maglie del racconto, e allora si dovrà riprendere in mano la penna, ritrovare la cadenza ipnotica della voce. Riassorbire la turbolenza di un ambiente complesso nella griglia – sempre troppo ordinata – del racconto.

Se la biografia di Shakespeare si può dire riuscita, è proprio per la sua capacità di rendere, nel racconto di una vita, la stessa insoddisfazione che si sente nelle opere di Chatwin. Quindi non si tratta di una "grande" biografia, ma appare piuttosto come il resoconto zoppicante di un percorso ormai lontano. Una collezione di dati che, imitando la tentazione enciclopedica di Chatwin, vuole dire tutto, raccogliere tutte le testimonianze, tutti i particolari, tutti i pezzi del puzzle. Con la sensazione che la costruzione biografica si stia per sbriciolare da un momento all’altro. E alla fine si torna con insistenza su quello che continua a sottrarsi alla pagina: il volto del viaggiatore, i suoi occhi azzurri, la sua voce, il suo fascino distante. Tutto reso attraverso un’altra rete di riferimenti incrociati: Chatwin come Stevenson, come London, come T.E. Lawrence. Chatwin come Chatwin, nella continua rifondazione del proprio mito. A partire dal cognome, di probabile derivazione anglosassone, che potrebbe risalire al termine Chettewynde, "sentiero tortuoso" oppure "spirale ascendente". La spirale mobile dell’affabulazione che dovrebbe tener lontano la "bestia" (il pericolo o il caos) in una specie di riproposizione letterale del mito di San Giorgio che trafigge, come nel quadro di Paolo Uccello, il drago.

Shakespeare si muove tra i diversi volti di Chatwin accumulando decine di aneddoti. Vediamo così scorrere davanti a noi il giornalista che faceva impazzire i colleghi partendo all’improvviso per la Patagonia; il viaggiatore ipocondriaco sempre pronto a esagerare un malanno e a trasformare una spedizione in Afganistan in un incubo; l’elegante inglese affascinato dai nomadi e dalla loro irrequietezza che per tutta la vita tenta di scrivere su di loro (il saggio mai pubblicato L’alternativa nomade e i frammenti di Le vie dei canti sugli aborigeni australiani); il bambino che osservava il proprio futuro nella vetrinetta di famiglia piena di cimeli esotici. Quegli stessi cimeli che daranno forma ai suoi libri: il lembo di pelle di un animale preistorico che lo porterà sulle tracce di uno zio ai confini del mondo (In Patagonia), una collana africana che anticipa la storia di un trafficante di schiavi sulle coste del Benin (Il vicerè di Ouidah), alcune porcellane che riappariranno tra le mani di un immaginario collezionista praghese (Utz). Ogni esperienza può riemergere, rielaborata o mascherata, in un testo o in un aneddoto successivo. Shakespeare tenta di rendere questa complessità costruendo la biografia a strati, come l’arazzo peruviano di piume di pappagallo, uno dei pochi oggetti ai quali Chatwin "non avrebbe mai potuto rinunciare".

Scrivere su Chatwin significa dunque compiere un’operazione di secondo grado, lavorando su una materia non perfettamente formata che continua a oscillare tra la voglia di dire le cose come stanno e la necessità di bluffare. Chatwin, sotto la maschera dello scrittore, celava sempre il volto "furbo" dell’attore, l’imbroglione che, come Falstaff, cerca sempre di affascinare l’interlocutore per ottenere qualche vantaggio. La scrittura, anche quando sembra priva di particolari difficoltà, nasconde sempre un doppiofondo da decifrare, e così anche la narrazione di una vita – la propria o quella di un’altra persona – offre uno spessore da percorrere in modo trasversale. Come un flusso comunicativo all’interno di un’organizzazione, il percorso è sempre multidirezionale, caratterizzato da distorsioni di senso e deviazioni del flusso. Il messaggio non è univoco ma ridondante, pieno di entrate e uscite o di vicoli ciechi. La complessità richiede una scrittura complessa (che non vuol dire difficile) e la turbolenza può essere attraversata da sentieri sinuosi.

Chatwin, anche se è morto giovane, ha iniziato a scrivere abbastanza tardi. Per alcuni anni la sua attività principale è stata quella di esperto nella famosa casa d’arte Sotheby’s. Era entrato nello staff londinese grazie a una raccomandazione, e aveva scalato rapidamente la gerarchia interna grazie a una buona dose di fortuna e di faccia tosta. Ma soprattutto, oltre a possedere una memoria fotografica, era dotato di una life skill davvero sorprendente. Chatwin aveva occhio: l’occhio pronto di chi sa individuare, in una collezione di oggetti dozzinali, il pezzo raro, l’oggetto insolito, l’anomalia che modifica un’attribuzione. Questa qualità dello sguardo costituisce anche l’origine della sua tecnica narrativa. I romanzi di Chatwin, infatti, al di là del loro valore intrinseco, nascono sempre da un’occasione, dall’incontro con un oggetto o con un individuo fuori dagli schemi. Tra le nozioni chiave della nostra epoca troviamo quella di flessibilità: quello di Chatwin era uno sguardo flessibile, un’attitudine a cogliere la differenza e articolarla in una serie di collegamenti a rete. Per questo, nonostante le pose snobistiche da esploratore vittoriano, lo scrittore inglese rappresenta a tutti gli effetti un individuo proiettato verso il futuro, un uomo della velocità (i colleghi rimanevano stupiti dalla sua capacità di maneggiare nuove idee in brevissimo tempo) e, soprattutto, un uomo d’immagine, abilissimo nel creare il proprio mito adattando le skills alle situazioni e mettendo ogni incontro al servizio di un progetto più ampio.

In un certo senso la vita di Chatwin risulta molto più interessante della sua opera. La narrazione biografica diventa l’esplorazione delle innumerevoli strategie messe in atto dallo scrittore per ottenere determinati risultati: il miglioramento economico, l’accumulo ossessivo di oggetti rari, la possibilità di viaggiare intorno al mondo. La flessibilità si configura allora come gestione strategica delle situazioni: la capacità di cogliere in anticipo le soluzioni di un problema o i vantaggi di una congiuntura sfavorevole. Come nei trattati orientali dedicati all’efficacia dell’azione militare, la qualità essenziale consiste nella corretta valutazione del potenziale di una situazione: le linee di sviluppo future, i punti di contatto con gli obiettivi a lungo termine. La narrazione diventa così la capacità di riconnettere i frammenti all’interno di una cornice supplementare, una sorta di ristrutturazione cognitiva che permette di condividere le proprie esperienze attraverso il filtro del racconto e, soprattutto, di imporre come una griffe il proprio stile di vita. Chatwin diventa il collezionista, l’angelo caduto, l’archeologo eccentrico, il commerciante senza scrupoli, l’amante distaccato. Scrivendo tentava di far coincidere l’immagine che aveva di sé con quello che lasciava intravedere agli altri. Attraverso questa gestione "narrativa" della propria immagine passa il suo straordinario successo postumo, con relativo contorno di merchandising "indiretto": quaderni, libri, viaggi, bermuda, sandali Birkenstock, mostre fotografiche, interni a tinte sfumate, esotismo chic. Forse Chatwin non è un grande scrittore, ma è stato senza dubbio un raffinato stratega della complessità.

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