BLOOM! frammenti di organizzazione

Nicola Gaiarin

recensione di:
Arte di ascoltare e mondi possibili.
Marianella Sclavi
Le Vespe, Milano 2001

Esplorare l’imbarazzo

Quando ci troviamo di fronte a una complicazione imprevista o a un problema da risolvere la nostra reazione immediata è di tipo difensivo. Cerchiamo un terreno solido sul quale poggiare i piedi, arretriamo su posizioni di retroguardia, ci arrocchiamo in una zona di sicurezza. Tentiamo di tenere le cose sotto controllo tirando la testa dentro il guscio, come le tartarughe. Soprattutto, dato che di solito i problemi ci espongono al giudizio di altre persone, cerchiamo disperatamente di evitare le situazioni imbarazzanti. Ogni individuo si trasforma in uno spin doctor, un mago della comunicazione che controlla la propria immagine, stando bene attento ai segnali che emette e all’impressione che dà di sé. Non sempre le mosse difensive che improvvisiamo ottengono l’effetto voluto e qualche volta rischiamo di fare un passo falso, rivelandoci goffi e impreparati a gestire una situazione difficile o un conflitto. Ma il problema è un altro: proprio quando le nostre strategie di controllo dell’imbarazzo sono efficaci perdiamo qualcosa di importante. Evitiamo di inciampare, ma sottraendoci all’imprevisto non riusciamo a fare una "reale" esperienza. Non impariamo niente di nuovo e ci limitiamo a confermare i nostri presupposti e i nostri pregiudizi.

Marianella Sclavi è un’antropologa che insegna Arte di ascoltare e gestione creativa dei conflitti al Politecnico di Milano. Dopo aver costruito nel corso degli anni un originale percorso esplorativo attraverso la pragmatica della comunicazione e la formazione multiculturale, ha raccolto le sue lezioni e i suoi articoli in un volume, Arte di ascoltare e mondi possibili, che affronta con leggerezza questioni molto importanti. Al centro del suo lavoro troviamo proprio la nozione di imbarazzo, solo che in questo caso l’accento viene spostato e la situazione iniziale capovolta. L’imbarazzo e la goffaggine, il passo falso e l’incidente di percorso rappresentano momenti indispensabili per allargare l’esperienza e per imparare cose nuove. Rimuovere le situazioni imbarazzanti e i fraintendimenti comunicativi equivale in un certo senso a inceppare i processi cognitivi nascondendo la testa sotto la sabbia. L’autrice sottolinea l’importanza dell’atteggiamento esplorativo: sbagliare significa iniziare un’avventurosa esplorazione di mondi possibili e di contesti comunicativi differenti dai nostri. Apprendere, secondo l’insegnamento di Gregory Bateson, vuole dire in primo luogo "apprendere ad apprendere", intraprendere la via del meta-apprendimento. L’esploratore dei mondi possibili osserva il modo in cui impara attraverso le lenti dell’errore. Solo le continue correzioni dei propri passi falsi permettono un progressivo allargamento dell’esperienza. "Sbagliando s’impara", come si insegna ai bambini, ma soprattutto "osservando le nostre progressive autocorrezioni impariamo ad imparare".

Il termine "esperienza" rimanda etimologicamente a "pericolo" ed "esperimento". L’esperienza è un’avventura, perché implica l’uscita dai nostri presupposti e dalle nostre cornici per entrare in una dimensione non familiare e non prevedibile. Per fare esperienza occorre valorizzare proprio quegli imprevisti che di solito cerchiamo di scansare e tenere lontani. Nonostante tutta la nostra buona volontà, siamo ben poco disposti ad avventurarci in situazioni che non riusciamo a tenere del tutto sotto controllo. Preferiamo affrontare i momenti difficili o i conflitti mettendoci al sicuro e rintanandoci dietro i bastioni del buon senso. La maggior parte delle volte, invece, fare un’esperienza significa affrontare l’impatto di uno spaesamento creativo. Ci troviamo fuori posto, ci sentiamo in imbarazzo, sotto gli occhi di tutti, come se le pareti dell’abitudine fossero diventate trasparenti. Ma dobbiamo accettare la sfida lanciata da questo senso di estraneità. Secondo Marianella Sclavi la gestione creativa dei conflitti implica infatti un savoir faire della complessità, un’arte dell’imbarazzo che consiste nell’imparare a comportarsi in modo goffo e ridicolo. L’incidente di percorso, insomma, diventa il perno su cui si articola l’apprendimento e deve perciò essere valorizzato o addirittura cercato volontariamente.

Questo manuale di imbarazzo creativo è ricco di esempi illuminanti e divertenti. Ci sono giochi sorprendenti e strani racconti che affrontano questioni decisive: dopo tutto, come sa bene ogni giocatore, il gioco (e la narrazione) è una cosa seria, che coinvolge direttamente l’identità dei partecipanti. Troviamo ad esempio la storia di Pap Khouma, narratore interculturale e immigrato clandestino, che scambia i bagnini per poliziotti correndo a nascondersi dietro gli ombrelloni di Riccione. Oppure vediamo all’opera l’autrice stessa, coinvolta in situazioni umoristiche e surreali in un parcheggio di New York o in un quartiere popolare di Roma. Quello che conta, in tutti questi racconti ricchi di passi falsi e brutte figure, è la capacità di portare in primo piano particolari incongrui e fuori posto. Un dettaglio apparentemente trascurabile può ribaltare di colpo la prospettiva e gettare l’osservatore all’interno della scena osservata. Possiamo pensare al caso del celebre antropologo Edward Hall – il fondatore della prossemica – che si trova sballottato come un pacco da un albergo di Tokyo all’altro, con quella che lui inizialmente percepisce come un’incredibile mancanza di riguardo. Ma ben presto si rende conto che un comportamento che in un albergo europeo o americano verrebbe interpretato come un insulto intollerabile, in Giappone testimonia invece una familiarità che di solito viene concessa solo ai membri della famiglia. Hall, che si ritrova la camera d’albergo occupata senza il minimo preavviso, è oggetto di una manifestazione di sommo rispetto da parte del personale: solo "uno di casa" può ricevere un trattamento così poco formale! Insomma: per comprendere davvero un’altra cultura o un’altra persona occorre far leva sulle incomprensioni e sulle situazioni incongrue. L’imbarazzo può funzionare come efficace operatore comunicativo che permette di fare esperienza delle differenze culturali. Quello che conta è l’atteggiamento dell’attore sociale, che dovrebbe essere focalizzato sull’ascolto attivo e sulla disponibilità a mettere in gioco i propri presupposti impliciti.

La questione dei presupposti è decisiva all’interno delle ricerche di Marianella Sclavi. Molto spesso ragioniamo in termini di azioni e comportamenti, dimenticandoci che il senso di un’azione viene determinato dal contesto entro cui si inserisce. I fraintendimenti e i pasticci comunicativi avvengono perché di fronte a un problema non riusciamo a uscire fuori dalle nostre cornici implicite. Diamo per scontate le nostre premesse e non comprendiamo che il nostro punto di vista può appartenere a un contesto comunicativo diverso da quello di chi ci sta di fronte. Risolvere un problema può voler dire cambiare non il nostro punto di vista, ma la cornice che determina il punto di vista stesso. Come dice l’autrice "ci sono cambiamenti entro un campo, entro una cornice, e cambiamenti di campo, della cornice". L’arco di possibilità entro il quale racchiudiamo la comprensione di una situazione viene in questo modo allargato e riusciamo a vedere le cose "in modo diverso". Solo questa variazione del contesto può permettere un intervento efficace per la risoluzione di problemi particolarmente aggrovigliati. Occorre perciò allenarsi ad assumere una specie di "imbarazzo preventivo" che consente di spostare l’attenzione sulla natura relazionale dell’atto comunicativo. L’arte di ascoltare di cui parla il titolo consiste nella capacità di connettersi in modo più ricco a se stessi e al mondo.

Dobbiamo però tenere presente un altro elemento: uscire dal proprio campo comunicativo non significa adottare quello dell’interlocutore. Si tratta invece di assumere un atteggiamento ambivalente o paradossale. Le matrici percettive devono essere bisociate, vale a dire sovrapposte, incrociate, annodate l’una all’altra. Edward Hall, infuriato e stupito per la sua avventura giapponese, non si limita ad assumere il punto di vista degli "altri", ma comprende la loro azione assumendo contemporaneamente due diverse cornici metacomunicative. Continuando ad essere un occidentale, Hall sovrappone per un attimo le proprie cornici a quelle dei giapponesi e raddoppia il punto di osservazione. Marianella Sclavi ci ricorda che non si arricchisce l’esperienza saltando da un contesto all’altro, ma imparando ad essere "strabici", guardandosi allo stesso tempo dall’interno e dall’esterno. Un esercizio difficile, ma molto simile a quello che accade quando giochiamo o ridiamo per aver fatto una figuraccia. Manteniamo le nostre cornici ma le osserviamo dall’esterno, creando una distanza da noi stessi. In poche parole, impariamo ad esplorare i mondi possibili che abitano all’interno del nostro.

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