BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 29/07/2002
Attilio Pagano

recensione di:
Partecipare alla costruzione del proprio mondo
M. Sclavi, I. Romano, S. Guercio, A. Pillon, M. Robiglio, I. Toussaint,
Avventure Urbane. Progettare la città con gli abitanti,
Elèuthera, 2002

Circa 10 anni fa, Iolanda Romano, una giovane laureata in urbanistica, si recava da Torino a Londra per studiare le esperienze di progettazione urbana partecipata là in atto. Ritornò a Torino convinta che quella modalità di progettazione potesse essere ripresa anche in Italia e, con il suo entusiasmo, contagiò un gruppo di colleghi al punto di vincere le resistenze e diffidenze diffuse (“non funziona, non serve a niente, non siamo in Inghilterra”). Alla prima occasione il gruppo si mise all’opera: era nata Avventura Urbana.

 

Quella prima occasione era un incarico non retribuito ricevuto dal Comune di Nichelino, nella cintura Torinese. Da allora Avventura Urbana ha moltiplicato le sue attività, ha passato crisi e vissuto successi. Nel suo percorso ha continuamente messo in discussione le modalità per realizzare la partecipazione degli abitanti.

Durante uno dei momenti di impasse, il gruppo di Avventura Urbana ha incontrato Marianella Sclavi, docente al Politecnico di Milano di Etnografia urbana, Arte di ascoltare e Gestione creativa dei conflitti. Quell’incontro ha consentito l’acquisizione da parte degli urbanisti di Avventura Urbana di una comprensione più ampia e sistemica dell’approccio alla progettazione partecipata. Un approccio secondo cui la gestione dei conflitti originati da premesse implicite richiede uno spostamento di prospettiva dai comportamenti e dai contenuti alle cornici relazionali e culturali.

Dalla collaborazione tra Marianella Sclavi e gli urbanisti di Avventura Urbana nasce un libro (Avventure urbane, appunto), nel quale, con la voce diretta dei vari protagonisti, si racconta come sono state sviluppate forme di progettazione urbana partecipata in progetti di riqualificazione di caseggiati, quartieri e città, considerati come sistemi sociali complessi. E proprio nella concezione della complessità che sta alla base di queste storie, possono trovare ragione di interesse anche quanti non appartengono alla comunità degli urbanisti.

Nei quartieri, nelle città e, allo stesso modo, anche nelle imprese, si ha complessità quando aumentano interdipendenza e specializzazione e quando le persone, in base alle proprie premesse implicite, attribuiscono significati diversi al medesimo fenomeno, alla stessa idea. La gestione delle premesse implicite, a esempio, sulle “case popolari”, è uno degli sforzi che architetti e urbanisti dovrebbero compiere per riavvicinare progetto e partecipazione, ma che non sempre fanno.

Il peso delle premesse implicite è fortemente condizionante anche in altri contesti socio-organizzativi, come la gestione di imprese e organizzazioni.

Nel capitolo intitolato “lo spaesamento del progettista”, Marianella Sclavi dice “lo iato tra partecipazione e progetto nasce dall’assunto che i sistemo sociali siano trattabili come sistemi semplici nei quali c’è una interpretazione che vale (affidata agli esperti) e le altre sono o sbagliate o trascurabili”. È spontaneo cogliere un riferimento alle criticità che hanno dovuto affrontare tanti  processi di riorganizzazione e ristrutturazione d’impresa (Business Process Reengineering), o, in scala più piccola, alle ricorrenti difficoltà dei Project Manager.

Diversi sono i livelli di interesse di queste Avventure Urbane.

Innanzitutto la struttura: non è né un saggio, né un manuale, ma un dialogo a più voci, una vera propria partitura. Il racconto di storie ed esperienze non sacrifica l’elaborazione teorica. Le varie testimonianze sono infatti ricche di suggerimenti, considerazioni retrospettive, descrizioni di come talvolta una azione abbia dato luogo a un apprendimento, a una presa di coscienza. Non manca, del resto una parte teorica, per così dire più ‘classica’. La troviamo nella introduzione di Marianella Sclavi, nel glossario, che non è esteso ma va in profondità sui concetti e le parole chiave, e in una breve postfazione di Giancarlo De Carlo, uno ‘storico’ fautore della progettazione partecipata.

Un secondo livello è rappresentato dalla storia d’impresa del gruppo Avventura Urbana, che rappresenta un avvincente esempio di leadership visionaria che motiva e si concretizza in azione e organizzazione.

Quindi c’è il livello di una Vision (la descrizione di un mondo possibile da realizzare: una città progettata dai suoi abitanti) che diventa azione e forma una Mission (le cose da fare per realizzare quel mondo possibile: l’outreach - andare fuori -, la passeggiata di quartiere, le mappe cronotopiche, il planning for real - gioco delle carte opzione su un plastico -, il palo dell’ascolto, la gestione creativa dei conflitti ecc.), mettendo in atto Valori (il rispetto dell’altro, della sua intelligenza).

I manager possono trovare spunti di riflessione nella ricerca di analogie tra queste storie di progettazione partecipata e i loro problemi di gestione della complessità organizzativa. A esempio, con riferimento all’ascolto dentro l’organizzazione, leggiamo “non ci si limita a osservare, ma si deve interagire con delle persone che sui problemi del quartiere sanno molto più di te”. Basterebbe sostituire alla parola “quartiere”, la parola “reparto”, o “magazzino” e si avrebbe la rappresentazione di una realtà in cui molti manager e consulenti potrebbero facilmente riconoscersi. Oppure leggiamo “questo modo di procedere dal puntiforme alla conformazione generale mi fa venire in mente l’approccio che i teorici della complessità chiamano puzzle-solving, consigliato al posto del problem-solving quando una situazione è molto complessa e imprevedibile. Si comincia ad agire in un certo punto, in una certa area, e alla luce del risultato si tenta di rileggere l’intera situazione e di capire quali altri passi sono possibili. In sintesi: cosa ha progettato uno lo sa solo a posteriori, solo a lavoro compiuto”. È facile cogliere un importante segnale di attenzione agli errori che possono derivare dalle eccessive semplificazioni e dall’affidamento acritico a modelli di gestione basati su una concezione di prevedibilità e linearità dell’agire organizzativo.

In generale, uno dei principali insegnamenti che si possono trarre dalla letture di queste Avventure Urbane è che la gestione nella complessità non può prescindere dalla diffusione di competenze di ascolto attivo, sensibilità ai segnali deboli, gestione creativa dei conflitti.

Va poi notato che, se questo libro racconta storie di progettazione urbana partecipata, i suoi effetti si fanno sentire anche al di fuori dell’area disciplinare urbanistica. A Milano un gruppo di professionisti con origini e provenienze eterogenee (consulenti d’organizzazione, formatori, esperti di gestione creativa dei conflitti) ha conosciuto l’esperienza di Avventura Urbana e si è riconosciuto nel progetto di rielaborarne principi e modalità di gestione della complessità per proporli a imprese, amministrazioni pubbliche e organizzazioni non profit, costituendo l’associazione Medialoghi (medialoghi@libero.it).

 

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