BLOOM! frammenti di organizzazione

Davide Rigamonti

recensione di:
La valutazione del capitale intellettuale.
Di A. Cravera, M.Maglioni, R. Ruggeri 
Editore il Sole 24 Ore

Ricordo uno spot televisivo di qualche anno fa, in cui un giovane idraulico correva all’interno di una stanza per arginare con dei rubinetti le sempre più frequenti perdite d’acqua.

Ebbene, immaginate che questo stesso idraulico, con il passare dei minuti, fronteggi la situazione utilizzando rubinetti più grandi in grado di ostruire più falle contemporaneamente, sia capace di prevedere le successive fuoriuscite riuscendo nel frattempo ad asciugare il pavimento bagnato.

Che valore ha tutto questo? Come possiamo misurare la sua capacità di innovazione? Come quantificarla e comunicarla all’esterno?

Questo è ciò che cercano di fare gli autori ne "La Valutazione del Capitale Intellettuale".

Questo saggio, incluso all’interno delle tematiche relative alla new economy, parte dall’illustrazione di ciò che rappresenta il capitale intellettuale, ovvero l’insieme di tutte le conoscenze che le persone di un’azienda possiedono e che sono in grado di conferire all’azienda stessa un vantaggio competitivo, in particolare in un sistema economico in continua evoluzione.

Successivamente gli autori ci accompagnano, attraverso un excursus storico, nella ricerca di una modalità di misurazione del valore che culmina con l’introduzione di un modello attraverso cui valutarne la portata.

Tale modello trae le origini dal "Value Platform", attraverso cui è possibile esemplificare le interrelazioni fra le tipologie di capitale intellettuale e identificare in queste interrelazioni i principali driver di creazione del valore.

In particolare il capitale intellettuale è dato dalla somma del Capitale Umano del Capitale Organizzativo e del Capitale Cliente.

Gli autori propongono una categorizzazione simile ridenominando le diverse componenti in:

Al fine di poter monitorare e gestire le correlazioni tra questi elementi occorre identificare alcuni indicatori intangibili che, seguendo l’approccio di Karl Erik Sveiby, vengono classificati in crescita, stabilità ed efficienza.

L’iscrizione di tali asset, anch’essi intangibili, in un bilancio costituisce una duplice opportunità: da un lato una maggiore trasparenza nei confronti del mercato e degli investitori, che sono posti a conoscenza di caratteristiche che possono determinare un loro investimento a medio/lungo termine, limitando ad esempio la volatilità di società neo quotate della new economy, dall’altro la necessità aziendale di investire in un "Capitale Umano" in grado non solo di predire il futuro, bensì di costruirlo governando le discontinuità e creando nuove opportunità di crescita e di sviluppo individuale e di sistema.

In sintesi il libro rappresenta una fonte a cui attingere per coloro che vogliono approcciare le tematiche relative agli intangible assets. La diffusione di tali concetti è auspicabile diventi sempre più capillare così da stimolare le aziende a sviluppare maggiormente le proprie risorse, ovvero lo "strumento" migliore per dare sempre maggior valore aggiunto e unicità alla propria attività.

Quell’idraulico probabilmente sarebbe oggi davanti ad un computer a monitorare lo stato di solidità dei tubi? Io me lo immagino probabilmente un po’ più vecchio, con qualche chilo di troppo ma soddisfatto e soprattutto meno affaticato e voi?

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