BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 10/03/2008

Stefano Rosato

IL SORRISO DELLA POTENZA

recensione di:
Marco Poggi ,
Lungo la linea del tempo
,
Guerini E Associati, Milano, 2007

 

Sta nei sogni dei teppisti
e nei giochi dei bambini,
nel conoscersi del corpo,
nell'orgasmo della mente,
nella voglia più totale,
nel discorso trasparente.
Ma chi ha detto che non c’è.

Gianfranco Manfredi, 1976

Lungo la linea del tempo, il romanzo di Marco Poggi uscito a novembre 2007 per i tipi di Guerini e Associati e che qui recensisco, è un libro difficile. Lo è, anzi tutto, quanto alla forma, poiché il genere letterario del conte philosophique è, da un lato, desueto, avendo raggiunto l’apice del proprio successo nel lontano diciottesimo secolo, e, dall’altro, molto complesso dal punto di vista narrativo: situandosi a metà strada fra il romanzo e il saggio filosofico usufruisce, infatti, di un doppio registro argomentativo. Si aggiunga a ciò il fatto che la struttura linguistica presenta anche elementi di poesia lirica vera e propria, in ispecie nelle aperture e nelle chiusure dei singoli capitoli, che evocano precisi stati psicologici spesso collegati a eventi naturali, per il tramite di brevi, fulminee folgorazioni icastiche affidate a rumori, colori, odori e sapori. Lo stile narrativo è piano e tranquillo solo in apparenza: vi sono, infatti, accelerazioni financo violente, che accompagnano il manifestarsi miracolistico dei momenti di agnizione dei vari personaggi fra loro e con il mondo della conoscenza interiore che essi stessi determinano nell’essere molteplice del loro relazionarsi. La componente del raisonnement filosofico, invece, è molto piana e chiara e adombra quella che Tomasi di Lampedusa ebbe a definire la “serenità di un dialogo platonico”. Quest’articolatissima forma narrativa non è, peraltro, fine a se stessa, ma rappresenta una complessità contenutistica molto evidente, trovando trattazione, nello svolgimento della vicenda, molte delle tematiche chiave dell’epoca nostra: partendo dalle potenzialità della globalizzazione per giungere alle diverse ipotesi del suo attraversamento, Poggi lascia che reagiscano fra loro, quasi chimicamente, molte delle più suggestive teorie filosofiche contemporanee. Da Nietzsche a Foucault, da Jung a Lacan, dalla riscoperta della filosofia orientale e sciamanica all’alchimia e al misticismo esoterico e iniziatico occidentale, dall’idealismo hegeliano-marxista alla post-dialettica dell’immanenza, molti dei luoghi alti dell’elaborazione filosofica del ventesimo e dell’inizio del ventunesimo secolo vengono scandagliati, passati in rassegna e liberamente rielaborati in una sintesi assai originale. Sintesi che, tuttavia, non si propone mai come definitiva e liberatoria, ma solo come parziale e dunque aperta, alludendo sempre a un work in progress, a uno sviluppo in divenire, del quale non sia stata tracciata che una porzione, per un verso passata, per l’altro futura e che, quindi, si situa, metaforicamente rispecchiandolo, in quel presente che, come diceva Walter Benjamin, “polarizza la storia in pre- e post-accadere”.

La vicenda di questo Bildungsroman si sviluppa in una scuola di specializzazione per acceleratori dello sviluppo, che sono i maieuti del potenziamento del sé, i formatori del futuro, il cui scopo principale è quello di aiutare le persone che lavorano nelle organizzazioni a migliorare, in termini di efficacia, l’impatto del proprio operato in relazione agli obiettivi strategici e operativi di contesto. Dal punto di vista temporale, l’ambientazione è futuristica, essendo posizionata all’inizio del ventiduesimo secolo, quando il processo di globalizzazione, oggi ai suoi inizi, è stato ormai completato e le opportunità del business di stampo capitalistico si sono spostate su processi di colonizzazione planetaria. Questi ultimi sono, ovviamente, governati dalle grandi multinazionali, che devono fare i conti con problemi di complessità molto elevata, legati a criticità di natura logistica, manageriale e comunicativa, la cui soluzione può essere intrapresa solo da una nuova classe dirigente che possieda caratteristiche di flessibilità, adattamento e capacità relazionali di gran lunga superiori a quelle richieste nel passato. Nel corso dei decenni precedenti al periodo temporale nel quale Poggi ambienta la propria narrazione sono, pertanto, sorte alcune agenzie di accelerazione dello sviluppo, la più importante delle quali, Atanor, possiede una scuola di specializzazione nello stato di Goa, sulla costa occidentale dell’India. In quest’epoca il predominio culturale dell’occidente, e in particolare degli Stati Uniti, non ha più la forza di un secolo prima ed è in India che si sviluppano le idee maggiormente innovative e di rottura rispetto al passato. Pertanto la scuola di specializzazione di Goa è molto ambita per i laureati in scienze della mente, che si avviano a diventare gli acceleratori dello sviluppo professionale e personale delle nuove generazioni di manager. La protagonista del romanzo, Lia Bauer, una brillante neo-laureata, sceglie pertanto tale scuola per conseguire il master, e vi compie il proprio processo di formazione, del quale, appunto, il libro di Poggi si occupa.
Atanor è una scuola globale, nel senso che docenti e discenti, trainer e apprendisti, provengono da tutte le parti del mondo, sono, equamente, maschi e femmine, esprimono le più variegate preferenze sessuali, culturali e ideologiche. Ma è anche un scuola multiculturale e interdisciplinare, che si è definitivamente lasciata alle spalle le semplificazioni positivistiche delle business school e del behaviorismo formativo del ventesimo e del ventunesimo secolo, preferendo un approccio infinitamente più ricco, che coinvolga l’intera gamma delle possibilità umane, in termini tanto razionali quanto emotivi. Così, insieme alle sessioni di apprendimento delle tecniche di gestione delle relazioni individuali e di gruppo, la scuola propone anche percorsi di meditazione zen, di riflessione sul rapporto fra metafora e soggetto, di analisi dell’immaginario collettivo e della sua persistenza in forma di pregiudizio valoriale. Tuttavia, lo scopo di questa ricchezza di riferimenti, costantemente connessi fra loro a dar vita a un caleidoscopico sistema ermeneutico della realtà, non è primariamente oggettivo, cioè non è indirizzato alla costruzione di una rigida dialettica potere-sapere che ne sacrifichi le intime sorgenti di creatività sull’altare di quella che Poggi chiama una “metafisica della performance” (p. 141); al contrario, lo spazio semantico che essa apre è anzi tutto quello del soggetto relato a se stesso e ad altri, esuberante nel senso letterale del termine, fertile, gioioso, felice di conoscere e scoprire, di trasformarsi, di divenire, nietzscheanamente, ciò che è. E’ possibile superare l’orrore alienante e paralizzante creato dalla metafisica della performance solo attraverso un’alchimia della libertà che consenta ai soggetti (del lavoro vivo, cioè della vita) di riappropriarsi di quella felicità ideativa e produttiva che essi hanno effettivamente posseduto, lungo la linea del tempo: “nella vita non c’è niente come giocare” (p. 64). In questo senso il percorso proposto ad Atanor è un percorso iniziatico di stampo ermetico: si tratta di trasformare in oro il piombo (o, per usare i colori che Poggi mette in campo nell’ultimo capitolo del libro, in arancione il blu, in luce le proprie zone oscure), raggiungendo un livello di realizzazione spirituale che accompagni l’emergere di una competenza maieutica consapevole di sé. Peraltro, questo ermetismo si distingue da quello classico in quanto possiede un carattere, per così dire, democratico. La realizzazione spirituale connessa a quella dell’Opera è, per l’alchimista classico, fondamentalmente un’azione individuale, sia pure con connotati molto particolari (è dialettizzata dalla presenza del Maestro, da un lato, e, dall’altro, una volta raggiunta, desoggettivizza il soggetto). Nell’ermetismo democratico in cui si sostanzia, a mio giudizio, la suggestione più forte di Lungo la linea del tempo, la realizzazione diviene collettiva, senza perdere, tuttavia, la propria caratteristica individuale: “[…] Lia sentì intensamente l’energia del gruppo. Ebbe la sensazione di essere parte di un tutto. Presente come entità distinta ma al tempo stesso fortemente connessa a un corpo comune vivente” (p. 89).

Questo momento alto dell’esperienza collettiva e individuale a un tempo non viene, però, ipostatizzato da Poggi. In linea con gli svariati richiami alla filosofia orientale, anche la comunità della quale viene narrata la storia è impermanente. Tuttavia, ciascun soggetto porterà con sé quest’esperienza di comunità e individualità arricchendo altre, future, esperienze, tutte fra loro in connessione rizomatica (non a caso l’esergo del libro è costituito dalla citazione di una frase di Gilles Deleuze). Tale carattere di impermanenza della comunità possiede un’evidente rilevanza immediatamente politica, in quanto impedisce l’edificazione di strutture di potere definite una volta per tutte, all’interno delle quali si possano compiere “scelleratezze di ogni tipo” (p. 49) in nome della verità. Perché ciò non accada, ogni stadio di sviluppo, individuale e collettivo, deve sempre essere provvisorio, precario, continuamente riaperto e rimesso in discussione. Affinché esista un futuro, ogni presente deve poter divenire un passato, essere perennemente sottoposto alla duplice tensione del morire e rinascere, del solve et coagula alchemico: “Qui, nei dintorni del tuo presente, è la massima concentrazione della tua potenza” (p. 174). Potenza che, in ultima istanza, è potenza creatrice e bellezza del lavoro quando è al lavoro una bellezza; potenza che è libertà.

Pagina precedente

Indice delle recensioni