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Pubblicato in data: 05/07/2010

Giulio Scaccia

IL VIAGGIO COME ESPERIENZA

recensione di:
Paolo Rumiz
Annibale
Feltrinelli, 2008

Paolo Rumiz, abile narratore di percorsi e viaggi, ci porta con questo suo libro dentro la leggenda dell'eroe Cartaginese, il cui mito a più di duemila anni di distanza è ancora vivo  e visibile nella nostra terra.
Un lungo e bellissimo percorso che ricostruisce non solo le imprese, ma anche le paure e l’animo dell’uomo più temuto e odiato dai Romani.
Con Tito Livio e Polibio nella borsa, da solo o con compagni di viaggi esperti di storia e patiti del mito cartaginese, Rumiz parte; va su e giù per l’Appennino, i Pirenei e le Alpi, gira per i paesi del Mediterraneo a cercar tracce del Cartaginese che duemila e duecento anni fà partì dall’odierna Tunisia con 100 mila uomini al seguito, cavalli ed elefanti, attraversò la Spagna e la Francia, i Pirenei e le Alpi, calò sull’Italia dove sconfisse per ben tre volte i Romani, si alleò con le popolazioni locali e si trasformò in mito, mito che si svela ancora oggi nei luoghi più impensati, dall’Armenia alla Calabria.
Quello di Rumiz è un viaggio nello spazio e nel tempo ricco di suggestioni, capaci di trasformare e rendere fascino e giustizia alla Trebbia, come se fosse il delta del Mekong. Tra suggestioni e ricostruzioni, il mondo antico diventa contemporaneo, si abbattono i confini regionali e culturali che separano i paesi del Mediterraneo. Nord e Sud, Europa e Africa, Occidente e Oriente: queste diventano opposizioni la cui forza sbiadisce di fronte a un paesaggio impregnato di secoli di storia (e cultura) condivisa.
La ricostruzione storica qui dà il meglio di sé: non semplice cronaca, ma ricerca di senso, di significato e di pietre miliari condivise, che ci debbono far riflettere, soprattutto in questa epoca di scontri tra occidente ed oriente, tra nord e sud del mondo.
Ma il percorso di Rumiz non è solo una ricostruzione storica e letteraria: è un vera e propria esperienza, tesa a cogliere sfumature, contraddizioni, percezioni e paure di Annibale Barca, dei romani e di Scipione. E tutto questo è sintetizzato in una frase immortale dopo la battaglia di Canne, rivolta da Maharbal, comandante della cavalleria numida ad Annibale: “E’ chiaro che gli dei non danno tutti i doni ad uno stesso uomo. E tu sai vincere Annibale, ma non sai approfittare della vittoria”. Vincere scis, Hannibal, victoria uti nescis.
Il viaggio proposto diventa altamente metaforico. Diventa una tensione dentro di sé e verso l’esterno, verso il futuro o verso un obiettivo, una ricerca e una immersione dentro i protagonisti, ma anche dentro l’animo del narratore. Animo che si popola di dubbi, che aumentano nel cercare di dare un significato e una cornice agli eventi.
E qui compare il viaggio nella sua dimensione archetipale, simbolo della ricerca di verità, di spiritualità, di immortalità, di avventura. Da Ulisse ad Enea, ai viaggi di Gulliver, alla ricerca del Santo Graal, molti sono gli esempi in letteratura, nella storia, ma anche nella vita di ogni giorno, dell’istinto dell’uomo verso l’espansione, la ricerca. Una ricerca che non ha mai fine.
Il viaggio, vera scintilla dell’intelligenza divina, spinge l’uomo ad uscire dalle sicurezze, alla ricerca di qualcosa che manca o che si crede perduto, in una necessità costante di mettersi alla prova. E il viaggio aiuta l’uomo ad incontrare se stesso, apporta dei cambiamenti, agisce sul corpo e sullo spirito, trascinandolo come un’onda lunga verso l’unico vero viaggio di cui ogni altro è simbolo: il percorso di individuazione. E la ricerca di significato.

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