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Pubblicato in data: 12/09/2011

Giulio Scaccia

CONSAPEVOLEZZA E CONSISTENZA DI SE'

recensione di:
Salvatore Natoli
L'edificazione di sè,
Laterza, 2010

                                                                                                                       
Salvatore Natoli, professore di Filosofia teoretica presso l’Università di Milano – Bicocca, ci propone un saggio breve ma denso di contenuti e concetti stimolanti: il tema di base è l’identità, il rapporto con gli altri, il senso da dare alla propria esistenza in un mondo complesso, mobile e frammentato.
Il tema di base è la virtù, declinata nella fortezza, temperanza e coraggio, costruita e dimostrata nel rapporto verso di sé e verso gli altri.
Natoli non si riferisce alla virtù cristiana, la virtù che si genera nella privazione e nel rigore, parte dall’aretè dei greci: “Il termine appartiene alla medesima famiglia del verbo aretào, che vuol dire “prosperare” e persino “essere fortunati”. Significa anche fertilità. Possedere l’aretè ha allora il valore del mettere a frutto le proprie doti o predisposizioni. Se la si mette in questi termini, denota certa un possesso, ma è soprattutto risultato di un esercizio. Esige applicazione, necessaria alla valorizzazione. Aretè ha, infatti, la medesima radice, ar, del latino ars, che indica l’abilità nel costruire, nel fabbricare: denota perizia e invenzione. L’aretè è fondamentalmente una pratica efficace che dà risultati, ed è quindi degna di merito. E chi merita è, a sua volta, meritevole di essere riconosciuto per quel che ha fatto: ciò spiega perché in greco aretè significa “merito” e perciò anche stima, onore, perfino splendore.La virtù, a partire dalla stessa gamma semantica, indica, dunque, un’azione ben riuscita. (…) Avere aretè significava, inoltre, avere perizia nella corsa, nella velocità, nel duello, in battaglia. Perfino nella frode e nel delitto. In seguito l’aretè sarà anche una prerogativa dell’intelletto. Per virtuoso bisogna allora intendere colui che sa valorizzare le proprie doti e sa metterle a frutto; e nei riguardi di se stesso colui che è competente dei propri desideri e sa modularli in vista del bene. Così concepita, la virtù altro non è che abilità a esistere, è capacità di padroneggiarsi”.
E quali sono quindi le virtù da coltivare proposte da Natoli? La pazienza, il coraggio, la temperanza, la verità, la sincerità, la libertà. Quanto più saremo coscienti di noi stessi e di ciò che ci condiziona, tanto più saremo liberi.
Si può fronteggiare il destino solo scoprendo le proprie qualità e analizzando i condizionamenti. Ma per farlo occorre mettersi alla prova, osare, valicare l’ignoto. E’ proprio in tutto e per tutto l’aretè greca: la virtù è quindi intesa come la capacità di eccellere nella lotta con i limiti, non nella loro rimozione. Limiti che non sono solo quelli prodotti dalle condizioni esterne, ma sono anche quelli che appartengono alla propria soggettività e alla propria identità. Nella virtù è dunque implicita una capacità di riconoscere una misura che può essere scoperta solo attraverso la consapevolezza di ciò che potrebbe generare dolore e lo genera: il limite.
Nell’affrontare però il limite ed il proprio destino personale, non dobbiamo dimenticare i destini comuni. Per sviluppare e realizzare  la libertà personale è necessario fare comunità, crescere insieme: raggiungiamo l’altro solo nella sua libertà, perché anche l’amore non è possesso, ma reciprocità, confidenza e fiducia.
Le grandi bellezze di questo saggio si sintetizzano in un invito alla scoperta di se stessi e dell’altro, e in un forte sprone, affinché l’uomo diventi padrone del suo destino e responsabile di se stesso.

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