BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 08/05/2006
C'E' UN GRAN DISORDINE QUI SULLA MIA SCRIVANIA

di Francesco Varanini

Sapere locale non significa sapere parziale, gli spiegarono.
Esistono vari modi di conoscere.
Ognuno ha i suoi pregi, difetti, soddisfazioni.
La conoscenza storica e la conoscenza scientifica
rappresentano un modo di conoscere.
Come la conoscenza locale, richiedono apprendimento.

Ursula K. Le Guin

Biglietti del treno, custodie di occhiali, due diverse edizioni del Gattopardo, un libro di management in inglese, dato in lettura da un editore (“The Book will give you an understanding of what has made…”), le bozze di un mio libro ora finalmente in stampa, il libro di Ursula Le Guin da cui ho or ora copiato la frase posta in exergo, bicchieri vuoti e il vassoio del cibo di un forzato che lavora di domenica pomeriggio, un depliant dedicato alle iniziative culturali primaverili della Regione Toscana, una lettera di incarico per attività professionali da svolgersi nell’ambitodel progetto 05FSE251039.01, un elefantino portafortuna regalato non so più da chi, tre mie fototessera, un certo numero di biglietti da visita che forse ho copiato sull’agenda elettronica o forse no, una scatolina di Daygum, chewing gum in confetti integratore alimentari di calcio e fluoro, la cassetta audio di una intervista fatta più di un anno fa,

tra la tastiera e lo schermo in un vassoio di legno penne e matite che non uso più so neanche più se funzionano, un cestino di viminicon dentro una ghiaia della mia spiaggia preferita, un portachiavi, un sigillo di ottone per sigillare con ceralacca, porta le iniziali di mio nonno, due timbri a nastro scorrevole, anch’essi credo di mio nonno: uno per scrivere la data, l’altro con una scelta di scritte del tipo: urgente, pagato, fatt. comm. aperta, un barattolo di latta da quale spuntano due lenti di ingrandimento, altre penne, un tagliacarte, due paia di forbici, una lampada con la palpebra blu, attorno al quale è attorcigliato un cavo usb, lì accanto il modem adsl, e dischetti e cd e fogli di carta stratificati, memoria di giorni o mesi o anni passati, ma in qualche maniera ancora presenti, segno di interessi e curiosità che convivono nella mia mente, e solo ora mi accorgo dell’assenza di un oggetto al quale ero particolarmente affezionato, che da trent’anni mi ha accompagnato, se sempre su ogni mia scrivania.

Di tutto questo non ho nessuna consapevolezza esplicita, posso descriverlo ora solo perché l’ho sotto gli occhi. Ma se qualcuno spostasse qualcosa non troverei più nulla. Se qualcuno mettesse in ordine, magari raccogliendo per genere gli oggetti, i fogli sparsi insieme ai fogli sparsi, i biglietti da visita uno sopra l’altro, vivrei l’intervento come una ferita al mio ordine mentale, come un indebito intervento nel mio lavoro, nel mio processo creativo.

È un disordine fertile, è lo specchio che riflette la mia mente.

Così è sempre stato per l’uomo al lavoro. Il lavoro si manifesta attraverso l’oggettivazione. L’oggetto, separato da noi, è tangibile. Il lavoro intellettuale si sedimenta non solo nella mente, ma anche –o forse sopratutto– su supporti fisici separati da noi: dalle pareti della caverna al foglio di carta.

Ma da mezzo secolo, le cose no stanno più così. Scrivo tramite un word processor ormai da venticinque anni. La mia scrivania fisica non è più l’unica metafora della mia mente. Più del tavolo fisico, conta orail tavolo virtuale che vedo sullo schermo del computer. Sul desktop non posso vedere il piatto del cibo che ho appena mangiato (anche se, notiamo di passaggio, proprio dal piatto piatto, latino discus, trae origine l’espressione inglese desk, "table to write on"), ma trovo icone, metafore, che descrivono gli oggetti, penne e forbici e fogli di carta, che prima giacevano a mia disposizione sul tavolo di legno. Ma sopratutto, il desktop è un’interfaccia, o uno schermo (pensiamo all’origine della parola schermo: qualcosa che occulta e protegge) dietro al quale sta la complessità dei miei processi mentali di questi venticinque anni.

Ciò che ieri mi appariva uno scarto, potrà apparirmi domani ricchissima fonte. Niente, in linea di principio, è ridondante.

Dunque, perché non approfittare dell’opportunità che oggi la tecnologiaoffre. Avere a disposizione, in questo istante, non solo tutte le mie parole ordinatamente scritte e rifinite, i testi dei miei libri e dei miei articoli, ma tutti i brogliacci, gli appunti, i fogli di carta appallottolati nel cestino. E ancor più: sono potenzialmente presenti i luoghi di pensiero che la mia mente ha visitato, le connessioni, i percorsi di senso le che la mia mente ha prodotto – e anche tutti i percorsi di senso che a mia mente, in questo istante o nel futuro, potrebbe produrre.

Non a caso, l’interfaccia a metafore non è considerata più sufficiente a rappresentare la complessità dei contenuti che il mio Personal Computer –protesi della mia mente– ospita. Le metafore-icone sono quelle definite dal programma, non posso crearne altre mie. Non a caso mi appare impoverente la classificazione dei miei contenuti in cartelle. Nel corso del tempo qualsiasi criterio gerarchico si manifesta obsoleto. La ricchezza sta nella ricombinazione, nella decontestualizzazione, nella contaminazione. Queste attività, che la mia mente compie in ogni istante, non sono assolutamente rappresentate dalla metafora delle cartelle: come posso dopo anni ricordarmi il criterio in base al quale quel giorno avevo collocato quel file in quella cartella. E perché dovrei pensare che il percorso di senso allora sviluppato sia l’unico che la mia mente è in grado di pensare.

Il disordine della mia scrivania, metafora della mia mente, è più fertile dell’ordine che mi appare sullo schermo.

Perciò ci sembrano ormai indispensabili nuove interfacce dedicate al colloquio tra noi e il nostro personalissimo sapere, conservato nei dischi del computer. Perciò la logica delle cartelle è inadeguata, ed appare invece promettente la logica del ‘motori di ricerca’. Google, non a caso, offre già una versione (per ora abbastanza povera e solo parzialmente rispondente alle esigenze) di motore di ricerca destinato a esplorare il nostro computer così come siamo abituati ad esplorare la Rete. È la stessa promessa che sta alla base delle prossime versioni di Windows: non obbligarci a tenere la scrivania sgombra ed apparentemente ordinata. Accettando, invece, che la nostra scrivania è uno specchio della nostra mente al lavoro solo se è apparentemente disordinata, ingombra di materiali apparentemente inutili.

Eccoci così giunti, per una prima via, a parlare di Knowledge Management – che è allo stesso tempo un atteggiamento, e un insieme di strumenti destinati a supportarlo. Potremmo sintetizzare così: poiché il mio Personal Computer è una protesi della mia mente, mi servono strumenti che mi permettano di gestire l’enorme massa di informazioni che il Computer contiene (informazioni che la mia mente non è in grado di ricordare), e che mi permettano allo stesso tempo di creare connessioni, in piena libertà ed autonomia, così come faccio con la mia mente.

Proseguendo per questa via, arriveremmo, credo a parlare di Semantic Web, ovvero della Rete intesa non solo come archivio ‘piatto’ di pagine contenenti informazioni, e intesa invece come Rete che tutto potenzialmente connette, mente collettiva.

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