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Pubblicato in data: 21/05/2007

IL SOGNO DI UN PRIMATO TECNOLOGICO. L'OLIVETTI COM'ERA, E PERCHE' NON C'E' PIU'

di Francesco Varanini 

Onore e sorte

"L'onore che mi viene conferito con la concessione della laurea ad honorem in ingegneria, è tale da riempirmi di orgoglio. Questa singolarità della sorte, che mi ha portato a diventare, da semplice operaio, Direttore Generale, senza altri titoli se non la mia inclinazione per la meccanica”. Così, il 20 dicembre 1962, con modestia ma anche con consapevolezza del proprio valore e della propria storia, esordisce un distinto signore sessantenne, parlando nell’Aula Magna dell’Università di Bari.
È Natale Capellaro, parla per ringraziare: gli è stata assegnata la laurea ad honorem in ingegneria.
La singolarità della sorte “deriva in gran parte dalla singolarità dell'ambiente in cui mi sono trovato ad operare. Se io, nel campo della progettazione di macchine meccanografiche, ho dei meriti, molti li ha anche la Società Olivetti: gli uomini che la guidavano all'epoca del mio esordio e quelli che la dirigono oggi. Essi hanno permesso che le mie qualità trovassero le condizioni più favorevoli per svilupparsi. Non è un caso troppo comune, giacché le qualità di un progettista - essenzialmente intuitive, creative - hanno bisogno per fiorire, come quelle dell'artista, di un clima di libertà e di fiducia."
Natale Capellaro nasce ad Ivrea nel 1902, un anno dopo Adriano Olivetti. L'infanzia è difficile: "Io volevo lavorare nel ferro. Mi piaceva, fin da piccolo, costruire oggetti. Nessuno a quei tempi regalava giocattoli. Io me li costruivo. Ricordo di avere persino costruito una macchina fotografica".
All'età di 14 anni viene assunto come apprendista operaio. E' la realizzazione del sogno. Per numerosi anni lavora nel settore macchine da scrivere, dove inizia a dimostrare le sue qualità di progettista.

Macchine calcolatrici come oggetto di meraviglia

Negli anni '40 la Olivetti entra nel mercato delle macchine calcolatrici, fino ad allora dominato da produttori americani. I prodotti leader di allora erano in grado di visualizzare –ma non di scrivere su carta– i risultati delle operazioni aritmetiche.
Capellaro rimane ben presto affascinato dai meccanismi di calcolo, certamente più complessi di quelli delle macchine da scrivere.
A quei tempi gli è riconosciuta una altissima professionalità, ed è nota la passione per il lavoro. Ma è ancora niente più che un operaio specializzato.
Finché un giorno, durante la guerra, è fermato all'uscita dal lavoro. Sta portando via senza autorizzazione materiali di laboratorio. Perciò viene sospeso dal lavoro.
Adriano Olivetti lo convoca per chiedergli conto dell'accaduto. E Capellaro tranquillamente gli parla: da anni è costretto a collaborare con ingegneri troppo legati ai loro schemi, incapaci di soluzioni innovative. Mostra il progetto di una nuova macchina, su cui ha lavorato a casa, in segreto. Per questo ha avuto bisogno di portare fuori attrezzi e materiali.
Olivetti, che conosce l'uomo, intuisce le potenzialità dell'idea e lo invita a proseguire. Capellaro è un lavoratore, e progettista, insaziabile. Il suo cassetto è pieno di schizzi; per lui tempo libero e lavoro si identificano.
Siro Nocentini –progettista elettronico nella Ricerca e Sviluppo della Olivetti, e successivamente, per vent’anni, impegnato nella selezione, nella formazione e nella gestione del Personale–
ne ricorda la straordinaria fantasia. "Dalle sue abili mani prendevano continuamente consistenza e forma i frutti della sua fertile mente: diventavano particolari meccanici, cinematica, gruppi funzionali, e infine macchine. Macchine complete, macchine perfette, macchine sapienti".
Per lui la meccanica, prima di essere un ragionamento, prima di svilupparsi come sequenza di logiche operazioni, prima di esprimersi in funzioni matematiche e principi fisici, era intuizione e creatività. Qualcosa di vicino all’intuizione dell’artista.
La sua genialità sta nella semplificazione: meccanismi più semplici, meno ingranaggi: ne risulta un abbattimento dei tempi di produzione e un aumento dell'affidabilità. Ma al tempo stesso sa immaginare l’uso delle calcolatrici, e quindi sa inventare nuove funzioni. (A suo nome sono registrati più di trenta brevetti).

Elettrosumma, Divisumma

Nel 1944 Capellaro diventa responsabile dell'Ufficio Progetti. Un anno dopo realizza la Elettrosumma 14. Dando così corpo alla visione di Adriano Olivetti: l’impresa entra da protagonista nel settore del calcolo meccanico. Nonostante gli scettici sostengano che un'industria italiana può affermarsi nel campo delle macchine da scrivere, ma non in quello delle calcolatrici, dominato dalle fabbriche statunitensi, capaci di grandi progetti, grandi investimenti e forti di un enorme mercato interno (1).
Da quel momento la Olivetti immette sul mercato, con cadenza quasi annuale, modelli innovativi. Ne ricordiamo solo alcuni. Nel 1946, la Divisumma 14 –per anni la più completa e ricercata calcolatrice scrivente nel mercato mondiale– capace di saldo negativo, e anche di divisione automatica. Nel 1952, la Mc21 Duples, provvista di un carrello automatico contabile, dotata di quattro programmi di lavoro. Poi la Audit 202, arricchita di una tastiera alfabetica per la scrittura di testi. Nel 1956, la Divisumma 24, prodotta in sei milioni di esemplari, e la Tetractys.
Tutte le calcolatrici sono disegnate da Marcello Nizzoli – cui si deve il design delle macchine da scrivere, ricordiamo la Lettera 22 entrate nella leggenda, e anche Villa Capellaro (2).

Ripartire daccapo

Oggi, spiega Capellaro, sempre nel 1962, in un incontro con i giornalisti, di cui riferisce il 24 Ore, “non è più possibile concepire il lavoro dello sperimentatore isolato, del ricercatore volenteroso e geniale”. Lui stesso allora si trasforma in manager, creando una formidabile squadra di progettisti, che organizzati per gruppi di lavoro e di indagine, studiano nuove e coraggiose soluzioni. Ma resta, involontariamente, legato alla sua cultura. Mentre l’innovazione, si sa, consegue percorsi lineari.
Dobbiamo perciò anche noi compiere un salto, e passare ad un’altra storia. Nella seconda metà degli anni Cinquanta, gli aeroplani ad uso civile cominciarono a viaggiare a velocità prossime a quella del suono. Si sviluppò quindi tutto un filone di ricerche per evitare che le strutture portanti degli aerei cedessero sotto le sollecitazioni provenienti dall’alta velocità. Al Politecnico di Torino, ad occuparsi di aerodinamica c’era il professor Carlo Ferrari. Del suo gruppo di ricerca faceva parte un giovane laureato, Pier Giorgio Perotto.
I calcoli necessari agli studi, venivano effettuati uno per uno dai ricercatori tramite sofisticate calcolatrici meccaniche. Si trattava di introdurre manualmente, per giornate intere, lunghe serie di dati; in mancanza di procedure automatizzate, a ogni minimo errore si doveva rincominciare daccapo.  Era una situazione insopportabile per il giovane ingegnere: “Gran parte dei germi che generano l’innovazione si collocano proprio lungo il percorso mentale di chi non riesce ad accettarli e a familiarizzarsi con essi”, scriverà anni più dopo. L’esperienza frustrante di quelle giornate passate a lavorare con la calcolatrice fu la scintilla che spinse Perotto a coltivare il sogno di una macchina “che fosse in grado non solo di compiere calcoli complessi, quanto di gestire in modo automatico l'intero procedimento di elaborazione”.
Intanto, nel 1957, Adriano Olivetti aveva creato a Pisa– in una villa nel quartiere di Barbaricina, ricco di verde e di case signorili, noto per le sue scuderie di cavalli da corsa–, un centro di ricerche avanzate nel campo dell'elettronica. Se ne parlava come di un luogo mitico e misterioso. Lo dirigeva l'ingegner Mario Tchou, figlio di un diplomatico cinese presso il Vaticano, capace di coniugare alta tecnologia e cultura millenaria.
Lì, nell’aprile di quell’anno, arriva con la sua Fiat 600 il neo assunto ingegner Perotto. Quelli di Ivrea –e tra loro l’affermato e temuto e rispettato Direttore Generale Tecnico, Natale Capellaro, consideravano quelli di Pisa “più o meno personaggi che andavano a caccia di farfalle e che, nella migliore delle ipotesi, non avrebbero mai concluso nulla” ricorda Perotto (3). Le prime calcolatrici elettroniche, d’altra parte, avevano le stesse prestazioni di quelle meccaniche, ma erano più fragili e più costose.

In cosa crede l’impresa, ovvero come l’innovazione emerge nonostante tutto

Il 27 febbraio1960 Adriano Olivetti, cinquantanovenne, muore prematuramente e improvvisamente sul treno che lo stava portando a Losanna.
Nel 1964 il controllo dell'azienda di Ivrea è assunto dal ‘Gruppo di Intervento’, guidato da Fiat e Mediobanca. Si decide immediatamente di cedere la Divisione Elettronica –che intanto sotto la guida di Mario Tchou aveva realizzato l'Elea 9003, il primo calcolatore al mondo completamente a transistori uscito sul mercato– agli americani della General Electric, dando vita alla Società Italiana Olivetti-General Electric (OGE).
Purtroppo il Presidente Bruno Visentini e l'amministratore delegato Aurelio Peccei si ostinano a non voler comprendere la rivoluzione in atto e proseguono tenacemente in una strategia che privilegerà ancora per molto i prodotti meccanici. Roberto Olivetti, grande fautore dell'avventura elettronica, viene emarginato e l'azienda perderà anni decisivi.
“La cessione della divisione elettronica in Olivetti maturò in tragica ed assurda coincidenza con l’avvio della rivoluzione microelettronica mondiale”. Io, ricorda Perotto ebbi ”la malaugurata idea, da giovane ingenuo, di contestare la cessione”. Gli americani lo rispediscono alla Olivetti “con la preghiera di togliermi di torno”. E all’Olivetti seguono il consiglio esiliando l’ingegnere, con pochi collaboratori, in un piccolo laboratorio di Milano.
Ma proprio questa situazione stimola Perotto a lavorare al calcolatore dei suoi sogni: “Il non avere più nulla da perdere fa prendere molte volte la strada giusta”. Senza dire niente ai dirigenti del quartier generale, Perotto, l’ingegner Giovanni De Sandre ed il perito Gastone Garziera, cominciarono a progettare un computer personale economico e da scrivania, al quale danno il nome provvisorio di ‘Perottina’.

La ‘Perottina’

Lo stato dell’arte, all’epoca, per quanto riguardava le memorie, era costituito dai nuclei magnetici di ferrite, il cui costo era improponibile. I circuiti integrati erano anch’essi carissimi. Perotto e i suoi dovettero così pensare nuove soluzioni: per l’ingresso e l’uscita dei dati inventarono una cartolina magnetica che funzionava esattamente come gli odierni floppy disk. Per le memorie adattarono un dispositivo esistente (detto linea magnetostrittiva) utilizzando come materiale trasmissivo un filo per molle. La progettazione di tastiera e stampante venne affidata a Franco Bretti.
Come linguaggio di programmazione venne inventato un sistema di sedici istruzioni intuitive con il quale si poteva compilare un programma indicando in maniera abbastanza semplice le operazioni da eseguire. (Si ricordi che parliamo di un’epoca nella quale un computer occupava tutta la parete di una stanza e doveva essere istruito direttamente in linguaggio macchina).
I progressi nella progettazione della ‘Perottina’ esaltavano il gruppo di Milano, ed in particolare il suo animatore: “Avevo l’impressione che mi fosse riservata l’opportunità di far finalmente crollare barriere secolari, di spezzare antiche catene che rendevano l’uomo schiavo”.
Nel novembre del 1964 Perotto carica sulla sua macchina il gruppo elettronico completo per assemblarlo ad Ivrea, dove i meccanici della Olivetti creano una carrozzeria di lamiera dipinta di blu: è il primo personal computer della storia. La macchina pesa 30 chili, è grande come una comune macchina da scrivere.

Leggere i segni dei tempi

Perotto è impaziente di mostrare i risultati del lavoro al Direttore Generale Tecnico, Natale Capellaro. Cappellaro riceve l'ingegner Perotto, lo guarda negli occhi, appoggia una mano sulla spalla e dice: "Caro Perotto, mi rendo conto che l'era della meccanica è finita".
Si consuma così il passaggio di consegne tra due uomini geniali, capaci di anticipare i tempi. Capellaro, con le sue macchine ha consentito alla Olivetti di divenire leader mondiale nel settore del calcolo meccanico; Perotto ha le qualità per mantenere l’azienda ai vertici, anche ora che tecnologie e mercato tendono a sostituire le macchine elettromeccaniche con quei nuovi apparati elettronici che impareremo a chiamare Personal Computer.
Purtroppo, non tutti ad Ivrea furono così lungimiranti. Roberto Olivetti affidò al famoso architetto Mario Zanuso il compito di mettere a punto il design della “Perottina”. L’architetto si presentò con una specie di mobiletto nel quale doveva essere inglobata la macchina; per evitare che si ribaltasse, propose di zavorrarlo a terra con alcuni chili di piombo. L’ingegner Perotto si oppone. Alla fine l’ha vinta: l’Olivetti adotta il progetto del giovane architetto Mario Bellini, che meriterà l’esposizione presso il Museum of Modern Art (MOMA) di New York.

Il successo involontario

Ad Ivrea, intanto, pensavano ad altro. La strategia era centrata sul rilancio della meccanica. E il rilancio passava per la fiera di New York del 1965. Nel grandioso stand realizzato per l’occasione alla ‘Perottina’ venne riservata una saletta sulla parete di fondo; per l’occasione, la macchina aveva anche ricevuto il nome ufficiale di Programma 101, perché “in inglese la pronuncia ‘uan-o-uan’ suonava bene”.
Tutto il Business Plan della Olivetti divenne carta straccia non appena i visitatori americani si accorsero della Programma 101. Qualcuno si chiese se la macchina non fosse azionata da un qualche grosso calcolatore nascosto. Nei giorni successivi all’inaugurazione il personale dello stand dovette mettere in piedi un improvvisato servizio d’ordine per contenere l’afflusso dei visitatori.
La Programma 101 si vendette praticamente da sola. La TV statunitense NBC ne comprò subito cinque per computare i risultati elettorali da trasmettere agli spettatori. Negli anni, ne furono prodotti 44 mila esemplari, insufficienti a coprire la domanda.
L’Olivetti aveva tra le mani un prodotto rivoluzionario, ma non seppe approfittarne appieno.Un caso esemplare, tanto da diventare oggetto di studio all’Università di Harvard. Per cinque, sei anni, la casa di Ivrea non ebbe concorrenti in grado di raggiungere i suoi risultati. Nel 1967, la Hewlett-Packard accettò di versare 900 mila dollari alla Olivetti, ammettendo di aver violato il brevetto della Programma 101 nello sviluppo della sua HP 9100.
L’ingegner Perotto non ci guadagnò nulla: aveva ceduto tutti i diritti sul brevetto alla Olivetti per un dollaro simbolico: “Mai un dollaro fu meglio speso da una società”.
Negli anni, i concorrenti statunitensi raggiungono e superarono l’azienda italiana. Nel 1981, l’IBM avviava la produzione di quello che viene ancora celebrato come il primo personal computer del mondo.
Nonostante tutto, Pier Giorgio Perotto non ha mai smesso di considerare in maniera positiva la propria esperienza: “Mi auguro che la storia della Programma 101 contribuisca a motivare tanti giovani dotati di capacita creative ad osare e a rischiare, senza lasciarsi condizionare dai benpensanti del momento”. Un ottimismo che trapela anche da una delle ultime interviste rilasciata nel 2002, poco prima di morire, settantunenne: “Linus Torvalds è un esempio con il suo Linux, trovo che l’open source sia in grado di condizionare lo strapotere dei big”.

La storia continua

Nel 1963 oltre il 20% della produzione è esportato negli Stati Uniti. L'attività si allarga all'Estremo Oriente. Nel '55 era stato inaugurato nel sud, a Pozzuoli, un nuovo stabilimento. Un progetto in apparenza stravagante: l'edificio -seminascosto in una una zona collinosa, grandi vetrate aperte sul verde- sembrava del tutto inadeguato alle linee di montaggio. Ma quando vent'anni dopo le linee lasciarono il posto alla nuova organizzazione a isole, consona ai prodotti elettronici, allora quell'impianto si rivelerà perfetto.
La spinta propulsiva dura fino agli inizi degli anni '70. Poi la crisi, di strategie competitive e di risorse finanziarie. Nel '78 l'arrivo di Carlo De Benedetti pare il toccasana. Le prime mosse sono azzeccate. Ma a ben guardare già dall'inizio l'Olivetti era la perla di una collezione, non il centro degli interessi dell'imprenditore - che anzi più che un uomo d'impresa era (ed è) uomo di finanza.
L'Olivetti di De Benedetti si muove tra l'imitazione di stili gestionali da corporation statunitense ed episodiche citazioni del glorioso modello olivettiano. Con una costante attenzione per la rete delle alleanze, ma con poca coerenza nella definizione nelle priorità. Qual è il core business? Il personal computer? L'hardware o il software?

L’ultima occasione (persa): M20

Comunque l’Olivetti è ancora attiva nel campo dell’informatica. Dispone di un grande capitale di conoscenze, di risorse umane e tecnologiche. Quando alla fine degli anni ’70 si afferma il Personal Computer –l’Apple II appare nel 1978, il PC IBM nell’81, il Macintosh nel 1984 l’Olivetti è ancora in corsa.
All’Olivetti Advanced Technology Centre di Cupertino (il luogo della Silicon Valley dove si trova anche il Quartier Generale della Apple) si lavora a quello che sarà l’M-20.
Vestito dal designer Ettore Sottsass, che disegna un oggetto piacevole, anche se leggermente austero, il computer viene presentato il 31 marzo 1982. Nel Manuale dell’Utente (Introduzione, p. 1) si legge: “Il modello Olivetti M20 è un sistema autonomo (stand–alone) progettato per uso professionale come strumento per la risoluzione dei problemi. Nelle sue ridotte dimensioni l’M20 ha la versatilità e la potenza di calcolo necessarie per aiutare uomini d’affari, scienziati, studenti e tecnici ad elaborare informazioni rapidamente, accuratamente e intelligentemente.”
È, realmente, una macchina di grandi potenzialità: basata sulla CPU a 16 bit Zilog Z-8001 a 8MHz, era dotata di 128kb di memoria espandibile a 512. La memoria di massa era costituita da due floppy da 5.25” da 320kb, oppure da un floppy e un hard disk da 11Mb. Il monitor, fornito di serie, era da 12” monocromatico o a colori, su cui l’M-20 era in grado di visualizzare grafica a 4 colori con una risoluzione di 512 x 256 pixel.
Il cuore, il processore Z-8001, che probabilmente è migliore del processore Intel che è il cuore del PC IBM. Ma questa scelta rende impossibile l'uso del MS-DOS, il sistema operativo fornito dalla nascente Microsoft. L’Olivetti decide, ambiziosamente, di sviluppare un proprio sistema operativo, il PCOS (Professional Computer Operating System). E forse è anche un buon sistema operativo, ma ormai è tardi: nel giro di un anno il PC IBM si è affermato come standard di fatto. L’emergente industria del software applicativo  non ha interesse a sviluppare software applicativo che può girare solo sull’M20.
L’Olivetti si convertirà rapidamente, e con l’M24, un computer basato sullo standard IBM, raggiungerà buoni volumi di vendite e di fatturato. Ma ha perso la battaglia per l’innovazione.

Un tentativo di lettura

Il mondo dell’informatica cresce si rinnova profondamente, in quegli anni, perché si afferma una nuova generazione di imprenditori e tecnici sognatori e visionari: Steve Jobs e Steve Wozniak alla Apple; Paul Allen e Bill Gates alla Microsoft; Andy Bechtolsheim, Bill Joy, Vinod Khosla, Scott McNealy alla Sun.
Mentre l’Olivetti sconta l’assenza di un imprenditore e di tecnici all’altezza. Il senso del noi, l’orgoglio, il senso di appartenenza non mancavano allora in Olivetti. Né vengono meno nei seguenti, rovinosi anni.
Ma è un orgoglio rivolto al passato; quasi una sorta di superbia, un narcisismo che spinge a non confrontarsi con il mondo. Le glorie passate sono un alibi che giustifica le nostre mancanze. Il narcisismo, in fondo, finisce per vanificare la competenza. Ripiegati su se stessi, si finisce per perdere quel tocco magico che permette di andare al di là dei propri limiti, e di trasformare i sogni in realtà, gli errori in successi.
Non sono mancate alla Olivetti le occasioni e le risorse, sono mancate a partire dalla metà degli anni ‘70 persone convinte della propria visione, capaci di guardarsi intorno e di fare gruppo e di valorizzare le risorse e di apprendere dagli altri. Persone come Adriano Olivetti, ma anche come Cappellaro e Perotto.

Breve avvicinamento attraversi i libri

La bibliografia sull’Olivetti è vastissima. Spazia dal saggistica politica alla storia economica, dalla memorialistica al romanzo. Ecco qualche titolo.

Adriano Olivetti, Città dell’uomo, Edizioni di Comunità, 1960, ora in ed. 2001
Bruno Caizzi, Camillo e Adriano Olivetti, UTET, 1962
Geno Pampaloni, Adriano Olivetti: un’idea di democrazia, Edizioni di Comunità, 1980
Luciano Gallino,L' impresa responsabile. Un'intervista su Adriano Olivetti,Einaudi, 2001
Ottiero Ottieni, Donnarumma all’assalto, Bompiani, 1959, ora Garzanti, 2004.
Donatella Ronci, Olivetti, anni ’50, Angeli, 1980
Roberta Garruccio, Francesco Novara, R. A Rozzi (a cura di), Persone e lavoro alla Olivetti, Bruno Mondadori, 2005
Pier Giorgio Perotto, Programma 101, Baldini & Castoldi
Pier Giorgio Perotto, L' origine del futuro. Manuale d'ingegneria del futuro per innovatori, manager e uomini di buona volontà, Angeli, 1990
Sandro Sartor, Via Jervis, n.11. Alla ricerca dell'Olivetti perduta, Manni, 2003
Elserino Piol, Il sogno di un’impresa. Dall’Olivetti al venture capital: una vita nell’information technology, Il Sole 24 Ore Libri, Milano 2004
Giovanni De Witt, Le fabbriche e il mondo. L'Olivetti industriale nella competizione globale (1950-1990), Angeli, 2005


1 -Bruno Caizzi, Camillo e Adriano Olivetti, UTET, 1962.

2 -Ora inclusa nel Museo dell'Architettura Moderna di Ivrea (www.mam.ivrea.it).

3 - Pier Giorgio Perotto, Programma 101, Baldini & Castoldi.

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