BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 22/04/2008

 

I MIEI ANNI A CUORE (1)

di Francesco Varanini

Mi sembra impossibile che siano passati diciotto anni. Allora ero un dirigente della Mondadori, mi occupavo tra l’altro di nuove iniziative nell’area periodici. Arrivò sul tavolo di qualcuno il progetto, o meglio: la vaga idea, di questo nuovo settimanale.
Ricordo che allora la Mondadori viveva una convulsa fase di incertezza e di cambiamento: una mattina ci scoprivamo nel gruppo De Benedetti, e il giorno dopo di nuovo controllati da Berlusconi. In quei giorni eravamo berlusconiani, e questo era già un motivo per dire che la Mondadori non avrebbe mai potuto essere l’editore di Cuore. Ma, a ben guardare, di motivi ce n’erano anche altri: la Mondadori era la casa editrice di grandi corazzate rivolte ad un pubblico vasto e generalista: Panorama, Grazia, Donna Moderna. Grandi redazioni, molti giornalisti, un modello organizzativo complesso, tecnologie che garantivano grandi tirature e stampa a quattro colori. Dunque una struttura e una tradizione del tutto inadeguate ad un settimanale che -già in fase di progetto si poteva immaginare- non poteva essere che corsaro, fondato su una organizzazione snella, più simile a un quotidiano che a un settimanale tradizionale.

Una clausola anomala

Accadeva però che il direttore generale dell’area, il mio capo, stesse per lasciare l’azienda. Si trattava sostanzialmente di un licenziamento, ma come accade spesso ai grandi dirigenti (sono diverso, a me non è mai accaduto), un licenziamento accompagnato da una lauta ‘buona uscita’, denaro e benefit vari.
Avrete già capito che questo dirigente è colui che chiamerò d’ora in poi il Padrone di Cuore. In quel periodo, lo frequentavo da vicino. Credo di sapere cosa pensava. Pensava che forse non avrebbe lavorato più a tempo pieno, pensava che poteva andargli bene una attività in grado di tenerlo comunque impegnato, pensava fosse interessante sperimentare il ruolo dell’imprenditore, lui che era stato sempre e solo impegnato manager in grandi aziende. Pensava anche che avesse un suo curioso e nuovo senso l’essere l’editore di un periodico di cui suo figlio poteva essere lettore.
E dunque, nella trattativa tesa a definire i termini della sua uscita, inserì Cuore. L’eredità del progetto, la possibilità di costituire una società con i detentori della testata. Inserì anche un’altra clausola, più anomala: la possibilità di usare come manager della nuova iniziativa Francesco Varanini. L’accordo è che io continuassi ad essere un dirigente Mondadori. Avrei continuato a svolgere i miei compiti nella grande casa editrice. Ma avrei dedicato una parte del mio tempo al decollo e alla gestione di Cuore. Il tempo sarebbe stato regolarmente fatturato dalla Mondadori alla società a responsabilità limitata che stava per nascere – società che, su suggerimento di Michele Serra, con paradossale richiamo alle magniloquenti denominazioni di grandi imprese, aveva ormai un nome: Cuore Corporation.
Questo poco consueto accordo ebbe qualche conseguenza: fu fonte di voci, in realtà destituite da ogni fondamento, che volevano la Mondadori coinvolta in Cuore Corporation. E fu, in un ambito più privato, occasione di acuminati commenti di Franco Tatò. Tatò,tornato al vertice della Mondadori, non risparmiò l’ironia nei confronti di Corrado Passera, che l’aveva preceduto nel ruolo. L’allora giovane Passera, secondo Tatò, permettendo l’uso di un dirigente Mondadori per un business che nulla aveva a che fare con il business Mondadori, aveva concesso al grande manager in uscita ben più di quanto normalmente si concede.

Ai suoi occhi apparivo abbastanza strano

Credo di sapere perché sono stato scelto. Me lo disse allora il Padrone di Cuore. Ai suoi occhi apparivo abbastanza strano, tanto da poter coprire il ruolo. Come manager mi ero mostrato capace di affrontare situazioni complesse, inventandomi soluzioni. Avevo una idea dell’organizzazione necessaria. Conoscevo bene il ciclo di produzione e le tecnologie. Non mi spaventavo di fronte all’idea di partire da zero. Ero disponibile, orientato al servizio (fin troppo, direi oggi). Ma soprattutto, agli occhi del Padrone di Cuore, ero in grado di comprendere la cultura e gli atteggiamenti di Michele Serra e di tutte le altre bizzarre persone senza le quali le pagine di Cuore sarebbero rimaste vuote.

Soddisfazione e fatica

Forse mai più come allora ho lavorato intensamente. Degli anni passati a Cuore Corporation, ricordo la soddisfazione e la fatica. Soddisfazione per la libertà d'azione e l'ampiezza di visione, per la possibilità di mettere mie idee organizzative e tecnologiche e gestionali.
Ricordo con orgoglio il modello organizzativo di Cuore, un esempio di snellezza che credo ancora attuale. Ricordo che Cuore è stato, in Italia, il primo giornale ad essere impaginato elettronicamente, con pagine complete chiuse in redazione. Ricordo le semplici ma efficaci procedure che garantivano il controllo di gestione.
Ricordo  anche, con dispiacere, come tutto questo fosse secondo me sottovalutato, o dato per scontato, dagli amici della redazione. Michele Serra mi diceva per scherzo che ero “l'uomo delle matite”. C'era lo scherzo appunto, ma anche, mi pareva, una sorta di distacco e sufficienza. Lavoravo con spirito di servizio, passando da riflessioni strategiche sul business all'acquisto della carta; dagli incontri sul budget con il Padrone ad attrezzare da solo, di notte, la nuova sede della redazione  perché la mattina la redazione potesse svolgere il suo lavoro creativo. Feci personalmente la coda per le allora complesse procedure di attivazione del primo telefono cellulare di Michele.
Ero a metà, e questo era fonte di particolare solitudine. A metà tra le pressioni del Padrone, le sue aspettative, e le diversissime e lontane pressioni e aspettative dei redattori e dei collaboratori.
Ma provavo orgoglio per come sapevo far fronte, mi divertivo, apprendevo. Se non avessi fatto questa esperienza, non sarei la persona che sono, né come personale maturità e sicurezza, né come capacità professionale.
Eppure credo di aver ecceduto in umiltà. Credo di non essermi fatto valere per quello che meritavo.

Non di morte naturale

Non credo affatto che Cuore sia morto di morte naturale, perché ‘aveva fatto il suo tempo’: per esaurimento del suo compito storico, per la chiusura di una fase culturale, per il venir meno dell’interesse dei lettori.
Cuore non c'è più, da lunghi anni, per due concomitanti ordini di motivi.
Da un lato, la fine di Cuore era già scritta nella storia personale, nella cultura, nell'atteggiamento, nelle convinzioni del Padrone di Cuore.
Dall'altro lato Cuore non c'è più per l'ignavia di coloro che facevano Cuore dal punto di vista dei contenuti.
Io, fin che ho lavorato a Cuore, mi trovavo a metà, e forse per questo sono più responsabile di tutti. Responsabile di non essere stato abbastanza autorevole, di non essermi fatto capire. Tra coloro che si sono mostrati inadeguati, per sgombrare il campo ad equivoci, mi metto al primo posto. Porto con me il dispiacere per non essere riuscito a comunicare bene il mio punto di vista - quando, nei momenti di apparente gloria di Cuore,  i rischi incombenti erano già visibili. Solo con Piergiorgio Paterlini sono riuscito a parlare con passione e con chiarezza di come fosse pericolosa la situazione. Ma anche Piergiorgio, non molto tempo dopo di me, è stato messo ai margini.

Esatta incarnazione del Padrone

Cuore è fallito perché il Padrone di Cuore era l’esatta incarnazione del padrone che Cuore prendeva in giro.
Cuorerideva dei padroni delle ferriere, i manager privi di cultura e chiusi nel loro ottuso linguaggio anglicizzante. Ma allo stesso tempo Cuore aveva un padrone che era proprio così. Uomo incapace di vivere la propria affettività, viveva chiuso nel suo ruolo. Imprenditore in proprio alle prime armi, sperimentava il gusto del comando duro, privo di giustificazione e di dialogo. Uomo di marketing, vedeva Cuore come un qualsiasi prodotto di largo consumo, un prodotto indifferenziato, alla stregua di un qualsiasi settimanale di gossip o di un detersivo o di una bibita.

Contraddizione

Cuore è fallito perché lo sguardo di chi faceva Cuore era velato da un certo snobismo intellettuale. Che nascondeva, credo, il timore dell'inadeguatezza. Credo che chi faceva Cuore, sopravvalutando la complessità del business, si sentisse impotente e disarmato. Perciò si firmò una cambiale in bianco, lasciando campo libero al Padrone.
Di questa contraddizione -della totale separazione tra il prodotto visto dal Padrone da un lato, e la produzione intellettuale, la cultura, le scelte politiche dall'altro- Michele in particolare, e in misura di versa gli altri amici, erano perfettamente consapevoli. Era, questo, un quotidiano argomento di conversazione. Ma affabulare scherzosamente attorno ad un evidente paradosso è una cosa. Sobbarcarsi la fatica legata al guardare gli aspetti problematici di questa realtà, e farsene carico,  è ben diversa cosa.

Cuore morto per mancanza di cuore

Cuore, così. è morto per mancanza di cuore, per scarso amore, per mancanza di rispetto di ciò che Cuore era.
Perciò penso che ora, guardando col senno di poi, non serva celebrare. Serve invece dire dove abbiamo sbagliato.
Porto con me la delusione per quell’atteggiamento diffuso tra gli amici redattori e collaboratori. Atteggiamento che mi pareva allora, e che ricordo ora, troppo passivo, orientato a lasciare in mano al padrone le scelte strategiche. Atteggiamento rivendicativo, semmai: uno stipendio più alto, un compenso più alto per le collaborazioni, ma sordo alla comprensione delle ragioni del business. Non solo non c'era interesse a partecipare alla gestione, ma si preferiva non sapere nemmeno come andava l'affare. Come se occuparsi dell’andamento della società, e degli equilibri tra soci fosse sporcarsi le mani. Invece, ho sempre pensato che solo la salute economica dell’impresa garantisce la libertà di espressione. E che gli intellettuali, se appena vogliono, capiscono del business tutto ciò che serve.
Ho sempre pensato che se non ci occupiamo delle noiose questione di management noi, che forse abbiamo qualche idea in testa, e un po' di etica, se ne occuperà qualcuno peggio di noi. Ho sempre pensato anche che, in ogni impresa, ma in Cuore Corporationin modo speciale, solo chi ha in mente le idee, solo chi costruisce il prodotto, può pensare le strategie d’impresa. La separazione tra la produzione intellettuale e la gestione dell’impresa è deleteria, e alla lunga fallimentare.

Cuore sulla cresta dell'onda

Cosa è successo tra la fine del 1992 e l'inizio del 1993, dopo due anni di gloriosa vita del giornale. Cuore è sulla cresta dell'onda. Era un quasi-partito politico, era un successo editoriale. I suoi lettori costituivano un nuovo target, una categoria sociologica diversa, che costringeva i ricercatori di mercato ad aggiornare le loro mappe. Era caso esemplare di organizzazione snella che si mostrava in grado di competere con i colossi. Dal punto di vista del business, i risultati erano straordinari. Cuore aveva un margine prima delle imposte non solo notevolmente superiore a quello di ogni altro periodico di allora (escludendo, forse, testate che operavano in nicchie, in mercati paralleli, come Famiglia Cristiana)
Ma le vendite avevano cessato di crescere. Per me non era un problema. La struttura dei costi di Cuore era così bassa che avrebbe potuto reggere a vendite molto più ridotte.
Ma il Padrone si era ingolosito, considerava un insuccesso la stessa contrazione della crescita.
E la sua distanza culturale gli impediva di trarre elementi di rassicurazione dalla fedeltà e dall'identificazione della comunità dei lettori.
Chi faceva Cuore subì la rabbia ed il timore del Padrone. Subentrò il timore, si perse la calma.
Anche perché si manifestava una certa stanchezza, noia per la quotidianità. Il lavoro, in redazione, era ripetitivo, forse era anche diventato tedioso. Una certa ubriacatura  da successo aveva fatto perdere lucidità, presa, attenzione ai lettori.
Si impose dunque la strategia del padrone, tipica di chi lavora su commodities, prodotti privi di valore e di identità. Il detersivo è sempre la stessa polvere; il marketing dei prodotti indifferenziati insegna che le vendite si sostengono lavorando sull'apparenza vendibile, sui colori della confezione, su una nuova scatola. Così, malauguratamente, si fece anche a Cuore.
Restyling, nuova grafica, rilancio sostenuto da campagna pubblicitaria, tentativo di entrare in mercati contigui: reportage per competere con L'Espresso. E un nuovo direttore, perché Michele Serra si era stancato del tran tran, forse.

Cercai di lottare contro queste scelte

Così si è annacquata l’identità di Cuore, rendendo Cuore più simile ad altri giornali.
Così, ci si è posti nelle condizioni di dover avere un numero di lettori più alto di quelli che all’inizio erano sufficienti per una buona sopravvivenza economica.
Cercai di lottare contro queste scelte. Persi rovinosamente. Drammaticamente.
E poi, quando non ero già più lì, accadde, purtroppo, quello che temevo accadesse. I cambiamenti non portarono nuovi lettori, ma ebbero un disastroso effetto su coloro che in Cuore si identificavano, sui membri della comunità.
Loro leggevano e compravano Cuore perché era diverso dagli altri giornali. Ma ora, settimana dopo settimana, lo vedevano sempre meno diverso. A loro Cuore piaceva perché se ne fregava della grafica elegante, di scelte rileccate, di ammiccamenti al pubblico di bocca buona. Ma ora vedevano che Cuore ammiccava e si ammorbidiva. Loro volevano un settimanale semiclandestino, che costruiva la sua notorietà sul passaparola, ed ora vedevano un settimanale che credeva sempre meno in se stesso, e che spendeva in pubblicità.
Nell'ansia di cambiare un prodotto che non poteva essere cambiato, perché nasceva, per fortuna, troppo diverso dagli altri, si finì per perdere la fiducia di coloro che in Cuore si identificavano, e si trovavano ora in mano un prodotto nel quale non si riconoscevano.
E così, mentre la struttura dei costi si modificava radicalmente, e quindi diventava necessario vendere più copie, le vendite crollarono.

Il Padrone era seccato

Considerando debolezza la vera forza di Cuore, il Padrone era seccato di vedere il giornale sempre uguale, settimana dopo settimana.
Eppure Cuore aveva tutto ciò che ogni editore sogna: prima che un prodotto, era una comunità, un luogo di incontro, la manifestazione di una identità.  Era una idea, una  visione, un sogno, una speranza. Giovani ed ex giovani che non si erano arresi al conformismo, all’appiattimento, alla volgarità, al cinismo, disposti, nonostante tutto, ad una ‘resistenza umana’, si riconoscevano in Cuore. Cuore, dunque, essendo vissuto come una realtà che andava molto di più in là di un mero prodotto editoriale, era il migliore dei prodotti editoriali possibili.
Credo che, in fondo, il manifestarsi di Cuore come un servizio così fortemente e chiaramente definito e voluto dai suoi stessi lettori, disturbasse in qualche modo anche coloro che Cuore facevano. Ci si lamentava magari di essere troppo pochi in redazione, ma la verità è che si era in troppi: Cuore era vicino ad essere il prodotto perfetto anche perché si faceva quasi senza bisogno di lavoro redazionale. Si sarebbe potuto fare Cuore anche solo con i fax che arrivavano spontaneamente.
Penso a Cuore (com'era, e come potrebbe essere oggi). Un incrocio tra Economist e Settimana Enigmistica. Inconfondibile nei caratteri distintivi, capace di restare uguale a se stesso. Dietro, una proprietà ed una redazione capace di rispettare il prodotto, ed i lettori, non subordinarlo la fattura del giornale ai propri bisogni di sicurezza ed il proprio bisogno di apparire. 

La comunità dei cuoristi

La comunità dei cuoristi poteva avere i suoi alti e bassi, poteva contrarsi ed espandersi, poteva anche estinguersi, come è normale per ogni sistema vivente. Ma ci è stata negata la possibilità di vedere cosa sarebbe accaduto. Lo stesso successo di quei giorni, il bisogno di apparire, forse anche la stanchezza, come ho detto, hanno portato secondo me ad una sorta di  accanimento terapeutico. Non si è lasciato che Cuore vivesse la sua vita.
Mi guardo intorno e mi dico che la comunità dei cuoristi esiste anche oggi. Eppure ci troviamo a raccontarci storie di vent'anni fa - quando proprio la storia di questi venti anni, e la quotidianità che abbiamo sotto gli occhi ci dicono che oggi Cuore è storicamente necessario oggi come allora. 

Ho lottato ed ho perso

Non posso fare altro che raccontare la storia dal mio punto di vista. Sempre rammaricandomi di non averlo saputo affermare allora.
Ho lottato ed ho perso. Ho vissuto giorni di angoscia, di umiliazione. Per elaborare il dolore, per farmene una ragione, scrivo. In quei giorni ho parlato in versi del Padrone di Cuore. Adesso, tanti anni dopo posso dirlo, è lui il Direttore Marketing cresciuto alla scuola del Largo Consumo che si ritrova nel titolo di una raccolta che ho pubblicato anni dopo: “Ho visto lampi d'ira contratta/ dietro gli occhiali d'oro/ di uomini marketing/ assurti passo dopo passo/ ai vertici aziendali// ho visto le loro mani curate/ incapaci di stringere mani/ e le loro dita serrate/ fino al bianco delle nocche/
attorno a penne Montblanc// (…) li ho visti convocare riunioni/ solo per staffilare in faccia colpe/ 
circostanze costruite ad arte per sentirsi/ sopra agli altri, ridotti/ a guardarsi in silenzio negli occhi// li ho visti in ufficio/ chiusi già di prima mattina/ lontani dal prodotto e dalla fabbrica/ ma con il telefono in mano/ e l'elenco di persone da cazziare// (…) e raccontare le loro domeniche bestiali/ nelle loro case da architetto e senza libri/ incapaci d'ozio e di piacere/ rigidi in jeans ed in maglione/
come nella giacca e cravatta da lavoro// costretti ancora da sé stessi/ alla fatica vana/ di vivere dietro gli occhiali d'oro/ con disperata applicazione, il tempo/ riga dopo riga dell'agenda.” (2)


1 - Una versione abbreviata di questo testo apparirà in un libro collettivo di prossima uscita dedicato alla storia del settimanale, edito da Rizzoli. Il libro conterrà contributi, tra gli altri, di Michele Serra, Andrea Aloi, Stefano Disegni, Massimo Caviglia, Carlo Marulli, Piermaria Romani, Riccardo Mannelli, Vauro, Vincino, Altan, Roberto Perini, Sergio Staino, Alessandro Robecchi, David Riondino, Paolo Hendel, Lella Costa, Domenico Starnone, Patrizio Roversi, Lia Celi, Roberto Grassilli, Piergiorgio Paterlini, Gino e Michele, Luca Bottura, Gialappa's, Carla Falato, Marco Travaglio, Elio (Storie Tese).

Su Bloom, a proposito di Cuore, si può vedere anche il mio Dossier Cuore, www.bloom.it/vara29.htm.

2 - Francesco Varanini, L’irresistibile ascesa del direttore marketing cresciuto alla scuola del largo consumo, Guerini e Associati, 2003.

Il racconto, già apparso nel 1902 a puntate su riviste, esce in volume l'anno successivo. Joseph Conrad, Typhoon, Torino, Einaudi, 1993, contenente l'originale inglese, la versione francese di André Gide e quella italiana di Ugo Mursia. .

 

Pagina precedente

Indice dei contributi