BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 28/06/2010

 

IL DIRETTORE DEL PERSONALE AI TEMPI DI MARCHIONNE

di Francesco Varanini

Cosa succede a Pomigliano d’Arco
Tra le numerose recenti dichiarazioni di Marchionne a proposito della vicenda di Pomigliano d'Arco  cito questa: “Io vivo nell'epoca dopo Cristo; tutto ciò che è avvenuto prima di Cristo non mi riguarda e non mi interessa”. Come dire: globalizzazione dei mercati, della finanza, delle merci e del lavorano dettano le regole. Non resta che  inchinarci, anzi: non resta altro da fare che -in quanto manager- farci interpreti ed esecutori di queste regole.
Siamo alle solite. Il risultato economico dell'impresa -che è poi il risultato dettato non tanto dalla capacità di stare sul mercato, dalla capacità di produrre e di vendere, ma è invece il risultato dettato, imposto, dal mercato della finanza- è la variabile indipendente. Ogni responsabilità sociale dell'impresa viene dopo. O non viene per nulla.
Eppure un esperto Direttore del Personale -non il Direttore del Personale di una piccola e media impresa, ma il Direttore del Personale di una importante azienda che di questo sistema globale è non trascurabile anello- mi diceva qualche giorno fa: non possiamo esimerci da una riflessione morale sulla 'giusta retribuzione'. Come adulti di una certa età, non possiamo non pensare al mondo che lasceremo ai giovani. Nel nostro paese più che altrove, abbiamo nel corso degli anni bruciato risorse economiche, limitando lo spazio del futuro sistema pensionistico. L'accesso al mercato del lavoro è particolarmente difficile. Se -tra tirocini ripetuti e apprendistato e contratti a termine- non si riesce a identificare il momento del reale ingresso nel mercato del lavoro, ancora più difficile è dire quale sia la retribuzione di ingresso. In ogni caso è una retribuzione che rende difficile la costruzione di una vita autonoma, adulta.
E non possiamo non dire che troppo larga è la forbice tra la retribuzione di impiegati ed operai da un lato, e dall'altro la retribuzione dei manager. Non credo che possiamo cavarcela con le parole di Marchionne. Il manager ha le sue gravi responsabilità. La prima delle quali è accettare di farsi pagare dal mercato della finanza, accettando le regole del mercato della finanza. Se un manager è remunerato in funzione degli andamenti di borsa e della soddisfazione di lontani investitori, l'impresa non ha futuro. Affidare la guida delle imprese a manager e supermanager che guadagnano milioni di euro e vivono fuori dal mondo e che non sanno più come e dove vive la gente è insensato.
Trovo la distanza dal mondo e dal senso comune di questi manager simmetrica con l'ostinazione di una certa parte sindacale. Una parte sindacale che si accanisce nell''essere contro', finendo per apparire attestata nella sterile difesa di chi -il pensionato non disposto a rinunciare a nulla, o l'assenteista irriducibile- non solo non lavora, ma danneggia il 'diritto al lavoro' dei più. 
Ora, sappiamo bene che c'è una figura che, se vuole, può stare al centro della scena e lavorare per ricondurre a ragione questi comportamenti estremi, orgogliosamente simmetrici e deleteri.
Sto pensando al Direttore del Personale. Sto pensando a nuove, possibili, Relazioni Industriali.
In fondo, un qualche ruolo nel decidere la retribuzione dei manager, e nello stabilire accordi con i lavoratori, il Direttore del Personale ce l'ha pure anche oggi. Nonostante  pressioni del mercato finanziario, nonostante il condizionamento di lobby trasversali, nonostante consulenti e professori e giornalisti schierati a difesa di un modello di management che distrugge l'impresa.
Ma penso anche che quel poco che oggi si può fare, potrebbe diventare molto di più. Per questo, serve però che i Direttori del Personale ripartano dall'autonomia del proprio ruolo, e dall'etica, e allarghino la propria sfera d'azione, facendosi carico di una responsabilità sociale che li fa diversi dal generico e generalista manager succube della finanza e attento solo alla propria carriera.
Si tratta quindi, direi, di invertire una tendenza. Si tratta di allontanarsi da sterili affermazioni tipiche del lessico managerialese: cosa vuol dire 'essere business partner', se l'unico vero business è il business che appare interessante a ci si occupa di finanza? E si tratta anche, credo, di allontanarsi dall'idea di una 'direzione del personale diffusa', dove ogni manager è responsabile in toto delle risorse assegnate, ivi comprese le persone ridotte a risorse umane – e lo specialista di 'risorse umane' non è che un tecnico, un consulente, interno o esterno non importa.
Il Direttore del Personale può e deve essere diverso dagli altri manager.

Chi può dirsi Direttore del Personale?
La parola direttore ci appare vecchiotta, ci suona desueta, schiacciata com'è dall'inglese manager.
Ma è invece una parola nuova, del tutto moderna. Certo, potremmo risalire al latino director. Ma il senso di 'colui che dirige, che sta a capo di una impresa' non compare, in francese, che all'inizio del 1500. Nella nostra lingua direttore entra in uso nel 1600. Resta per un secolo una espressione non ben codificata, usata come aggettivo sostantivato. Interessante però notare che il femminile direttrice -di una scuola- era già usato (nel 1787) da Cesare Beccaria.
L'uso preciso e definito del termine, legato all'affermarsi di precise figure sociali, si afferma nella seconda metà del 1800. La locuzione direttore d'orchestra appare attorno al 1860. Il direttore spirituale è degli stessi anni. Il direttore responsabile di un giornale (prima gerente responsabile) compare nel 1927, nell'ambito delle iniziative fasciste per regolare e controllare la stampa.
La denominazione Direzione del Personale, e quindi la precisa figura del Direttore del Personale, è in Italia ancora  più tarda.
All'Olivetti, ancora negli anni '50, si diceva: Ufficio del Personale. Nel 1955 l'Olivetti inaugura diversi nuovi stabilimenti. Tra cui lo stabilimento di Pozzuoli. E' un avvenimento di particolare rilievo storico e culturale: il lavoro, la fabbrica moderna, è portata nel Sud d'Italia. Lì si cercano maestranze adatte. In quegli anni, contraria è la strategia della Fiat - che sposta enormi masse proletarie verso Torino. Solo alla fine degli anni sessanta l'industria automobilistica -non la Fiat, ma l'IRI (dobbiamo riconoscere alle Partecipazioni Statali il merito di una responsabilità sociale, che forse dovrebbe avere anche l'impresa privata)- progetta un insediamento al Sud. La prima Alfasud esce dallo stabilimento di Pomigliano d'Arco nella primavera del 1972.
Ma torniamo a Pozzuoli, e al '55: della selezione del personale, per precisa scelta di Adriano Olivetti, è incaricato un giovane intellettuale attento alla psicologia e alla sociologia, Ottiero  Ottieri. L'esperienza sarà narrata in un notevole romanzo autobiografico, Donnarumma all'assalto (1959). Dove però già nella prima pagina il protagonista chiarisce la sua posizione: “Io non sono il direttore. Sono un impiegato qualsiasi”. E nella seconda ribadisce: “Non sono il direttore. Sono un impiegato addetto all'ufficio del personale”. Non è facile farsi carico dell'onere morale legato al ruolo.
Officium: 'lavoro', 'dovere,' carica', 'obbligo morale legato alla funzione esercitata'. Forse proprio qui, nell'idea dell'officium, più che nell'idea della direzione, sta forse il senso profondo del compito “arduo, spesso incompreso” -sono parole di Adriano Olivetti- che il Direttore del  Personale è chiamata ad assolvere: creare le condizioni perché ognuno possa lavorare nel modo più fruttuoso, ma anche più dignitoso.


1 - I due paragrafi che seguono appaiono come Editoriale e come rubrica finale nel n. 60, giugno 2010, della rivista Persone & Conoscenze.

Pagina precedente

Indice dei contributi