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Pubblicato in data: 03/12/2001

PER UNA CRITICA DEL LOGO IMPURO

Philip K. Dick vs. Naomi Klein, o la parola fatta prodotto

di Francesco Varanini

Che cosa è in fondo il brand, il logo, o marchio. Parola o immagine aggiunta, o sovrapposta, ad un prodotto-servizio. Fonte, di per sé, di valore.
In francone (il dialetto tedesco parlato dai Franchi, nell'alto medioevo) il verbo brennan sta per 'ardere', 'bruciare'. Brand sta per 'incendio', 'cosa che brucia', e quindi metaforicamente per 'spada fiammeggiante'. Brand è anche, più umilmente, il pezzo di legno incandescente, il 'tizzone'.
I significati si mantengono straordinariamente costanti in tutta l'area germanica. Fino al tedesco moderno: brennen sta per 'bruciare', e der Brand è tanto 'l'incendio' che 'il tizzone.
Da brand il latino medievale branda, la 'brughiera', alla quale può essere facilmente appiccato il fuoco. Da brand l'antico francese brant, poi brand, brande, e l'italiano brando: 'ferro della lancia', 'lama della spada'. Da brand, ancora, il francese brandir (nel 1100), e nel 1400 l' italiano brandire e lo spagnolo blandir: 'impugnare saldamente ed agitare un'arma'.
In inglese ritroviamo tutti i significati: brand, 'piece of burning wood', 'blade of sword'; to brandish, 'brandire'. Non solo: da brennen -nella sua variante brunnen- deriva per metatesi (metatesi: spostamento di fonemi all'interno di una parola: brun-, burn-) anche il verbo to burn, 'bruciare', 'ardere'.
In inglese si passa poi dal tizzone, legno incandescente, al branding-iron, ferro incandescente usato per marchiare il corpo dei criminali, e successivamente del bestiame e degli schiavi. Brand traduce dunque esattamente -dal 1500- il greco e latino stigma: 'bollatura', 'marchio d'infamia'.
Se Naomi Klein, la celebrata autrice del sopravvalutato No-logo, se Naomi Klein fosse una persona un po' più colta di quello che è, avrebbe avuto buon gioco a citare questa etimologia. Qui è già detto tutto quello che Klein, nel suo giornalistico viaggio nel mondo dei marchi, cerca di dire. Nella parola sta già il tragico senso di ciò che Klein stigmatizza: "labor practices, chemical spills, animal cruelty and unethical marketing around the world". (1)
Il brand, il marchio, dunque come gesto di guerra, come appropriazione indebita, come fonte di schiavitù. Diciamo che tutto sta nella parola. E che questo, in questo caso, e vero ben oltre ciò che appare a prima vista.
Mi spiego, passando ad un libro di ben altro spessore: Ubik, il romanzo di Philp K. Dick - dietro l'apparenza di romanzo di fantascienza, direi, un'opera di valore assoluto. (2)
Il romanzo, se non l'avete già letto leggetelo, parla anche di molte altre cose, ma intanto Ubik è il marchio assoluto, è l'estrema apparenza vendibile, è un aspirapolvere, è una birra, è caffè appena tostato, è un nuovo sfrenato condimento per insalate, è una ricostituente che irradia sollievo dalla testa allo stomaco, una lama a caricamento automatico, al cromo svizzero, a moto perpetuo, garanzia di barbe perfette, è nuovo rivestimento plastico facile da applicare extralucido che mette di buonumore le superfici imbronciate della vostra casa, è un prodotto finanziario che vi restituirà fiducia nel futuro, è un balsamo per capelli, è un sonnifero che garantisce risvegli privi di ogni stato depressivo, un new food composto solo di frutta fresca e sani grassi completamente vegetali, un reggiseno anatomico, extra-morbido, un avvolgente in plastica, quattro strati in un uno, per cibi semprefreschi, uno spray orale contro ogni tipo di germi, il cereale per adulti più croccante, più saporito, più delizioso.
Ma questa, appunto, è solo l'apparenza. Come il grande Dick ci svela, Ubik è molto di più.
"Io sono Ubik. Da prima che l'universo fosse, io sono. Io ho fatto il sole e i mondi. Io ho creato gli esseri viventi e le loro dimore. Essi vanno dove io voglio, fanno ciò che io dico. Io sono il Verbo, e il mio nome non viene mai proferito. Sono chiamato Ubik, ma questo non è il mio nome. Io sono e sempre sarò."
"E' evidente", commenta Dick tornando dieci anni dopo sul tema del romanzo (forse non a caso Ubik è scritto nel '68) (3). "E' evidente, da quanto precede, chi e che cosa sia Ubik: dice espressamente di essere il Verbo, cioè il Logos." Dick prosegue raccontando che "nella traduzione tedesca del romanzo, c'è uno dei più formidabili errori di interpretazione in cui mi sia capitato di imbattermi. Dio non voglia che il traduttore tedesco di Ubik si sia messo in testa di far la traduzione del Nuovo Testamento dal greco antico la tedesco. Ha tradotto tutto correttamente fin che non si è imbattuto nella frase seguente: 'Io sono il Verbo'. E' andato nel pallone. 'Che cosa intenderà mai l'autore?', dev'essersi domandato, evidentemente all'oscuro della dottrina del Logos. E così ha fatto quello che ha potuto. Nell'edizione tedesca, l'Entità Assoluta artefice del sole e dei mondi, creatrice degli esseri viventi e delle loro dimore, dice: "Io sono la marca". Se avesse tradotto il Vangelo secondo Giovanni, immagino che il risultato sarebbe stato questo: "In principio era la marca/ e la marca era presso Dio/ e la marca era Dio."
E qui Dick finge di meravigliarsi. Ma sa che in realtà il lapsus del traduttore tedesco è perfettamente fondato, e parla in fondo della vera essenza di Ubik, del brand, del marchio, del logo, con la elle sia maiuscola che minuscola.
Nell'edizione 1971 dell'Oxford English Dictionary il Logo non è accolto. Ma appare invece nel Supplemento 1987. La parola è inserita nel dizionario facendo riferimento ad un articolo apparso nel gennaio 1937 su Advertising & Selling, "He wrote the first and ever written for that new-fangled mecanical pencil called 'Eversharp'. Designed a logo for it, too". (Vedete voi forse qualche differenza tra questa matita e le incarnazioni dell'Ubik citate da Dick? Io non ne vedo nessuna).
Il dizionario spiega che logo è a abbreviazione di logogram o logotype, e spiega che solo negli anni '60 (proprio quando Dick pensa il suo Ubik) il significato si consolida "logo, the lay out of a sponsor's name, brand or slogan": il logo è un'icona, l'immagine di una apparenza vendibile.
Ma comunque, e non è ovviamente un caso, e il traduttore tedesco in fondo ha ragione, alla radice sta il greco logos, 'parola', che il Vangelo legge come Parola di Dio, con l'iniziale giustamente maiuscola.
La Parola ci mostra il legame tra "le cose della terra" e "le cose del cielo", e cioè il legame tra risposte ai bisogni materiali e risposte ai bisogni profondi, ai desideri segreti. Non a caso si dice oggi che il brand è un asset immateriale, intangibile. Questo, del resto, era già stato detto da Karl Marx: solo "nel nebuloso mondo delle religioni" troveremo spiegazione del funzionamento del "misterioso mondo delle merci" (4).
Siamo adoratori della merce, manifesta sotto forma di mera, immateriale promessa. Per soddisfare il bisogno, qualcuno vuole convincercene, 'basta la parola'. Basta il logo. Ubik è sinonimo di Parola, di Logos. La Parola (vera o falsa - ma è possibile infine distinguere?) sta in cielo ed in terra, sta in ogni luogo. Potremmo oggi anche dire che sta in quel luogo virtuale 'che è qui e che è lì', il ciberspazio. La Parola è Ubik perché è ubiqua. Ubiquità: nel latino medievale dei teologi, ubiquitate, 'onnipresenza (di Dio)'.
Naomi Klein - ma arrivando per ultima, e capace solo di guardare in superficie- ci dice proprio le stesse cose. "Logos, by the force of ubiquity, have become the closest thing we have to an international language, recognized an understood in many more places than English." (5)


Note:

1 Naomi Klein, No Logo, Flamingo (Harper Collins Publishers), 2000, trad. it. No logo, Baldini e Castoldi, 2001. Cit. dall'ed. originale, p. 11.

2 Philip K. Dick, Ubik, 1969; trad. it. Ubik, mio signore, La Tribuna, Piacenza, 1972, Ubik, Fanucci, 1989 e 1995.

3 Il fatto è raccontato da Dick in una conferenza (Come costruire un universo che non cada a pezzi dopo due giorni) scritta presumibilmente nel 1978. La conferenza non sarà mai letta in pubblico. Il testo è pubblicato per la prima volta in I Hope I Shall Arrive Soon, raccolta di racconti del 1985, ed è ripreso in The Shifting Realities of Philip K. Dick, a cura di Lawrence Sutin, 1995, trad. it. Mutazioni. Scritti inediti, filosofici, autobiografici e letterari, Feltrinelli, 1997, pp. 317-318.

4 Karl Marx, Il Capitale, Libro primo, prima sezione, capitolo primo, paragrafo quarto, "Il carattere di feticcio della merce e il suo segreto".


5 Naomi Klein, cit., p. 11.


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