BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 03/11/1998

IL SAP: FILOSOFIA DEL SOFTWARE, O IL SOFTWARE COME FILOSOFIA

di Francesco Varanini

  1. Storia di una killer application

Mannheim, 1972. Tre ingegneri tedeschi dell'IBM hanno sviluppato una convinzione: il mercato richiede un software standard in grado di integrare tutti i processi aziendali, da quelli creatori di valore aggiunto (vendita, produzione, acquisiti), a quelli infrastrutturali (amministrazione, marketing, gestione delle risorse umane). Tutti gli utilizzatori abilitati disporranno così in modo trasparente di tutte le informazioni che servono.

L'IBM accantona l'idea, gli ingegneri decidono di mettersi in proprio; nasce così la Systemanalyse and Programmentwicklun (poi: System, Applications and Products in Data Processing).

La scommessa dei tre ingegneri ha radici nella tradizione tutta tedesca dei packages applicativi produttivo-logistici. Nemmeno loro però potevano immaginarne il successo.

Non immaginavano che avrebbero aperto un nuovo ricco mercato, quello degli ERP (Enterprise Resource Planning), i software gestionali di cui Sap è appunto campione e modello.

Proprio la complessità del prodotto giustifica la politica commerciale Sap. Un modulo, da solo, non offre nessun valore aggiunto. E d'altronde il cliente, da solo, non sarà mai in grado di implementare Sap. Perciò Sap ha buon gioco a vendere sempre il proprio software (R/2 per mainframe; e oggi R/3 per reti client-server) nella sua versione integrale - imponendo di fatto al cliente anche l'acquisto dei moduli che non non è interessato ad utilizzare, e che mai potranno servirgli. Scegliendo Sap si compie così un passo senza ritorno: si sceglie una volta per tutte un fornitore, e con questo implicitamente una filosofia organizzativa.

Il prezzo unitario di riferimento per la licenza di uso del software è circa 3-6 milioni di lire per utente. Ma non è finita qui: l'introduzione di Sap esige software ed hardware rispondenti a precise caratteristiche. Esige inoltre una attenta analisi di ogni procedura aziendale; attività questa che richiede risorse dedicate (tra gli specialisti di Information & Communication Technology, gli analisti Sap R/3, anche sul mercato italiano, sono oggi le figure più richieste).

Vendendo Sap solo licenze e formazione, l'introduzione di R/3 porta con sé un ricco mercato per i partner hardware, software e di consulenza. Questi ultimi, in particolare, sono indispensabili per l'implementazione. Si tratta di progetti di durata e di impegno notevole (minimo 9 mesi; 10 anni uomo dedicati fra risorse interne e consulenti).

Il costo dell'implementazione risulta così essere almeno una volta e mezzo il prezzo della licenza. Una ricca torta, che vede impegnate (con Business Unit dedicate e Competence centers specializzati) sia le principali società di consulenza e di revisione contabile, sia solution providers operanti nel comparto dell'informatica (da Andersen Consulting a EDS).

Con un fatturato di 2.400 miliardi di dollari, per il 75% realizzato fuori Germania, e con un margine prima delle imposte del 43%, Sap AG è nel '97 il quarto produttore di software del mondo (primo non statunitense, davanti solo Microsoft, Oracle e Computer Associated).

Tra i 7000 clienti (in 80 paesi) spiccano 6 delle prime dieci Companies della classifica di Fortune. E tra gli altri General Motors, Ford, Toyota, Mercedes Benz, Pirelli, Exxon, Royal Dutch/Shell, Agip, Bayer, Hoechst, Hoffmann-La Roche, Dow Chemical, DuPont, Unilever, Procter & Gamble, Coca-Cola, Nestlé, Philip Morris, Motorola, Compaq, Digital, Apple, Lufthansa, American Airlines, Lego, Polygram, Electricité de France, Allianz.

Dunque innanzitutto multinazionali che opera in countries diverse, lontane culturalmente e geograficamente. Qui l’idea –per la sua capacità di offrire informazioni integrate ed ordinate– trova la sua applicazione ideale. Resta però da chiedersi ‘a quale prezzo’. Non solo per il costo dell'investimento in hardware, software, consulenza, risorse dedicate. Non solo per il tempo impiegato (gli anni necessari per ottenere risultati). Ma sopratutto per il costo legato alla rinuncia a buona parte della propria cultura organizzativa, alla propria ‘filosofia’.

  1. Software come filosofia

Se il software che usiamo è nella stragrande maggioranza dei casi statunitense, non è assolutamente un caso che Sap nasca invece dalla mente di ingegneri tedeschi.

Il software che usiamo normalmente, il software che vince sul mercato è frutto di una scelta illuministica. Macchine pensanti, figlie della ragione, alleggeriscono la via dell’uomo e liberano in ultima analisi la sua capacità di pensare di nuovo. Il software è manifestazione di empirismo e di pragmatismo: è soluzione codificata, confezionata di un problema che preoccupa l’uomo

Rispetto a questa lettura, Il Sap è la grande eccezione. È, a ben vedere, la rilettura –sotto forma di software– di una intera cultura, anzi, di una filosofia.

Solo ingegneri tedeschi potevano concepire Sap. E solo la filosofia tedesca spiega Sap. Per Hegel lo spirito sviluppa sé stesso, si arricchisce di contenuto e si plasma nella forma fino a divenire padrone di sé e trasparente a sé stesso. Allo stesso modo col Sap l’idea dell'organizzazione perfetta, da puro elemento del pensiero, si trasforma in prassi, in inattaccabile, indiscutibile legge imposta alla gestione aziendale.

Per Hegel la storia andava intesa come graduale affermazione della ragione nel mondo. In Hegel è esplicita la consapevolezza che la filosofia è l’autocoscienza (la consapevolezza di sé) teorica di un processo storico che culmina con l’organizzazione moderna dello stato. La ‘ragione’ che assume coscienza di sé nella filosofia è la stessa che stabilisce la propria supremazia nel mondo attraverso l’organizzazione politica della società. Il compiuto e razionale sistema filosofico si identifica con la (compiuta, almeno in linea di principio) razionalità delle organizzazioni.

Di questo passaggio dall’idea alla prassi il Sap è la prova provante: il modello di organizzazione razionale è dato; la storia delle organizzazioni va intesa come cammino verso la graduale affermazione della verità postulata dal Sap. Tramite Sap l'idea dell'organizzazione perfetta, da puro elemento del pensiero, da pensiero ordinato e ordinatore che pensa se stesso, si trasforma in prassi, in concreta gestione aziendale.

Il Sap è ontologico: così come le leggi morali sovrastano l’uomo, il software è inteso come sguardo dall’alto che sovradetermina il funzionamento delle organizzazioni. È filosofia che si dispiega sovrana a partire dal piano teorico per poi determinare la prassi. Descrive le modalità fondamentali dell’essere, e quindi dell’organizzazione dell’ente, senza abbassarsi a tener conto delle sue manifestazioni particolari. Ogni provincia dell’organizzazione sarà governata dalla sua legge.

Il Sap è una religione laica. L’idea, contenendo in sé la ragione, non può fallire. Comprando il software, compriamo l'idea dell'organizzazione perfetta. Idea che deve essere semplicemente applicata. Nessuno potrà chiamarci a responsabili di insuccessi in presenza del Sap. Il Sap, che è la ragione organizzativa, giustifica se stesso.

  1. Il Sap come vincolo esterno

Due, in particolare, le esigenze organizzative che trovano risposta nell'introduzione del Sap:

Di fronte a queste esigenze, Sap è efficace: mantiene la promessa di una totale integrazione delle informazioni.

E' però macchinoso e complesso. Al cospetto del Sap non c’è spazio per l’empirica ricerca di perfettibili risposte pragmatiche. Sap impone una                              unica soluzione, indica una one best way priva di alternative.

Eppure proprio in questa sua ‘pesantezza’ sta la ragione del suo successo. Che comincia a manifestarsi negli anni ottanta, ma diventa clamoroso negli anni novanta. E non a caso è gli anni che vedono diffondersi presso le grandi aziende –appesantite dalla burocrazia interna, dalle conseguenze stratificate di una insana tendenza ad articolare oltremisura le strutture– l'esigenza di divenire più ‘magre’ e più ‘cattive’. Si affermano i nuovi modelli della lean production e della organizzazione per processi. Si intraprendono di conseguenza radicali interventi di mutamento organizzativo. E proprio qui, nel Business Process Reengineering, si manifesta vincente la complessa articolazione modulare del Sap, che tutto abbraccia e nulla trascura.

Ci si potrebbe domandare: cosa ha a che fare un misero software con il governo dei processi di mutamento? La risposta è evidente, e forse proprio per questo –come nel caso della lettera rubata che sta lì sul tavolo, in vista, e proprio per questo non la si vede– appare difficile da accettare. Il Sap appare scelta sicura, tranquillizzante, esaustiva. Sap promette di liberare dal bisogno di pensare, o ri-pensare, la forma dell'organizzazione. Sap entra in gioco come risposta ad incapacità che si preferirebbe negare e rimuovere. Dobbiamo arrenderci al fatto di non poter fare a meno del Sap. Eppure si vorrebbe essere capaci di fare a meno del Sap. Si vorrebbe poter dire: ‘non ne abbiamo bisogno’.

Si può sostenere che gli interventi di ingegneria organizzativa dovrebbero nascere sempre da una spinta endogena: perché nessuno conosce i bisogni dell'organizzazione come chi vive al suo interno; perché un organismo sano cerca spontaneamente lo sviluppo, il miglioramento della propria reddittività e della propria capacità di produrre output. Eppure, se andiamo a guardare, vediamo che gli interventi di outsourcing e downsizing sono quasi sempre decisi quando ormai non se ne può fare a meno, quando l'azione è improrogabilmente imposta dal mercato, da una crisi profonda, da un superiore livello gerarchico, da un nuovo azionista, da una rivoluzione tecnologica.

Tutti –dal vertice aziendale alle organizzazioni sindacali– sanno abbastanza chiaramente cosa si dovrebbe fare. Eppure nessuno agisce. La naturale tendenza all'autoregolazione del sistema –di fatto– risulta trattenuta e ritardata dall'atteggiamento renitente degli uomini, che tendono ad allontanare da sé le situazioni che appaiono troppo complesse, lo stress del momento decisionale, la grande fatica insita nel guidare un processo di mutamento. Qui interviene Sap, in quanto ‘vincolo esterno’. Il Sap funziona come le regole di Maastricht: accettate e quindi divenute inviolabile vincolo ai comportamenti finanziari del nostro governo, ci conducono a traguardi –abbattimento del debito pubblico, contenimento della spesa– che il nostro paese molto probabilmente non sarebbe riuscito a raggiungere. Una occasione eccezionale, unica, irripetibile: uno stimolo esogeno a cui affidare il compito di spingerci a fare quello che avremmo dovuto comunque fare, ma che non siamo capaci di fare se non si è obbligati da qualcuno o da qualcosa. Così a Sap è delegata la responsabilità e la colpa di tutto ciò che si sa che si dovrà fare, ma che non sappiamo fare, o che ci risulta troppo doloroso fare.

Questa ‘efficacia simbolica’ del Sap è però una tentazione pericolosa. Grave è il rischio di considerare il Sap strumento taumaturgico. Troppo facile e pericoloso è affidare all’introduzione del Sap il compito di coprire in ogni caso la nostra incapacità di intervenire sui processi e di gestire fasi di mutamento.

Due in particolare le false soluzioni da evitare.

  1. Chi ha paura del Sap?

Il fantasma del Sap aleggia sul mondo della consulenza.

Presenza incombente con la quale è ormai impossibile non fare i conti, Il Sap resta oggetto misterioso per consulenti spesso troppo lontani dall’Information Technology. E sollecita interrogativi profondi e segreti. Cosa ha a che fare Sap con il mio lavoro di chi progetta di modelli organizzativi? Se un software fa riprogettazione e detta le linee dello sviluppo organizzativo, cosa resterà da fare a chi si occupa di organizzazioni?

Come ammettere che possa esistere una Maccchina Organizzatrice? Come ammettere che di fronte al ‘pensiero’ prodotto dalla macchina il consulente sia ridotto ad un ruolo ancillare? Come ammettere che lì dove si è scelto Sap lo spazio di azione si riduca alla raccolta di dati ed all'assemblaggio di moduli?

Ecco dunque che il Sap impone alla consulenza organizzativa un profondo ripensamento del proprio ruolo: non solo mette in discussione rendite di posizione ed erode quote di mercato, ma mina sicurezze e si ferisce nel narcisismo.

Epperò proprio per questo l’avvento del Sap ha un effetto salutare. Perché discrimina tra vera e falsa ‘consulenza strategica’.

Perché se la consulenza è in realtà –come malauguratamente troppo spesso accade– applicazione di formule preconfezionate, di modelli definiti a priori, buoni per tutte le occasioni, allora ben venga il Sap. Se si deve seguire una formula di ristrutturazione già data, allora tanto vale seguire la via minuziosamente prevista e descritta e percorsa da Sap. Perlomeno, a differenza dei progetti di riorganizzazione fondati sulla mera autorevolezza di chi guida la ristrutturazione, il Sap getta in campo la forza pratica del software, vende cioè la certezza che i comportamenti umani saranno davvero assoggettati a procedure. Procedure ‘ideologicamente tedesche’, anche farraginose, ma che saranno di sicuro rispettate (la rigidità è una manifestazione di forza: per una multinazionale che opera in countries diverse e lontane, il solo fatto di sapere che ordini e fatture rispondono ad un'unica modalità di caricamento dei dati è una garanzia importante).

Se invece la consulenza non si risolve nella proposta di formule preconfezionate, di modelli definiti a priori, buoni per tutte le occasioni, se la consulenza è ‘strategica, è pensiero che pensa il nuovo, creatività, idea non imitativa, allora il consulente non avrà nulla da temere dal Sap.

Ecco dunque che Sap interroga le Società di Consulenza, e impone loro una scelta: la divaricazione tra due modelli di sviluppo, che ci permettiamo di rappresentare qui tramite le loro manifestazioni estreme.

Da un lato Società di Consulenza a bassa intensità di pensiero, caratterizzate da una numerosa mano d'opera, una miriade di solerti analisti Sap R/3, intenti ad analizzare passo passo i comportamenti aziendali. Analizzare per ricondurre ad una norma.

Dall'altra think tank, società di poche teste pensanti capaci di trarre sintesi e proporre soluzioni ad un livello superiore. Osservare i dati di realtà per costruire su questa base modelli unici e fin dove possibile inimitabili.

  1. I valori dopo il Sap

L'originalità della cultura aziendale e dei modelli organizzativi, resta una delle fonti del successo. Rinunciarvi per mettere ordine ‘alla tedesca’ non sempre è necessario, e talvolta è pericoloso.

Infine, potremmo dire, se tutto è Sap, vince chi pure in presenza del tranquillizzante Grande Ordine Sap mantiene vive aree di creatività e di fermento.

Comunque il Sap mette in discussione la cultura e le motivazioni. Appare perciò particolarmente importante che l’introduzione del Sap non resti –come quasi sempre accade– un mero intervento ‘tecnico’ di reingegnerizzazione, affidato a specialisti attenti ai risultati ‘concreti’, e disinteressati alle ragioni profonde che motivano l’atteggiamento di fronte al lavoro ed all’impresa.

Eppure, al di là di tutto, l’introduzione del Sap costituisce l’occasione per una non gratuita rilettura dei valori di riferimento. Si otterranno così risultati per quanto riguarda l’efficacia stessa dell’intervento: che può essere vissuto come un necessario passaggio di cui si comprendono le ragioni. Ma sopratutto si renderà possibile salvaguardare i fattori distintivi –la specifica cultura dell’organizzazione– trovando loro una ragione di esistere nel nuovo contesto, normalizzato dal Sap.

Così, di fronte all’introduzione del Sap, che sembra negare alla funzione Risorse Umane da un qualsiasi ruolo nella guida del processo di cambiamento, si aprono invece spazi d’azione cui solo la funzione Risorse Umane può far fronte.

Il lavoro consisterà nel fondere e nell’integrare gli specifici, unici, tradizionali, irripetibili valori dell’azienda con i ‘nuovi valori’ che possono essere desunti da un lettura ‘in positivo’ del Sap.

I ‘nuovi valori’ possono essere espressi attraverso i concetti di Presenza globale / Identità locale, Integrazione, Disponibilità al cambiamento, Capacità di innovazione e propensione al rischio.

Presenza globale / Identità locale: si può operare all’interno di un Gruppo presente sul mercato globale mantenendo viva la consapevolezza dell’unicità del nostro contributo. Sap garantisce l’efficacia della presenza sul mercato globale. Ciò non è in contraddizione con la valorizzazione delle conoscenze ed attitudini locali. Si può essere là –in ogni luogo del mercato– ed essere qui –a ‘casa propria’–. All’interno del Gruppo che persegue grandi obiettivi, le identità locali costituiscono una ricchezza.

Integrazione: si può lavorare in modo interdipendente scambiandosi informazioni in modo efficace, operando in funzione di obiettivi comuni. Il Sap fornisce a questo scopo il supporto tecnico, necessario ma non sufficiente. Su questa base possono crescere nuovi atteggiamenti orientati alla condivisione delle conoscenze.

Disponibilità al cambiamento: il cambiamento non e’ il passaggio da una situazione di quiete ad una nuova situazione di quiete. Il mercato richiede ad ognuno l’assunzione di un atteggiamento di disponibilità’ a vivere in situazione di ‘mutamento continuo’. Perciò l’esperienza eccezionale vissuta con l’introduzione del Sap dovrà essere capitalizzata, diventando bagaglio diffuso e condiviso di atteggiamenti diffusi. In particolare, l’introduzione del Sap può insegnare:

  • a tagliare i ponti con il passato: è vano guardare indietro, è inutile guardare il presente con gli occhi di un passato che non potrà tornare
  • a individuare una leadership: fondamentale è il ruolo di chi, a prescindere dalla posizione ricoperta, è in grado di cogliere l’inevitabilità e gli aspetti positivi del mutamento
  • a curare l’allenamento al mutamento: è importante apprendere a vivere senza stress una situazione priva di stabili e definitivi punti di riferimento. (Qui, paradossalmente, l’introduzione del Sap può essere giocata contro se stessa: a partire dall’introduzione di uno strumento che pretende di dare risposte definitive, può essere mostrato che nessuna soluzione è definitiva).

Leggere criticamente il Sap significa dunque ricondurlo alla sua natura di substrato. Sopra lo zoccolo del Sap, che è alla fin fine uno standard di comunicazione e di controllo, rinasce l'esigenza di manifestare e di tradurre in azione la propria diversità; quei valori distintivi che la ferrea logica Sap ignora per scelta, e che invece l’impresa ha interesse a far emergere, perché lì sta la sua identità distintiva. Identità la cui originalità acquista maggior valore proprio in conseguenza del fatto che il Sap, in virtù della sua diffusione, ha reso più omogenei ed uniformi modelli organizzativi e stili di gestione.

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