BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 11/11/2002

RED GLOBAL DE TRUEQUE. DINERO, CRÉDITO Y SOCIEDAD

di Francesco Varanini

Nel 1980 esce The Third Wave di Alvin Toffler (NY: Bantam, 1980). La ‘terza ondata’ è l’età dell’informazione. E’ la stagione che oggi stiamo vivendo – vi siamo tanto immersi da non poterla guardare dall’esterno, ci è difficile perciò notare con piena consapevolezza come il nostro modi di viverre è cambiato.
Toffler notava come tutto era conseguenza di advances in technology. La tecnologia, prevedeva, avrebbe portato a fondere il mondo home con il mondo office. I confini tra ‘lavoro’ e ‘tempo libero’, in virtù della tecnologia (basta pensare a posta elettronica e telefonia mobile) sono sempre più sottili. Ma non basta: la visione di Toffler aveva al centro una nuova figura sociale: “the producer and consumer harmoniously blended into a prosumer.”.
Sono passati trent’anni, ed abbiamo ora sotto gli occhi un caso esemplare.
Parlo della Red Global de Trueque, nata in Argentina come risposta ‘spontanea’ alla crisi economica, Rete che unisce milioni di persone, ora diffusa anche in altri paesi latinoamericani, in particolare Uruguay e Cile, ma anche fuori dall’America Latina.
Mi limiterò qui a qualche appunto. Nello scrivere mi riallaccio in qualche modo al mio precedente contributo L’economia del dono.

Il tema è vasto e profondo e può essere sviluppato da diversi punti di vista. Il tema è interessante, perché ci propone un modello socio-economico che, con tutte le sue contraddizioni e gli evidenti difetti, funziona. Un modello che è emerso a partire da un bisogno sociale, sulla base di comportamenti collettivi. Un modo locale di leggere la globalizzazione, e di rispondervi. Una risposta ad una drammatica urgenza.Un modello non progettato da intellettuali esterni, americani o europei. Un modello nato in un luogo del cosiddetto Terzo Mondo, come uso spontaneo e funzionale ad una cultura ed a un bisogno locale delle tecnologie.

E’ interessante notare come il modello culturale occidentale eserciti la sua pressione. In America Latina si tende a sottolineare i comportamenti coerenti con modelli di azione -comportamenti economici, modelli di business- nati nel nord del mondo. Ci si tiene aggiornati, si cerca di cogliere le novità provenienti dall’esterno. C’è un orgoglio culturale che porta a sottolineare il proprio valore, ma si tende a ‘vergognarsi’ di modelli che nascono dalla povertà, dalla crisi, dall’impossibilità di corrispondere ai modelli imposti o proposti dai paesi occidentali ‘sviluppati’.

I paesi occidentali sviluppati sono attenti ad osservare come il proprio modello si diffonde, a sostenere questa diffusione, ma si pone scarsissima attenzione ai comportamenti ‘diversi’ emersi: nelle ‘periferie del mondo’: modi diversi di usare le tecnologie, modelli socio-economici diversi.

Da entrambi i lati si sottolinea insomma la negatività del ‘digital divide’. Ma non si coglie il punto chiave. Il divario si supera se ci si appropria veramente degli strumenti e se si scoprono nuovi modi di utilizzarli. Il divario non si supera se si diffondono modelli ‘occidentali’ – come con le migliori intenzioni si propongono ad esempio progetti dell’Unione Europea, vedi progetti @lis. Si supera se le tecnologie sono lette in modo ‘diverso’, producendo nuove metafore organizzative, nuove maniere di pensare alla creazione e alla circolazione della ricchezza.

Modelli nati come risposta a condizioni estreme di povertà, o come conseguenza del grave malfunzionamento di economie di mercato di stampo occidentale possono sembrare in Europa privi di interesse. E’ facile infatti pensare: se da noi funziona, cosa mai può insegnarci una risposta anche originale al malfunzionamento. Ma è un grave errore. I modelli nuovi, ricchi di insegnamenti per tutti, nel quadro dei sistemi complessi non nascono da ‘progetti progettati’, ma da ‘situazioni emergenti’, da risposte ‘non lineari’, non prevedibili a priori. Nascono da risposte a situazioni di crisi. Risposte motivate dall’esigenza di trovare necessariamente risposte.

Viaggiando in America Latina di lingua spagnola dieci anni fa ed oggi, salta agli occhi una differenza. Nella metropolitana di Città del Messico appositi chioschi garantiscono l’accesso a Internet. Lì, così come in luoghi accessibili a costi ragionevoli in tutto il continente, è normale ora vedere persone di scarse risorse inviare e ricevere posta elettronica. E’ ancora poco, gli accessi pubblici e gratuiti sono pochi o assenti; ma è una strada aperta. Appresi pochi rudimenti, scrivere una e-mail è più facile che scrivere una lettera su carta. Non è più costoso. (C’è una sola spiacevole eccezione, Cuba, dove gli stessi pochi che dispongono di una casella elettronica consigliano agli amici stranieri di usarla con parsimonia e con certe precauzioni: sanno di essere controllati).

La Rete (Internet, il Word Wide Web) ci propone una nuova metafora di società - luogo di convivenza di culture e gruppi sociali diversi -. Una società ‘non direttiva’, non gerarchica, non necessariamente governata da autorità delegate allo scopo.
Il funzionamento della Rete si fonda su poche regole (protocolli) condivisi e rispettati da tutti, non proprietari. Il consenso sulla Rete è garantito non da norme e da sanzioni, da ‘raccomandazioni’, che tutti o quasi trovano conveniente rispettare. (Non si tratta qui di fare apologie della Rete, né di credere in utopie: si tratta però di accettare di vedere il nuovo con occhi nuovi).

La Rete è stata per largo tempo intesa come la promessa di un nuovo mercato. C’era del vero in questo scenario, ma anche qualcosa di profondamente sbagliato (non voglio dire ‘eticamente’ sbagliato, ma sbagliato in quanto previsione, che è stata smentita dai fatti). L’errore stava nel concetto di e-commerce. La Rete, cioè, intesa come luogo dove si sarebbero scambiati beni e servizi in cambio di moneta. Siccome siamo abituati a scambiare beni e servizi sempre e solo per il tramite della moneta, la nostra miopia ci spingeva a supporre che questo sarebbe accaduto anche sulla Rete. Ciò che è invece accaduto -lo abbiamo tutti sotto gli occhi, ma ancora non ci rassegniamo ad accettarlo pienamente- è che la Rete si è affermata come luogo non dello scambio di beni versus moneta, ma come luogo dove nascono (o rinascono) forme di scambio non mediate dalla moneta.

Si tratta innanzitutto, sulla Rete, di scambio di beni immateriali, o asset intangibili che di si voglia: circolazione di informazioni, condivisione di conoscenze. La Rete, così, si mostra come un collante che favorisce l’emergere di nuovi comportamenti sociali. La disponibilità di conoscenze condivise, non proprietarie, gratuite, esponenzialmente crescenti in funzione dell’accumulazione alimentata da attori diversi, abbassa le barriere di accesso: rende possibili la produzione di beni e servizi per attori marginali, rende possibile produrre beni e servizi a costi più bassi. (Questo è in fondo uno degli insegnamenti dell’open source: gli stessi esponenti del movimento sostengono che si tratta di una logica produttiva e riproduttiva che riguarda solo il software; ma la lezione dell’open source va al di là: ci permette di ri-pensare il modo di dar vita ad ogni ‘prodotto intellettuale’).

L’effetto della Rete si manifesta dunque in modo evidente sul mercato dei ‘prodotti intellettuali’: contenuti che prima potevano essere venduti solo stampati su supporto cartaceo, musica, ecc., ora possono essere costruiti e distribuiti e fruiti in nuove forme. Ma non solo. Al di là dello scarso successo dell’e-commerce, la Rete ha effetti su ogni mercato. Perché attraverso l’accesso alle conoscenze, permette di diventare produttori a soggetti prima impossibilitati a produrre. Perché permette di convocare gli attori in un luogo, costruendo quindi un mercato. Perché insomma avvicina produttori e consumatori, fino a dar corpo alla visione di Toffler, produttore e consumatore “harmoniously blended into a prosumer”.

Prima di arrivare ad una breve descrizione della Red de Trueque, un ultimo avvicinamento. C’è un mercato sul quale tutti operiamo, quello fondato sullo scambio di beni, servizi e saperi fondato sull’uso del denaro. Siamo portati a considerare l’unico mercato possibile. E l’unico ‘legale’. Ma non è così. Anche lo stesso concetto di legalità, proprio all’interno di una ottica liberista, andrebbe avvicinato senza superficialità. Perché la legge deve essere rispettata? Perché è garanzia di accesso e di equità. Ove la legge istituisce o evita di rimuovere barriere che inibiscono l’accesso, si favorisce l’emergere di mercati paralleli, ‘informali’.
C’è un libro non nuovo, ma ancora di grande attualità (utile non solo per descrivere uno scenario latinoamericano, ma anche il ‘lavoro in nero’ italiano): Hernando De Soto, El otro sendero, Lima, Instituto Democracia y Libertad, 1986 (disponibile anche in altre edizioni, p. es. Bogotà: Oveja Negra, 1987). Un libro di un economista peruviano che spiega tutto questo molto bene: come gli abitanti dei nuovi quartieri che sorgono alle periferie di Lima si trovano costretti a creare un mercato illegale. Le persone sono dotate di spirito imprenditoriale, non rifiutano il rischio, accettano di investire in funzione di un ritorno futuro. Ma il costo della legalità (il costo delle materie prime, la costituzione di una società, le imposte) devono essere sostenibili. Altrimenti, nasce un mercato parallelo. Un mercato non privo di regole, ma anzi regolato da norme autoimposte e condivise dagli attori.
Uno degli aspetti chiave di questi mercati paralleli, gravemente limitanti, nota De Soto, è l’impossibilità per gli attori di avere accesso al mercato finanziario. Chi opera nei mercati paralleli non ha accesso al credito - oppure deve subire l’usura. (De Soto fa un esempio illuminante: le case semicostruite che vediamo nelle periferie del mondo non sono frutto di carenza di orientamento ai risultati, di incapacità ‘culturale’ di portare a termine i lavori. Sono frutto dell’impossibilità di accedere al credito. Non posso farmi finanziare la costruzione della casa, quindi compro un mattone ogni volta che posso, con la conseguenza che la casa apparirà sempre in costruzione).

Ora, con la Red Global de Trueque, siamo di fronte ad un mercato ‘parallelo’, ‘informale’, che si sforza di superare le conseguenze negative legate all’impossibilità di accedere al mercato finanziario. La moneta, portando in sé simbolicamente il valore, permette di investire in funzione di un risultato futuro, incrementando così le capacità produttive. Anche per i consumatori argentini è difficile ora accedere al denaro. Il denaro costa troppo. Il valore del denaro offerto in cambio del lavoro prestato sul mercato legale è troppo basso, insufficiente per acquistare gli stessi generi di prima necessità. E pensate che la situazione psicologica è più grave di quella degli indios scesi dalle Ande ed insediatisi nella cintura che circonda Lima. Qui, in Argentina, si tratta di persone abituate a godere di un reddito, a soddisfare i propri bisogni non a partire dall’autoconsumo ma ricorrendo in tutto e per tutto ad un mercato funzionante in base all’esistenza del denaro.
Che fare?
Se è impossibile accedere alla moneta battuta dallo Stato, la soluzione sta nel battere una moneta parallela, a tutti gli attori accessibile, riconosciuta valida da tutti gli attori. Se il supermercato diventa un luogo inaccessibile, la soluzione sta nel creare un mercato, luogo di scambio, alternativo.

In spagnolo trueque sta per ‘baratto’. Il baratto, si dice, è impraticabile su mercato moderno, perché i beni e i servizi e i saperi scambiati sono caratterizzati ognuno da un proprio da un ‘valore’. Quante mele vale la prestazione di un insegnante? Quante ore di lavoro di un addetto alle pulizie vale un libro?

Il baratto, rispondono le Red de Trueque, può essere ‘reciproco’ o ‘multireciproco’. Reciproco se si caratterizza per lo scambio diretto di beni e prestazioni tra due persone. Ed è evidente che con lo scambio reciproco si va poco lontano. Per soddisfare i bisogni legati alla vita quotidiana si devono poter realizzare baratti ‘mutireciproci’, e cioè indiretti. “Per questo si utilizza uno strumento di scambio chiamato credito”.

Dunque trueque, ‘baratto’. Barattare: ‘scambiare una cosa per un’altra senza far uso di denaro’. Parlare di baratto, richiamarsi idealmente ad un mercato che funziona senza moneta, è un modo di prendere la distanza dal mondo del denaro e della finanza, che ha tradito le aspettative dei cittadini. Parlare di baratto significa fondare il valore sulla reciproca fiducia e sul valore d’uso dei beni scambiati.

Ma al di là del rifiuto del denaro, inteso come valore astratto e lontano, la Red Global de Trueque è un mercato efficace proprio perché ha una sua moneta. L’invenzione di una moneta parallela (i créditos , biglietti, ‘carta moneta’ che non può essere cambiata né in pesos né in dollari), rende possibile ‘dare valore’ ai beni che i soggetti portano sul mercato. Che sono beni diversissimi tra di loro: come appunto piace dire a chi si opera nella Red de Trueque sia beni, sia servizi, sia saperi.

Con i créditos non solo si scambiano alimenti e indumenti e prestazioni ‘elementari’ - il lavoro dell’idraulico o del fabbro -, si possono barattare visite mediche o ‘pagare’ la scuola del figlio in un istituto privato. Anche, si vendono anche terreni, si può trovare un posto per le vacanze o un biglietto per il teatro, costruire una casa o comprare un’auto usata.
Le aziende, in una fase di grave contrazione dei consumi espressi sul mercato ‘ufficiale’, stanno pensando a come inserirsi in questa economia alternativa, mentre alcuni Comuni accettano già i créditos persino per pagare le tasse o i servizi comunali.

Si assiste così al paradosso, apparente, del valore riconosciuto ad un titolo privo formalmente di valore. Legalmente, i créditos non cancellano debiti, non valgono come promessa di pagamento.
Ma d’altra parte la moneta nazionale con corso legale ha tradito le promesse ed azzerato i risparmi.
E nel 2001, di fronte al taglio dei contributi federali, tredici Province (le nostre Regioni), sono arrivate ad emettere patacones , buoni-acquisto, come moneta di pagamento dei dipendenti pubblici. Se la fiducia posta nella moneta nazionale è stata tradita, e se le stesse amministrazioni locali hanno chiesto di avere fiducia in titoli privi di valore legale, perché non ci si dovrebbe fidare (di più) di buoni emessi da un gruppo di cui ci sentiamo parte noi stessi, buoni garantiti dall’interesse comune, dell’autocontrollo di gruppo, dalla condivisa appartenenza ad una Rete di “vinculación multirecíproca”?
I créditos hanno valore perché sono privi di valore legale. Il loro valore non si fonda su motivazioni astratte e su leggi emesse da uno stato lontano, ma sul consenso sociale riconfermato di giorno in giorno da un gruppo di persone ad un mercato che permette loro di guadagnarsi da vivere.

Come era da prevedersi, la crescita del mercato ha avuto come conseguenza l’apparire di falsi crediti. E’ stato uno choc per chi ha affidato la propria sopravvivenza a questo mercato. Cresciuto a partire dall’idea di un rispetto reciproco, fondato sull’autoregolazione: lo slogan è “cultura del lavoro ma nella solidarietà”. Ma il sistema ha reagito. Sono stati individuati meccanismi per smaltire la moneta ‘falsa’ e per rifinanziare i partecipanti al mercato.

Descriviamo ora brevemente, nei termini generali, scusandoci per qualche semplificazione, come funziona la Red Global de Trueque.

La Rete è fatta di Nodi, o Club de Trueque. Un Nodo è caratterizzato da un nucleo fondatore, composto da persone legate da stretti vincoli di conoscenza e fiducia reciproca. I componenti del nucleo fondatore sono spesso, ma non necessariamente, persone caratterizzate da un impegno sociale, appartenenti a qualche organizzazione di base.

Il nucleo fondatore promuove riunioni settimanali, tese a consolidare i vincoli di fiducia reciproca e a raggiungere la necessaria massa critica, 15-20 persone.

Ogni prosumidor appartenente ad un Nodo paga per l’iscrizione (in moneta a corso legale), cifra variabile da caso a caso, diciamo indicativamente una cifra corrispondente a circa 5 euro. Riceve in cambio un carnet di créditos di valore doppio.

I Nodi organizzano periodicamente (settimanalmente, mensilmente) Fiere (in luoghi privati, offerti sempre in una logica di scambio da membri della Rete, ma di facile accesso, p. es.: la palestra di una scuola) alle quale tutti i prosumidores appartenenti alla Rete possono accedere, sia in veste di produttori che di consumatori.
Le Fiere sono spesso appuntamenti fissi, ma sono ampiamente annunciate da inserzioni sui giornali, rubriche dedicate su periodici tipo ‘Secondamano’, pagine web della Red de Trueque. L’annuncio contiene informazioni sui ‘beni, servizi, saperi’ che saranno portati sul mercato.

Proprio come mostra la metafora di Internet, la Red Global è una Rete di Reti, non gerarchica, autoregolata, non ottimizzata, ma efficace.

La Rete è uno spazio di scambio cui appartengono tutti i prosumidores, e che appartiene a tutti i prosumidores. La Rete è luogo di inclusione sociale, di coinvolgimento attivo, dove si favorisce la distribuzione e si pratica la reciprocità, stimolando l’equità nelle opportunità di dare e di ricevere.

Ad ognuno è lasciata libertà, nel rispetto delle regole autoimposte e chiaramente esplicitate che regolano e garantiscono l’offerta: conservazione degli alimenti, qualità e tempestività delle prestazioni, ecc.

Ma pur nel rispetto della libertà dei singoli, i nuclei fondatori e le persone più impegnate nel movimento, consapevoli di aver creato un nuovo mercato, ritengono corretto indirizzare i comportamenti degli attori.
I prosumidores sono invitati a non tesaurizzare la ‘moneta’, e ad utilizzarla invece come ‘circolante’. Questo invito, o ‘raccomandazione’, non è l’unico. Si consiglia anche di partecipare ai Círculos de Calidad y Autoayuda, sorta di organismi regolatori, finalizzati alla ricerca “del consenso e del benessere comune”.

L’originalità della Red Global de Trueque si manifesta dunque nella sua origine -non un progetto, ma l’emergere a partire da una dura necessità-. Si manifesta nella capacità di riappropriarsi di modelli e di tecnologie, che vediamo letti alla luce ad una cultura e ad un sistema di valori.

Nata dall’esigenza di riempire i vuoti lasciati da un mercato neoliberista e concettualmente privo di rispetto per le persone, la Red Global de Trueque, concretissimo sistema per dare risposte ai bisogni primari, appare come un mercato liberista, privo di vincoli. Ma allo stesso tempo non rinuncia ad affermare che si fonda su una precisa etica. (Si può non essere d’accordo con questa etica, ma è apprezzabile che venga espressa con chiarezza sia ai prosumidores, sia al mondo esterno)

Coerentemente con la logica del movimento, non esiste un solo manifesto condiviso. Ogni Red si fonda su proprie dichiarazioni di principio. Ma la presenza di un unico principio ispiratore è evidente. Di seguito trascriviamo una dichiarazione di principio.

Dichiarazioni di principio
1. La nostra realizzazioni come esseri umani non deve necessariamente essere condizionata dal denaro.
2. Non cerchiamo di promuovere beni o servizi, ma di aiutarci mutuamente a raggiungere un più alto senso della vita, mediante il lavoro, la comprensione e lo scambio giusto.
3. Sosteniamo che è possibile rimpiazzare la competizione sterile, il lucro e la speculazione con la reciprocità tra persone.
4. Crediamo che i nostri atti, prodotti e servizi possono rispondere a norme etiche e ecologiche prima che ai dettami del mercato, del consumismo e della ricerca di benefici a breve termine.
5. Gli unici requisiti per essere membro della Red Global de Trueque sono: iscriversi, partecipare alle riunioni di gruppo, essere produttori e consumatori di beni, servizi e/o saperi, nel quadro delle raccomandazioni dei Circoli di Qualità e Autoaiuto.
6. Sosteniamo che ogni membro è l’unico responsabile dei suoi atti, prodotti, servizi.
7. Consideriamo che appartenere ad un gruppo non implica nessun vincolo di dipendenza, dato che la partecipazione individuale è libera e estesa a tutti i gruppi della Rete.
8. Sosteniamo che non è necessario che i gruppi si organizzino formalmente, in modo stabile, dato che il carattere di rete implica la rotazione permanente di ruoli e funzioni.
9. Crediamo sia possibile combinare l’autonomia dei gruppi, nella gestione degli affari interni, con il rispetto dei principi fondamentali sui quali si fonda l’appartenenza alla Rete.
10. Consideriamo raccomandabile che gli integranti non appoggino, sostengano o promuovano - in quanto membri della Rete – cause esterne ad essa, per non allontanaci dai nostri obiettivi fondamentali.
11. Sosteniamo che il miglior esempio è la nostra condotta nell’ambito della Rete e nella nostra vita al di fuori di essa. Mantenendo riservatezza in merito alle questioni private e prudenza nel trattamento pubblico dei temi della Rete che possono avere riflessi sulla sua crescita.
12. Crediamo profondamente in una idea di progresso come conseguenza del benessere sostenibile del maggior numero di persone nel contesto delle società.

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