GLI INGANNI DELLA WEB USABILITY. NIELSEN VS NELSON
A molti di voi
sarà capitato di sentir parlare di Web Usability. Esisterebbero
regole alle quali gli sviluppatori di siti dovrebbero attenersi. Regole
fondate su un principio: i siti devo essere semplici, la comunicazione
web deve cercare la semplicità.
Ma perché mai? Ma chi l’ha detto? Non è irrimediabilmente
complessa la Rete? E non sta forse in questa complessità, nella
ridondanza, nella imprevedibilità dei percorsi la sua ricchezza?
Non è forse bello e istruttivo confrontarsi con la complessità?
Non è forse ogni testo, ogni libro, ogni film, ogni computer game,
anche ogni testo web, in fondo, un arcano da svelare?
Eppure Jakob Nielsen, il profeta della Web Usability, predica: i siti
Web debbono essere chiari e coerenti, devono permettere una navigazione
semplice ed efficace – ma perché mai: se io esploro un mondo,
mi importa forse che sia semplice ed efficace il mio cammino? I miglior
film, quelli che amiamo di più e che ci hanno commosso e coinvolto,
quelli che ci hanno avvicinato al mondo dei sogni, li descriveremmo forse
come ‘semplici ed efficaci’?
Secondo Jakob Nielsen i siti Web devono mantenere quello che promettono
e non mettere mai in situazioni da cui non si sappia come uscire. Ma se
leggo un libro, non dico Proust o Joyce, ma anche un libro giallo, non
premio forse il libro che mi propone una trama contorta, il testo che
mi pone in un labirinto fino all’ultimo apparentemente senza uscita?
E c’è forse qualcuno che pensando alle caratteristiche che
gli fanno preferire un computer game rispetto ad un altro segnala la ‘semplicità’?
Esiste forse un rapporto univoco, unilineare, tra la semplicità
e l’efficacia? O tra la semplicitù e l’etica? Fra semplicità
e ricchezza, fra semplicità e qualità? No di certo.
Eppure le striminzite regolette proposte da Jakob Nielsen sono considerate
il verbo.
Sono citate come lampante verità. (Diverse persone mi hanno scritto
a proposito di Bloom: d’accordo, interessante, ma si potrebbe fare
qualche passo avanti dal punto di vista della web usability. Semplificare
la vita al visitatore in base ad una astratta idea delle sue aspettative.
Perché mai. Il modo ‘personale’ di offrire i contenuti
è anch’esso un messaggio).
Il punto è questo: di fronte ai ‘new media’ –
diciamo all’informazione e alle conoscenze fondate su supporti digitali,
per via multimediale, ipertestuale, interattiva – è ragionevole
sostenere che debbano essere semplici le metafore di accesso Perciò
accetto il discorso di chi parla di interfacce user friendly: schermi
grafici, puntatori, icone intese come metafore che descrivono gli ‘agenti’
disponibili sul desktop. Dico che trovo ragionevole sostenere che l’‘ambiente
amichevole’ è un obiettivo da perseguire – anche se
trovo che la cosa è meno ovvia di quanto appaia: potremmo per esempio
sostenere che l’ordine obbligato sulla nostra scrivania elettronica,
determinato da scelte imposte dal software, non scelte mie, è un
vincolo, un limite alla nostra creatività. Più di questo
ordine, trovo coerente con la creatività il disordine sulla mia
scrivania fisica, questo accumulo apparentemente insensato di fogli e
di libri che attorniano ora la tastiera e lo schermo.
Ma insomma, prendiamo per buono questo ordine, questi processi ‘semplici
ed efficaci’ imposti via software. Accettiamo il fatto che Office
rappresenti le diverse funzioni –scrivi, correggi, taglia e cuci,
salva– attraverso una unica simbologia. Magari si trattasse di una
simbologia ‘semplice ed efficace’!
E può andar bene anche che il browser, Explorer o Netscape o Opera,
siano facilmente usabili.
Ma è assurdo spostare il ragionamento, come fa Nielsen, al regno
dei contenuti. La usability ha senso se se si limita agli strumenti, alla
cornice. Diventa un pericoloso contro-senso quando sia applica ai contenuti.
A ben guardare, la Web Usability è una forma di censura: se il
sito non è costruito in corrispondenza a queste regolette, il sito
è ‘mal costruito’, criticabile, di scarso valore.
L’autorità guadagnata da Jakob Nielsen corrisponde alla pochezza
della grande maggioranza dei progettisti di siti web: grafici o programmatori
riciclati, incapaci di pensare un uso originale dei complessi strumenti
espressivi a disposizione –multimedialità, interattività,
ipertestualità– trovano comodo attestarsi al ‘codice
estetico’ proposto da questo guru. Prendendo per buono questo standard,
hanno buon gioco nell’imporsi come garanti di una pretesa qualità
estetica che in realtà è una forma di controllo.
Così, la moneta cattiva scaccia quella buona. L’estetica
dei siti è livellata in basso, con vantaggio per i peggiori e gli
incapaci.
Tutto all’insegna di un grande equivoco. Per Jakob Nielsen e i suoi
miopi seguaci il Web è qualcosa che sta tra la grande vetrina e
l’enciclopedia. Grande vetrina: contenuti come merci in mostra;
effetti precostituiti e predigeriti (Flash e simili) come specchietti
per le allodole. Enciclopedia: contenuti esposti come blocchi in una logica
ordinata, di apparente facile accesso.
Mentre in realtà il Web è un enorme, sconfinato, complesso,
labirintico ‘percorso di senso’. Il Web è conoscenza,
e la conoscenza è fruibile, prima che in virtù di un semplificatorio
‘ordine’, in virtù di una ‘narrazione’.
Se non c’è narrazione, se non c’è piacere del
testo, non c’è vera conoscenza.
Il Web è nella sostanza una ‘raccolta di storie’. La
storia vale per i sogni che sollecita, per le emozioni che provoca. La
scrittura multimediale permette di immaginare forme narrative più
ricche e più aperte. Dovremmo immaginare il sito come il ‘romanzo
del futuro’ –multimediale, interattivo, ipertestuale–.
Dovremmo pensare che solo un sito pensato così, come progetto che
esprime personalità ed originalità, è in grado, anche
in un’ottica mercantile’, di attrarre e fidelizzare i clienti.
E invece eccoci vittima di questo ridicolo invito alla semplificazione,
al taglio dei tempi di produzione, al taglio dei tempi di utilizzo, all’esaltazione
di un rapporto superficiale e banale tra autore/produttore e lettori/visitatori.
Buttiamo allora via i libri di Nielsen, le sue formulette, ed andiamo
a cercarci altrove stimoli, fonti, maestri. (Se proprio abbiamo bisogno
di maestri: forse, di fronte ad un nuovo che sta emergendo, dovremmo smetterla
di cercare appiglio in quello che ha detto qualche solito noto, ed avere
più fiducia in noi stessi, nella nostra creatività e nel
nostro intuito).
Se proprio dobbiamo andare a cercare un maestro, contro Nielsen e prima
di Nielsen, Nelson.
Ted Nelson è il grande visionario che per primo ha immaginato il
Web. Internet prima che Internet esistesse. Per primo ha immaginato costruzioni
di senso fondate "non-sequential writing", per primo ha chiamato
queste galassie di contenuti ‘ipertesti’, per primo ha capito
come via software era possibile dar corpo a questa visione. Come in tutte
le persone di genio, le sue ‘scoperte’ sono la conseguenza
di un percorso di conoscenza, di studio –era progettista di software,
ma aveva studiato filosofia e sociologia–, ma anche e soprattutto
di un carattere, di una personale storia di vita –era un diverso,
un eclettico, e probabilmente l’idea di ipertesto come è
frutto dell’elaborazione di una personale difficoltà: era
dislessico.
Poi Nelson cade vittima della stessa complessità del suo pensiero
e del suo progetto; la sua idea di una Rete totalmente progettata si traduce
in una serie di gloriosi fallimenti che coinvolgono importanti softwarehouse.
Ma la genialità e la forza del pensiero restano, ed ancora possono
guidarci nell’immaginare come può e come potrà essere
un ipertesto, un sito, la Rete. A volte basta una citazione. Leggete qui:
“Immaginate un’accessibilità e un entusiasmo nuovi,
che possano schiodare la narcosi da video che oggi incombe sul Paese come
una cappa di nebbia. Immaginate una nuova cultura libertaria dove spiegazioni
alternative permettono a chiunque di scegliere l’approccio e il
tracciato a lui più confacente; dove le idee siano accessibili
e interessanti per chiunque, così che l’esperienza umana
possa godere di una nuova libertà e di una nuova ricchezza; immaginate
una rinascita della letteratura”. Così scriveva Nelson nel
1981 1.
Per associazione mentale, questa citazione di Nelson si lega sempre nella
mia mente a quattro versi del poeta Sandro Penna: “Beato chi è
diverso/ essendo egli diverso/ ma guai a chi è diverso/ essendo
egli comune”. Ecco: Nielsen, a differenza di Nelson, è ‘comune’.
1
Ted H. (Teodor Holm), Nelson, Literary Machines, Swarthmore (Pa), 1981
(pubblicato in proprio). Trad. it. dell'ed. 1990: Literary Machines 90.1,
Padova, Muzzio, 1992.
Interessante e precursore anche il precedente: Ted H. Nelson, Computer
Lib/Dream Machines, 1974, poi Seattle (Wash.), Microsoft Press, 1987.
In Literary Machines Nelson descrive il progetto Xanadu. A tutt’oggi
Nelson insiste nel credere al suo progetto, e sottoliena le differenze:
“Often confused with the much-simpler World Wide Web, Xanadu is
an ongoing family of software and document designs architected for side-by-side
intercomparison, unrestricted re-use of content, and profuse overlapping
links. I still believe it will have an important place in the electronic
document world.” (http://ted.hyperland.com/bio.txt).