ELOGIO DELLA BUSINESS INTELLIGENCE
Un data warehouse
è il luogo in cui sono conservati i dati da consultare,
analizzare e condividere da parte degli utenti business.
Ma un conto è dire ‘luogo in cui sono conservati
i dati’ affinché essi possano essere usati
come supporto alle decisioni; un conto è dire che
si tratta di ‘una base dati di sostegno alle decisioni’.
La differenza è meno sottile di quello che appare.
Perché parlando di ‘sostegno dalle decisioni’
si introduce un altro concetto, complementare, ma per sua
natura differente da quello di Datawarehouse. La tecnologia
pensata per ‘sostenere le decisioni’ non è
il Datawarehouse, è ‘Business Intelligence’.
Nel caso del Datawarehouse, si tratta di una tecnologia
pensata da tecnici per essere usata da tecnici. Solo uno
specialista allestisce un Datawarehouse, “a system
for storing, retrieving and managing large amounts of any
type of data”, “A database, often remote, containing
recent snapshots of corporate data” (FOLDOC, Free
On Line Dictionary Of Computing; http://wombat.doc.ic.ac.uk/foldoc/).
Nel caso della Business Intelligence si tratta invece di
una tecnologia pensata per attribuire, di fronte all’utilizzo
delle informazioni, gradi di libertà e di autonomia
a utenti non tecnici, a coloro che utilizzano le informazioni
per uno scopo. L’utente è messo nelle condizioni
di costruirsi a suo piacimento oggetti multidimensionali
di informazioni (‘metacubi’): nel caso del marketing,
ad esempio, incrociando le informazioni relative a prodotti/servizi;
tempo e area geografica. Potrà poi lavorare ‘dentro’
il metacubo in modo ‘drill’, scavando; ‘slice’:
affettando; ‘dice’: ‘tagliando a dadini’.
Evidentemente, se si tratta di una tecnologia destinata
ad offrire sostegno e spazi di autonomia al manager ed al
professional nel momento del processo decisionale, grave
limite costituirebbe il fatto che manager e professional
dovessero necessariamente ricorrere al tecnico per usare
lo strumento. Ma appunto, la critica alla quale non possono
sfuggire le tecnologie di Datawarehouse, –il loro
richiedere la mediazione del tecnico– non possono
essere applicate agli strumenti di Business Intelligence.
Questi non solo si propongono di mettere nelle mani degli
utenti non solo gli strumenti per accedere liberamente alle
informazioni, ma anche gli strumenti per effettuare direttamente
modifiche sullo strumento. Infatti, la Business Intelligence
presuppone che l’utente adatti di volta lo strumento
alle sue sempre mutevoli esigenze. E ancora, la Business
Intelligence presuppone che qualsiasi informazione possa
essere utile in fase di decision making: la ridondanza è
implicita fonte di nuove connessioni, quindi è efficace.
Anche per questa via si manifestano differenze concettuali:
la conoscenza organizzativa esplicitata nel Datawarehouse
è un insieme scelto aprioristicamente da pochi ‘esperti’,
mentre la conoscenza organizzativa tipica della Business
Intelligence è ‘emergente’, frutto di
una competenza diffusa, di volta in volta diversa e più
ricca.
Dunque –all’opposto del Datawarehouse–
la Business Intelligence è una tecnologia open-ended,
pensata per favorire crescita della conoscenza oltre i confini
imposti da ruoli e competenze.
Detto questo, è più che legittimo sostenere
che la promessa della Business Intelligence (‘end-to-end
metadata management’) non è oggi ancora pienamente
mantenuta. Ma ciò non dipende tanto da limiti della
tecnologia, quanto da motivi organizzativi e culturali.
Un consapevole ed efficace uso della Business Intelligence
da parte del manager e del professional si fonda sull’acquisizione
di conoscenze tecniche certo accessibili, ma non banali
Inoltre, è proprio qui che, consapevolmente o inconsapevolmente,
molti specialisti ICT elevano difese: per mantenere il loro
ruolo di mediatori necessari tendono a nascondere il vero
senso della Business Intelligence. Magari dietro il nebuloso
concetto di Datawarehouse.