L'INNOVAZIONE?
CERTO BASTA CHE NON SIA TROPPO FATICOSA.....
PICCOLA PROVOCAZIONE SULLA COMPLESSITA'.
La tesi è banale a descriversi: mi sono convinto che noi tutti siamo innovatori a parole. Cioè accettiamo tutte le innovazioni che ci permettono, gattopardescamente, di continuare a dire le tre cose che abbiamo in testa con l’abbellimento di qualche slogan.
Perché mi sono
convinto di questa tesi?
Per il modo in cui stiamo affrontando tutto quel patrimonio di conoscenze che
sta sotto il nome di complessità.
Lo stiamo affrontando come cercatori di slogan. E non come pellegrini che accettano
di camminare una nuova terra. Convinti che questo cammino li potrà portare
da mille parti ancora sconosciute (Perché la strada la di fa con l’andare!).
Ma certo costringerà tutti coloro che accetteranno di essere pellegrini
ad abbandonare tutte le convinzioni che costituiscono la loro identità
cos’ cara e così pretenziosa.
Ed ora che ho esposto
questa tesi? Sono felice di essermi sfogato e ritorno alle mie faccende di tutti
i giorni?
No!
Trasformo il mio sfogo
in proposta… Una proposta forte, anche se difficile.
In sintesi la proposta dice questo.
Innanzitutto la metafora della complessità è uno “strumento”
inevitabile.
Oggi tutti noi stiamo vivendo una situazione di stallo dalla quale non riusciamo
ad uscire perché stiamo vivendo all’interno di sistemi complessi
trattandoli come sistemi semplici. Cioè stiamo cercando di aggiustare
il televisore con il martello convinti che sia il teatrino delle marionette.
Non otteniamo di riparare il televisore: lo trasformiamo in frantumi.
In particolare viviamo una situazione di stallo noi consulenti formatori.
La metafora della complessità è lo strumento per superare la situazione di stallo, ma è uno “strumento” ancora troppo primitivo.
Allora il primo impegno è un impegno di ricerca. E di ricerca fondamentale.
Ed è un impegno
che non possiamo delegare. Voglio dire che si tratta di avviare una ricerca
fondamentale che non è delegabile agli accademici, ma deve essere sviluppato
dai practitioners. Detto diversamente, dobbiamo invertire i rapporti tra ricerca
fondamentale e ricerca applicata.
Tocca a noi che vogliamo (che abbiamo bisogno di una nuova cultura per essere
felici in questo mondo) dare un contributo a precisare una metafora che oggi
è solo balbettata.
E poi dobbiamo declinare questa metafora alle situazioni concrete che vogliamo
affrontare.
Per fare tutte queste
cose da dove partire? Da un primo tuffo nella metafora della complessità
… Davvero oggi di questa metafora vengono raccontati solo gli aspetti
più folcloristici, ma sostanzialmente innocui, come ad esempio la teoria
del caos.
Ma la metafora della complessità è ben altro.
Provo a descrivere questa alterità
Le radici della complessità sono, nel mondo occidentale, costituita da tre scoperte.
La prima è costituita
dalle geometrie non euclidee!
Roba di due secoli fa (il 1800) con anticipazioni in quello precedente (padre
Saccheri). Cosa sono le geometrie non euclidee? Sono la scoperta che la matematica
non è un descrizione del mondo reale. Ma è una collezione di romanzi
possibili.
Ogni geometria è una sorta di romanzo dello spazio. Che racconta degli
spazi possibili. E alla domanda: ma qual è lo spazio “reale”,
quello che tutti calpestiamo? Ecco, a questa domanda non c’è risposta!
Tentando di generalizzare la lezione delle geometrie non euclidee, forse possiamo
dire che le diverse teorie matematiche sono storie. Che, per di più,
non hanno neanche la pretesa di essere vere. Sono storie scritte in linguaggi
difficili. Per accedere a queste storie è necessario utilizzare linguaggi
particolari.
E sono storie delle quali non si può escludere una sintesi. Perchè
si escludono a vicenda.
La seconda radice è
costituita dalla meccanica quantistica.
Essa è un corpo teorico complesso, ancora oggi considerato misterioso,
ma che ha proposto alcune dimensioni della complessità sorprendenti.
· il ruolo creativo dell’osservatore che non guarda
(misura) un sistema "quantistico", ma lo modifica, fa precipitare
il suo potenziale di identità in una attualità concreta;
· l’impossibilità di esaurire la conoscenza della
realtà: il famoso principio di indeterminazione;
· la contemporanea legittimità di visione contrapposte:
il meno famoso, ma altrettanto importante principio di complementarietà
che rivela che la materia è non solo particelle ma, contemporaneamente,
anche onde.
Ma la meccanica quantistica è vera? Descrive veramente come funziona
il mondo? Io credo che la meccanica quantistica sia come una delle geometrie
non euclidee: è un romanzo su come potrebbe essere il mondo. Un romanzo
diverso e più pretenzioso delle geometrie non euclidee, ma sempre un
romanzo.
Il terzo pilastro
è costituito dai teoremi di Godel. Egli ha dimostrato che ogni
teoria matematica (ogni romanzo scritto in quella lingua difficile che ò
la lingua dei matematici) che pretende di essere completa (di descrivere tutto
un universo) è per forza di cose (matematiche) auto contraddittoria.
E questa è l’ultima sberla alla cultura scientifica di Galileo!
Non solo non esiste un’unica descrizione possibile del mondo, ma anche
ognuna di queste descrizioni è “traballante”. Nel senso che
tanto più pretende di essere “completa” tanto più
rivela inconsistenze interne.
Ma perché l’ho
messa giù così dura?
Perché penso che una più profonda e più utile (capace di
creare una nuova cultura ed una nuova prassi manageriale) metafora della complessità
possa nascere solo se si parte da una “riscoperta” delle sue origini.
Io ho provato a percorrere questa strada ed ho sviluppato alcuni risultati parziali. Che, però, rivoluzionano i concetti di “apprendere” (ad esempio portano a concludere che non esistono processi di questo tipo), le modalità di fare strategia, di intendere il cambiamento organizzativo. E più in generale di fare socialità politica e cultura.
Questo mio contributo
è già disponibile ai lettori di Bloom sotto il titolo “Dal
mito del controllo all’ecologia del progetto” …
Posso dire che mi piacerebbero commenti e reazioni?