BLOOM! frammenti di organizzazione
Pubblicato in data: 26/04/2004

UN PAMPHLET CONTRO DI NOI... MA PER NOI!

di Francesco Zanotti

A proposito di:
Romano Trabucchi ( a cura di), Complessità e gestione strategica delle risorse umane, con contributi di Ulderico Capucci, Vittorio Coda, Sergio De Vio, Giuseppe Scifo, Giuseppe Varchetta, Franco Angeli, 2004

Sì, questo è un pamphlet! Che firmo personalmente senza artifizi letterari perché sono indignato! E non per qualcosa fatto a me.
Ma indignato di fronte a comportamenti che tarpano le ali a tutti coloro che cercano di costruire futuri. E non possono sfruttare miserevoli glorie passate!
Indignato con chi, invece di indicare una strada alle giovani generazioni di consulenti e formatori, invece di aiutarli a costruire la loro speranza gioca all’auto rappresentazione meschina ..
Non dirò il peccatore (ognuno se lo può scoprire facilmente da solo!), ma il peccato sì lo dirò! E il più chiaramente possibile. Sperando di suscitare altrettanta indignazione, sperando che questa indignazione possa iniziare un movimento … ma di questo parlerò alla fine. Ora il peccato: chiarissimamente e durissimamente. Con tutta la durezza, la parzialità e la polemica di chi ha partecipato all’ultimo evento di passione e di rivoluzione: il ’68.
Ho appena comprato un libro il cui titolo è già un programma: mette insieme tre parole/espressioni di piccolo cabotaggio markettaro: “complessità”, l’aggettivo “strategico” e l’espressione “risorse umane”.

E il piccolo cabotaggio che deprime il futuro è lo stile di tutto il libro. E la piccolezza cresce ad ogni pagina … Ok non l’ho letto tutto. Quindi non pretendo di avere fatto una esegesi completa. Ma ho letto quanto basta per suscitare una indignazione libera e forte.

La prima occasione di indignazione è l’uso bassamente strumentale dell’aggettivo “strategico”. Si usa strategico giustapposto alle cose che facciamo per dire che sono importanti. Ed allora è strategica la finanza, il marketing, la gestione delle risorse umane, la formazione, l’e-learning … E via dicendo. L’unica cosa che chi la fornisce non ha il coraggio di definire strategica è la carta igienica: e pensare che, se strategico significa importante, anche costui (indiscutibilmente) avrebbe tutto il diritto di fregiare il suo prodotto di questo aggettivo.
Io credo che l’utilizzo parossistico di questo aggettivo denoti impotenza. Non abbiamo il coraggio di dire che ci occupiamo di strategia. Ma usiamo il nome aggettivato per nobilitare le cose che facciamo. Accidenti è ora di cambiare prospettiva.
Piantiamola di dire che sono strategiche le cose che facciamo: oggi non lo sono! Tendono solo a farci sopravvivere, ma non sono in grado, anche se vengono fatte esattamente come piacerebbe a noi (e forse proprio perché le vogliamo fatte a questo modo), a dare un contributo rilevante a rinnovare la capacità di produrre valore economico e sociale di imprese, banche, public utilities, pubblica amministrazione etc.
Quando avremo il coraggio di costruire una scuola italiana di strategia d’impresa? Magari non solo italiana. Ma una scuola che nasca dalle mille culture che non siano anglosassoni? La cultura latina e quella araba che vivono insieme sulle sponde dello stesso mare. Poi le cultura del profondo oriente, le misteriose cultura africane, africane, indiane etc.? La cultura anglosassone ha dato al management tutto quello che poteva. Ora non basta più: anzi è controproducente! E’ la cultura che domina il sistema economico mondiale e che impedisce a questo sistema di svilupparsi. E’ la cultura che ci impedisce di riscoprire la profezia a l’arte che scorrono nelle nostre vene.
Una scuola italiana di strategia d’impresa sarebbe veramente la risorsa necessaria per ricominciare un cammino di sviluppo.

La seconda occasione di indignazione è l’abuso meschino della parola complessità. Si sa che è di moda ed allora non ci si può esimere di parlarne. E parlandone si cerca di sfruttarla. E si cade nella meschinitudine.
Uno degli autori del libro dice cosa sia la complessità. E dice che essa è determinata da tre dinamiche: differenziazione, integrazione e tempo. E forte di questa definizione continua a ripetere le cose che dice da anni. Solo colorate da una nuova parola. Con la speranza che questa imbiancatura nasconda le crepe di idee che forse erano vecchie quando sono nate decine di anni fa.
Perché mi indigna questo fatto? Perché il dire queste cose è un atto di superbia e di tracotanza infinito. La parola complessità riassume oramai una grande rivoluzione culturale che ci ha condotto a superare il pensiero della civiltà industriale: il pensiero scientifico. E’ una rivoluzione che ha mille anime ognuna delle quali merita ascolto e meditazione. Una rivoluzione che chiede di essere continuata cercando una sintesi di mille anime feconde. Ebbene il nostro si permette di fregarsene di tutte questa anime. Di non fare la fatica di ascoltarle (direi: studiarle). E di buttare sul tavolo una definizione di complessità che, forse, poteva essere solo bassa divulgazione già ai tempi di von Bertalanffy. E, spacciando questa definizione come la sintesi del risultato di tante fatiche e tante speranze (di vite intere: ricordiamo solo quella di Francisco Varela morto appena 50enne pochi anni fa), continua a riempire carta delle sue idee di sempre. Che, certo, non contengono in nessun modo nessuna delle conquiste che hanno caratterizzato questo secolo (dalla meccanica quantistica alla teoria dei sistemi autopoietici. A quel movimento che si chiama post-moderno. E che a me sembra essere già contenuto tutto in nuce nel libro di Dirac sulle meccanica quantistica).

Fine del pamphlet contro. Contro anche di noi che troppo spesso condividiamo la stessa indolenza. Non ci peritiamo di conoscere, ma solo di buttare su carta e addosso ai clienti le nostre frustrazioni, invece di proposte libere e forti.

Mi immagino una contro indignazione: ma questo peccato è fatto da una persona che dovrebbe essere di esempio a tutti noi. Che è stato maestro a molti. Non me ne importa nulla! Quello di maestro è un titolo che occorre conquistare ogni giorno: fino a che non si esala l’ultimo respiro! E se lo si demerita una sola volta, ecco lo si è demeritato per sempre: come accade al profeta che sbaglia una sola misera profezia ..

Ed arriviamo al pamphlet pro. Si tratta di una proposta: c’è qualcuno interessato ad attivare un movimento che abbia come obiettivo quello di costruire una nuova cultura e prassi di strategia d’impresa che sia fondata in modo fecondo sulla metafora della complessità?
Chiunque sia interessato mi contatti. Io organizzerò un seminario (finanziato dalla mia organizzazione) dove in un pomeriggio (con cena alla fine) fornirò la materia prima (una sintesi di tutte le anime della complessità, un sintesi di tutte le principali scuole di pensiero strategico) per costruire una nuova cultura strategica che diventi lo strumento principe per costruire uno sviluppo etico ed estetico di questo nostra paese … che si chiama mondo!

E da quella sera nascerà un movimento.

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