UN PAMPHLET CONTRO DI NOI... MA PER NOI!
A proposito di:Sì, questo è un pamphlet!
Che firmo personalmente senza artifizi letterari perché sono indignato!
E non per qualcosa fatto a me.
Ma indignato di fronte a comportamenti che tarpano le ali a tutti coloro che
cercano di costruire futuri. E non possono sfruttare miserevoli glorie passate!
Indignato con chi, invece di indicare una strada alle giovani generazioni di
consulenti e formatori, invece di aiutarli a costruire la loro speranza gioca
all’auto rappresentazione meschina ..
Non dirò il peccatore (ognuno se lo può scoprire facilmente da
solo!), ma il peccato sì lo dirò! E il più chiaramente
possibile. Sperando di suscitare altrettanta indignazione, sperando che questa
indignazione possa iniziare un movimento … ma di questo parlerò
alla fine. Ora il peccato: chiarissimamente e durissimamente. Con tutta la durezza,
la parzialità e la polemica di chi ha partecipato all’ultimo evento
di passione e di rivoluzione: il ’68.
Ho appena comprato un libro il cui titolo è già un programma:
mette insieme tre parole/espressioni di piccolo cabotaggio markettaro: “complessità”,
l’aggettivo “strategico” e l’espressione “risorse
umane”.
E il piccolo cabotaggio che deprime il futuro è lo stile di tutto il libro. E la piccolezza cresce ad ogni pagina … Ok non l’ho letto tutto. Quindi non pretendo di avere fatto una esegesi completa. Ma ho letto quanto basta per suscitare una indignazione libera e forte.
La prima occasione di indignazione
è l’uso bassamente strumentale dell’aggettivo “strategico”.
Si usa strategico giustapposto alle cose che facciamo per dire che sono importanti.
Ed allora è strategica la finanza, il marketing, la gestione delle risorse
umane, la formazione, l’e-learning … E via dicendo. L’unica
cosa che chi la fornisce non ha il coraggio di definire strategica è
la carta igienica: e pensare che, se strategico significa importante, anche
costui (indiscutibilmente) avrebbe tutto il diritto di fregiare il suo prodotto
di questo aggettivo.
Io credo che l’utilizzo parossistico di questo aggettivo denoti impotenza.
Non abbiamo il coraggio di dire che ci occupiamo di strategia. Ma usiamo il
nome aggettivato per nobilitare le cose che facciamo. Accidenti è ora
di cambiare prospettiva.
Piantiamola di dire che sono strategiche le cose che facciamo: oggi non lo sono!
Tendono solo a farci sopravvivere, ma non sono in grado, anche se vengono fatte
esattamente come piacerebbe a noi (e forse proprio perché le vogliamo
fatte a questo modo), a dare un contributo rilevante a rinnovare la capacità
di produrre valore economico e sociale di imprese, banche, public utilities,
pubblica amministrazione etc.
Quando avremo il coraggio di costruire una scuola italiana di strategia d’impresa?
Magari non solo italiana. Ma una scuola che nasca dalle mille culture che non
siano anglosassoni? La cultura latina e quella araba che vivono insieme sulle
sponde dello stesso mare. Poi le cultura del profondo oriente, le misteriose
cultura africane, africane, indiane etc.? La cultura anglosassone ha dato al
management tutto quello che poteva. Ora non basta più: anzi è
controproducente! E’ la cultura che domina il sistema economico mondiale
e che impedisce a questo sistema di svilupparsi. E’ la cultura che ci
impedisce di riscoprire la profezia a l’arte che scorrono nelle nostre
vene.
Una scuola italiana di strategia d’impresa sarebbe veramente la risorsa
necessaria per ricominciare un cammino di sviluppo.
La seconda occasione di indignazione
è l’abuso meschino della parola complessità. Si
sa che è di moda ed allora non ci si può esimere di parlarne.
E parlandone si cerca di sfruttarla. E si cade nella meschinitudine.
Uno degli autori del libro dice cosa sia la complessità. E dice che essa
è determinata da tre dinamiche: differenziazione, integrazione e tempo.
E forte di questa definizione continua a ripetere le cose che dice da anni.
Solo colorate da una nuova parola. Con la speranza che questa imbiancatura nasconda
le crepe di idee che forse erano vecchie quando sono nate decine di anni fa.
Perché mi indigna questo fatto? Perché il dire queste cose è
un atto di superbia e di tracotanza infinito. La parola complessità riassume
oramai una grande rivoluzione culturale che ci ha condotto a superare il pensiero
della civiltà industriale: il pensiero scientifico. E’ una rivoluzione
che ha mille anime ognuna delle quali merita ascolto e meditazione. Una rivoluzione
che chiede di essere continuata cercando una sintesi di mille anime feconde.
Ebbene il nostro si permette di fregarsene di tutte questa anime. Di non fare
la fatica di ascoltarle (direi: studiarle). E di buttare sul tavolo una definizione
di complessità che, forse, poteva essere solo bassa divulgazione già
ai tempi di von Bertalanffy. E, spacciando questa definizione come la sintesi
del risultato di tante fatiche e tante speranze (di vite intere: ricordiamo
solo quella di Francisco Varela morto appena 50enne pochi anni fa), continua
a riempire carta delle sue idee di sempre. Che, certo, non contengono in nessun
modo nessuna delle conquiste che hanno caratterizzato questo secolo (dalla meccanica
quantistica alla teoria dei sistemi autopoietici. A quel movimento che si chiama
post-moderno. E che a me sembra essere già contenuto tutto in nuce nel
libro di Dirac sulle meccanica quantistica).
Fine del pamphlet contro. Contro anche di noi che troppo spesso condividiamo la stessa indolenza. Non ci peritiamo di conoscere, ma solo di buttare su carta e addosso ai clienti le nostre frustrazioni, invece di proposte libere e forti.
Mi immagino una contro indignazione: ma questo peccato è fatto da una persona che dovrebbe essere di esempio a tutti noi. Che è stato maestro a molti. Non me ne importa nulla! Quello di maestro è un titolo che occorre conquistare ogni giorno: fino a che non si esala l’ultimo respiro! E se lo si demerita una sola volta, ecco lo si è demeritato per sempre: come accade al profeta che sbaglia una sola misera profezia ..
Ed arriviamo al pamphlet pro. Si tratta di una
proposta: c’è qualcuno interessato ad attivare un movimento che
abbia come obiettivo quello di costruire una nuova cultura e prassi di strategia
d’impresa che sia fondata in modo fecondo sulla metafora della complessità?
Chiunque sia interessato mi contatti. Io organizzerò un seminario (finanziato
dalla mia organizzazione) dove in un pomeriggio (con cena alla fine) fornirò
la materia prima (una sintesi di tutte le anime della complessità, un
sintesi di tutte le principali scuole di pensiero strategico) per costruire
una nuova cultura strategica che diventi lo strumento principe per costruire
uno sviluppo etico ed estetico di questo nostra paese … che si chiama
mondo!
E da quella sera nascerà un movimento.