Fonte originale: http://www.marcobruschi.net/il-marketing-su-twitter-secondo/
Questo articolo – o come si voglia chiamare – nasce dalla riflessione che è scaturita da questo scambio di battute su Twitter. Prima di raccontare tutta la storia voglio dirvi due cose che ho notato su come le aziende fanno marketing cinguettando.
Chi ha vita facile su Twitter
Su Twitter hanno vita facile le aziende che generano cultura. Quelle che propongono eventi interessanti, libri, film, qualsiasi cosa del genere. Voglio dire: quelle che, facendolo, si fanno anche pubblicità. Le case editrici, per esempio, secondo me possono sfruttare al massimo il palcoscenico offerto da Twitter. Le seguiamo perché ci interessa quello che hanno da dirci, visto che citano libri, cose riguardanti la letteratura, eccetera. Se una casa editrice pubblica un tweet riguardante il suo ultimo libro in uscita non si pensa: guarda questi che pensano solo a promuoversi. Il fatto è che le cose che queste aziende vendono, sono percepite come – sono a tutti gli effetti – cultura dalla società. Ognuno, poi, ha il suo stile ed è più o meno bravo. Se una casa editrice appena nata – ma anche non appena nata – scrive dei propri libri e basta, dopo un po’, mi annoia e smetto di seguirla; ma questi sono casi specifici.
Sempre per il discorso del generare cultura, posso per esempio seguire l’account di un museo, di un evento interessante, di un sito web che recensisce film. Sono cose di ampio respiro, non focalizzate solo su un prodotto.
Chi non ha vita facile su Twitter
Non hanno vita facile le aziende che vendono un prodotto che non genera cultura. Per esempio, la Strongbow Gold, che produce sidro. Ora, io ho il massimo rispetto per il sidro e secondo me dovrebbe essere un elemento di base della cultura di ogni società che voglia chiamarsi tale, ma questa è un’altra storia. Quello scambio di tweet che ho postato all’inizio della pagina è andato così: in una conversazione su Twitter ho nominato per caso la parola “sidro” – sempre perché credo che debba far parte della vita di tutti – e qualche ora dopo la mia conversazione è stata “intercettata” dal marketer della Strongbow Gold (@SGBitalia) che evidentemente la pensa come me. La cosa non mi ha infastidito, anzi, penso che facciano bene a fare così, finché non scadono nell’invadenza.
Ma la vera domanda è: ora, io seguo l’account Twitter di Strongbow Gold?
La risposta è: no.
Perché?
Perché temo che non scriverà altri tweet se non quelli che riguardano il proprio prodotto. E più o meno, da questo pezzo della loro TL, ho ragione. Non sto facendo accuse a nessuno, ho già detto che il loro modello di marketing non mi ha infastidito; c’è di molto peggio in giro .
Il punto è che se fossi un appassionato della Strongbow Gold, un vero idolatra, la seguirei, ma questo è un cane che si morde la coda, perché se sei già appassionato di una cosa la compri anche senza sentirne parlare su Twitter – per quanto mi stia venendo sete mentre scrivo.
Ok, ma allora per questo tipo di aziende non c’è speranza di sfruttare davvero Twitter?
Secondo me sì, ma devono cambiare il loro modo di fare. Devono crearsi un’identità, raccontare una storia.
Cosa farei io se fossi il marketer di Strongbow Gold su Twitter
Mentirei. Mentirei e inventerei. Mi inventerei la storia di uno stagista che è costretto a tweettare per loro. Il mio account si chiamerebbe @SBG_lostagista, o simili. La mia bio sarebbe questa, o una cosa del genere:
“Sono uno stagista di web marketing rinchiuso in un’enorme bottiglia di sidro. E’ vuota, ma se mi comporto male la riempiono un po’ “
A questo punto entrano in gioco alcuni meccanismi particolari. Tutti sanno che l’account è in realtà quello ufficiale di Strongbow Gold – perché sarebbe sul sito, e potrebbe venire aperta addirittura una pagina sul sito ufficiale dedicata allo “stagista” – ma scattano due cose fondamentali: l’ironia, in primis, e l’identificazione.
Se Strongbow Gold lancia il sidro al gusto cocco – non lo fate per favore se state leggendo – è molto diverso se leggo un tweet del tipo:
“Da oggi il nostro nuovo prodotto al gusto cocco! E’ fantastico!”
oppure, da parte dello stagista, che me lo immagino alquanto avvelenato:
“E’ uscito lo Strongbow Gold al gusto cocco e ora mi tocca berne dieci bottiglie e poi farci pubblicità. Ma prego, godetevelo.”
Lo stesso messaggio, il lancio del nuovo prodotto, arriverebbe comunque, ma in due modi totalmente diversi.
La storia, poi, si creerebbe da sé e si modellerebbe nel tempo. Un’azienda come la Strongbow Gold, che punta ai giovani, potrebbe permettersi questo tipo di ironia senza aver paura di ripercussioni sulla propria immagine. Tutti, specialmente gli utenti di Twitter, la capirebbero. Io personalmente inizierei a seguire le vicende del povero stagista, che mi parla del suo prodotto senza annoiarmi. Ci sarebbe una persona dietro l’account e non vedrei il palazzo aziendale, anche se saprei benissimo che dietro ci sarebbe proprio quello. Attenzione, perché in questo caso l’intenzione di far nascere una persona da identificare con il marchio è voluta, ed è per questo che è una buona cosa, anche perché la persona è finta ed è il marchio stesso. Pericoloso è invece, secondo me, quando una persona vera inizia a parlare per conto del marchio esprimendo opinioni che non sono da esso condivise. Cioè quando il web marketer scambia l’account aziendale per quello personale. Se succede, l’azienda deve stare molto attenta perché potrebbero crearsi situazioni spiacevoli per lei.
Da questo punto di partenza poi, il nostro stagista, che è diventato una persona e non più un marchio, potrebbe anche spaziare ogni tanto su altri argomenti di interesse più ampio, e anche lui, dalla sua bottiglia, generare cultura.
Quindi l’ironia è sempre la carta vincente?
No, non c’è un sempre, ci sono casi che vanno analizzati volta per volta, prendendo in considerazione il pubblico di riferimento, il target, come dicono nei master.
Secondo me, però, in un posto come Twitter, dove si segue qualcuno perché ci potrebbe offrire qualcosa di più, perché ci interessa, una buona strada sarebbe quella di creare più storie, più identificazione, per accorciare la distanza fra il marchio e le persone.
Ho finito, vado a farmi una bevuta.
Ah, su Twitter mi trovi qui: @paroledipolvere
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Credits: l’uomo nella bottiglia è preso da qui
Fonte originale: http://www.marcobruschi.net/il-marketing-su-twitter-secondo/