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Un’esperienza di costruzione di un team

di Anna Deambrosis 15 Ottobre 2012

Vorrei riportare la mia personale esperienza condotta nel tentativo di lavorare in azienda con un team coeso, e alcune riflessioni che ha suscitato, senza intenzione di dare regole predefinite.
La parola team evoca una dimensione comunitaria di qualcosa che si fa insieme, si condivide, che apre pensieri o attenzioni verso gli altri. Ma nel contesto aziendale viene usata spesso come un inglesismo il cui significato si riduce a ‘insieme di persone che orbitano intorno ad un capo carismatico’. Perciò spiego cosa intendo per team.
Parto da un problema: i buchi dell’organigramma. Non passa settimana senza un nuovo comunicato organizzativo. “Adesso è tutto a posto”, penserà il collega dell’Organizzazione. Ma nel tempo necessario ad attuare la variazione organizzativa, l’azienda e le persone sono mutate e quella soluzione è già un poco superata. Il collega dell’organizzazione mi fa venire in mente un cartografo che disegna e ridisegna le mappe di continenti che continuano a spostarsi. Quanto le caselle dell’organigramma e le procedure bastano a mettere ordine nelle aziende? L’organigramma da solo non basta: non è che il dictat del manager che dice chi deve fare che cosa. Ma è umanamente impossibile che il manager riesca a contemplare e governare tutte le situazioni che si possono presentare in azienda. E compie un pericoloso assunto di base. L’organigramma legge l’organizzazione assumendo un punto di vista ‘oggettivo’: le persone vengono inquadrate in caselle come oggetti. Trascura quanto questi s-oggetti siano effettivamente in grado di fare. Penso al contrario che le persone, in quanto s-oggetti, possano manifestare un notevole senso di responsabilità e capacità che, a priori, non è possibile immaginare. Bisogna, allora, aggiungere una dimensione.
La terra è tonda, ma in azienda è come se, con l’organigramma, continuassimo a rappresentarla in due dimensioni. Questo andrebbe comunque bene nella maggioranza dei casi, come facciamo con le cartine, ma se dovessimo spostarci sulla Luna, delle cartine poco ce ne faremmo Ormai le aziende devono cercare, metaforicamente, di andare sulla Luna, e il team può essere uno strumento più adatto per vedere gli spazi che si aprono tra una casella e l’altra, spazi da cui può passare il business
Il team è qualcosa che cerca di lavorare in questi spazi ignoti così che nessuna opportunità venga sprecata. E’ ricercare contesti nei quali le persone riescano ad esprimere le loro capacità al meglio, per se stessi e per l’azienda. Perché questo accada si deve partire dal rispetto delle persone in quanto soggetti, in grado di realizzare risultati utilizzando la loro personale capacità di trovare soluzioni non programmabili e superiori alle attese. Si costruisce il team per ottenere un risultato maggiore: se si mettono insieme più oggetti si ottiene la somma delle parti, se si sommano più s-oggetti non si può presupporre il risultato.
Bisogna intendersi sulla parola “team”. Cominciamo a dire cosa non è: non è buonismo, non è cameratismo, non è socialismo, non è fanatismo, non è egualitarismo. E’ massima responsabilità verso gli obiettivi comuni, è una diversa leadership, è fatica non comune, è mettersi a disposizione degli altri e chiedere agli altri, è crescita professionale individuale e aziendale, è gestione dell’azienda fuori dalle logiche di potere (distorsive) che la avvolgono e che i capi tanto amano
Il team utile ad un’azienda è un gruppo di persone che, per raggiungere un obiettivo comune, mettono a disposizione reciprocamente le loro conoscenze, competenze e esperienza professionale. E’ meglio se hanno competenze relazionali sviluppate. E’ fatto da persone diverse, ma che dalla loro diversità traggono valore aggiunto.
I team non si autogenerano: bisogna agire una serie di attività concrete finalizzate a modificare schemi di lavoro consolidati. Provo a individuare possibili direzioni di questo lavoro.
Un obiettivo comune: è la ragion d’essere del team. Ciò che importa è che sia concreto, misurabile e sfidante. Il capo per prima cosa deve condividere, con le persone del team, un obiettivo. Condividere e non dettare: la condivisione è necessaria perché tutti sentano proprio e abbiano compreso l’obiettivo e perché è importante. Il team deve lavorare per raggiungerlo. Il lavoro deve essere coordinato e continuamente condiviso. Il team decide e approva i piani di lavoro e ne verifica gli sviluppi mettendo eventualmente in discussione il piano stesso o l’efficacia spesa nel realizzarlo da parte di uno dei suoi membri.
Un team coeso presuppone una straordinaria maturità dei suoi membri per uscire dal solito individualismo aziendale, perché mettere in comune può creare valore. Però il bilancio non è sempre in pareggio, può capitare che la percezione dei singoli sia quella di essere sempre donatori piuttosto che riceventi. Allora bisogna far uscire allo scoperto questo convincimento, far assumere la responsabilità del proprio percepito e insieme al team mettere in comune tutte le percezioni, che, per definizione, sono tutte vere senza essere la verità. Questo attiva il più potente degli strumenti di creazione del team: la capacità degli individui di dare e ricevere punti di vista e percezioni soggettive finalizzati a far evolvere uno o più membri del team. E’ profondamente radicata la difficoltà di capire che senza la collettività certi standard non sarebbero ottenibili. Per questo bisogna continuamente riportare gli obiettivi individuali agli obiettivi comuni e far capire che questi ultimi sono un presupposto al raggiungimento dei primi. Bisogna far capire che i risultati richiesti non sarebbero comunque raggiungibili individualmente. Occorrono competenze relazionali sviluppate. Come si può raggiungere un obiettivo se non si può dire ad un membro del team che ha agito mosso da leve di potere piuttosto che di risultato? O che sta trascurando la possibilità di usare altre leve? Ci vogliono persone consapevoli delle tradizionali logiche predeterminate, consapevoli che essi stessi inevitabilmente scivoleranno su queste logiche, ma capaci di accorgersi e di reagire.
Ci sono infine persone del team che proprio non si sopportano. L’unica soluzione è lasciare che si stiano antipatiche e pensare a come farli lavorare bene insieme. Far accettare la diversità è elemento costitutivo del team.
Il team come capacità di lavorare insieme in modo efficace potrebbe diventare quasi un’integrazione all’organigramma utile a costituire una rete dalle maglie più fitte in grado di trattenere più business. Chi dall’organigramma è nominato essere il capo assume, nel suo ruolo e tra le sue responsabilità, il compito di favorire contesti di lavoro differenti dalla gerarchia stessa che l’ha nominato. Assurdo organizzativo: il prodotto dell’organigramma non sta più nell’organigramma! Come l’ordito e la trama, l’organigramma e i team potrebbero costituire un nuovo sistema di gestione delle aziende, con modelli organizzativi differenti costruiti sul valore delle persone piuttosto che delle regole e dei regolamenti.
Nel mio lavoro di costruzione del team posso dire che ho riscontrato notevoli cambiamenti nelle persone. E’ il loro modo di lavorare e di relazionarsi che è cambiato e cambia continuamente, si è sviluppata la capacità di integrarsi e di attivare le proprie capacità. Noi rappresentiamo un settore dell’azienda che ha portato grandi risultati, come si è potuto fare tutto questo con un organico invariato? Facendo emergere il potenziale delle persone.
Se la consapevolezza della potenza che così si genera fosse acquisita dal management dell’azienda, il lavoro in team potrebbe diventare veramente un metodo di lavoro caratterizzante di un’organizzazione evoluta e a attuale.

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