Noi umani siamo storie.
Siamo ciò che siamo in virtù della storia che raccontiamo a noi stessi e agli altri.
Se non possiamo raccontare di noi, e di quello che ci capita, e di quello che abbiamo visto, o sentito, in gran parte non siamo.
Più di ogni altra cosa, del colore degli occhi e dei capelli, della lingua, dei manufatti, delle tecnologie, più di ogni altra cosa forse ci caratterizzano le nostre storie.
Anche il più laconico di noi, quando trova il momento, l’interlocutore, lo spazio e il tempo giusto, racconta.
Ai bambini, così naturalmente connessi con la nostra essenza più semplice e autentica, le storie piacciono un sacco. E i bambini, in gran parte, raccontano. Se ci fate caso, quando sono soli raccontano ad alta voce.
Anche i gruppi, le comunità umane sono in gran parte storie. Anche le tribù raccontano.
Nei gruppi scout, il racconto è una parte fondamentale del metodo educativo. Soprattutto con i bambini, si racconta periodicamente. Ma alcune volte ho raccontato ai ragazzi grandi, e ho trovato un identico riscontro di attenzione profonda e ondate di emozioni di ritorno. Un adulto racconta, i ragazzi affascinati formano un unico orecchio, una identità di sentimenti, una comunità.
Le famiglie raccontano. E l’assenza di racconti non è solo qualcosa che non c’è. È segreto, è carenza, è reticenza e dolore. Quando non possiamo raccontare ci pesa, e pesa nella relazione.
Le nostre storie vengono ripetute, quelle che amiamo di più sono ripetute tante volte. Più o meno uguali. Con un dettaglio in più o in meno qui e là. Ripetiamo il dialogo, le risposte, i silenzi. Te l’ho già raccontato? Infatti, a volte ricordiamo e ripetiamo così volentieri la storia che perdiamo il conto di quante volte e a chi l’abbiamo già raccontata.
Siamo quello.
Le organizzazioni, le aziende, sono fatte di persone, e dunque di racconti.
Da diverse decine d’anni ormai, sappiamo che ciò che viene raccontato all’interno di una organizzazione, di un gruppo di lavoro, incide su variabili fondamentali, come la fiducia, il clima, la motivazione e in ultima analisi il risultato.
Incide sul morale, e in gran parte sull’identità. Noi siamo quello che ci raccontiamo.
Cosa stiamo raccontando nelle nostre famiglie? Cosa stiamo raccontando nei nostri gruppi di lavoro?
Ci sono le storie buffe, quelle che finiscono con il colpo da ridere.
Ci sono quelle tragiche, di sofferenze esemplari o drammatiche, che finiscono con così è la vita, o qualcosa di simile.
Ci sono le storie di passaggio, di tappe evolutive di comprensione e progresso, doloroso ma importante.
Ci sono le storie eroiche, quelle in cui i protagonisti attraversano prove tremende ed escono trionfanti in virtù delle loro capacità, rettitudine, coraggio. Sono le storie che finiscono bene.
Proviamo a raccontarle, in questo periodo di poca speranza, proviamo a diffondere le storie di semplice e quotidiano eroismo. E le storie di successo, raccontate non trionfalmente né nascondendo il resto, ma neanche lasciando che le brutte notizie seppelliscano le storie positive.
E non dimentichiamoci il finale. Ai bambini non piacciono le storie che non finiscono bene.