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Sì, ti sposo… ma per sette anni

di Maria Cristina Koch 19 Gennaio 2014

Il legame matrimoniale sta diventando sempre più un tormento, quando c’è perché c’è, quando non c’è perché non c’è, per le separazioni, per i divorzi, per i figli e non figli che ballano su un mare davvero molto mosso, per i diritti dei gay e delle lesbiche che rivendicano un rito che gli eterosessuali snobbano sempre di più, per le convivenze, per gli elenchi nei Comuni un po’ “oltre” che raccolgono le cosiddette unioni civili (perché le altre che cosa sono?).
Insomma il matrimonio oggi sta diventando in pratica un inciampo per i cittadini che non riescono a modellare sulle loro esigenze un patto fra persone che lo Stato dovrebbe registrare, sancire, prenderne atto, riconoscere.
E, poi, diciamocelo, questa storia del matrimonio che dovrebbe essere immaginato di per sé duraturo è un’ipotesi bizzarra che è stata testata, imposta, ma che non regge più, forse non ha mai davvero retto, forse non è mai stata una invenzione al servizio dei cittadini. Sì, lo so, i diritti dei figli, la comunione dei beni, la protezione del partner più debole sono cose più che sacrosante ma chi l’ha detto che la qualità di un matrimonio che duri fino a che non viene fatto saltare (con fatica, dolore, spese e traumi di ogni genere per tutti i protagonisti) sia ancora la formula più adeguata?
I figli nati fuori dal matrimonio sono stati finalmente equiparati ai figli cosiddetti legittimi? Ci sono bambini adottati, famiglie ricostituite, perfino nei libri di lettura e nella pubblicità non viene più presentata la cosiddetta famiglia con padre+madre+bambino+bambina. Allora, se facessimo una pensata per immaginare una forma di patto fra persone che lo Stato possa riconoscere ma che non si presenti come una gabbia in cui entrare a farsi costringere, magari consolandosi con una bella festa e qualche lacrima di commozione.
Diceva giustamente un caro amico senegalese, “ci sono tanti battesimi ma non ci sono più matrimoni, il battesimo è una festa ma il matrimonio è un impegno”.
Che sia un impegno serio, con conseguenze di estrema rilevanza, non c’è bisogno di sottolinearlo ma ciascuno di noi può prendere un impegno seriamente solo se è per un certo periodo di tempo, nessuno può essere invitato a impegnarsi per tutta la vita salvo dover tornare a capo chino sui propri passi e attraversare tempi e territori di gravissimo costo emotivo, affettivo, finanziario, travolto in un turbine incontrollabile di persone esterne che vengono coinvolte a dire, normare, consigliare, vincolare la volontà di quelli che, pure, erano stati un tempo liberi e considerati capaci di stipulare un impegno molto serio.
Allora? allora a me sembra che il punto ostativo sia il principio del matrimonio che deve durare, se possibile per tutta la vita. Tanto che si dice comunemente, di chi si è separato, che “si è rifatto una vita”.
E se, ad esempio, immaginassimo un matrimonio a scadenza? Credo che a chiunque possa essere proposto di impegnarsi per un patto con un partner amato per un certo arco di tempo, vogliamo dire i classici sette anni? Ché, se poi durante la convivenza (o quel che sarà la formula prescelta) ci si dovesse accorgere che no, non funziona, non mi piace più, beh, si può ben pretendere che per i prossimi due, tre anni che mancano alla scadenza ci si comporti civilmente, sciogliendo con una certa delicatezza nodi rivelatisi impropri o iniziando già da allora a disegnare il da farsi dopo che il matrimonio sarà scaduto: figli, proprietà, accordi di ogni genere.
Anzi, seguendo abitudini civilissime, si potrebbe (dovrebbe) impostare all’atto stesso del matrimonio un’idea di che cosa succederà al suo scadere, trattando tutto ciò che è in comune con un occhio a questo futuro.
Se poi allo scadere i due dovessero desiderare un nuovo patto, sarà l’occasione di siglarne uno nuovo, fresco, modellato su quelle persone per come sono diventate, per l’esperienza che hanno fatto, per i loro desideri di quel momento. E pensate che festa sarebbe celebrare nuovamente un patto fra persone con una periodicità che marca il tempo e se ne fa vestito! Perché non celebrare ancora un rapporto da inventare nuovamente? Invece di guardarsi alle spalle con la nostalgia di quando credevamo che legarsi fosse un’idea fantastica e constatiamo che ora i nostri polsi sono segnati da questi legami, che li percepiamo, questi legami, come non tanto troppo stretti quanto, piuttosto, non fatti su misura per noi.
I cittadini sono persone adulte, forse sarebbero in grado di creare patti veri se davvero dovessero e potessero assumersene piena responsabilità. E su questo principio di base, certo, costruire tutta una rete normativa che migliori la protezione dei più deboli, che garantisca i figli, che sia di sostegno e non di strettoia feroce per i contraenti.
Viva gli sposi!

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libera professionista, psicoterapeuta, saggista, counselor, formatrice. mcristina@mckoch.fastwebnet.it, www.lacasadivetro.com, www.sistemanet.com, www.sicolombardia.it

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