Ho molto apprezzato l’articolo di Alessandro Reati perchè a mio avviso tocca un punto fondamentale: in azienda non si ha bisogno di formazione, ma di apprendimento.
E le logiche che sottendono all’apprendimento sono solo parzialmente (a volte per nulla) legate alla qualità della formazione erogata.
Se la richiesta di formazione risponde alla logica dell'”uniformazione” (v. articolo di Luca Fornaroli: La formazione dovrebbe essere un processo dialogico) allora il focus è sul formatore, ovvero sul veicolatore di messaggi espliciti o impliciti di adeguamento ad un certo modello culturale gradito.
Altra cosa invece è il tema dell’apprendimento, ovvero della scoperta del nuovo, dell’inaspettato, ma anche del limite visto come indirizzo di futuro apprendimento. Qui il focus non è il formatore, ma la motivazione della persona ad apprendere e la sua predisposizione (capacità di) ad apprendere. Stimolare il desiderio di apprendimento e di scoperta è il primo passo, sempre con l’umiltà di ammettere che “se uno la motivazione non ce l’ha, non se la può dare”, quindi non si tratta di un processo di aggiunta, ma di scoperta o riscoperta (tutti infatti abbiamo insita in ni la voglia di apprendere, spesso questa voglia viene anestetizzata dal contesto in cui cresciamo e lavoriamo).
Si tratta quindi di un viaggio di apprendimento e di scoperta anche per il formatore, che in questa prospettiva sarebbe più opportuno chiamare facilitatore, stimolatore di idee, maieuta. Solo se il facilitatore apprende a sua volta nel corso di un percorso “formativo”, allora vi è una possibilità che un vero processo di apprendimento individuale e di gruppo nasca e si sviluppi. Portare concetti pronti e trasmettere idee brillanti apprese da qualcun altro non ha nulla da convidirere con l’apprendimento, si tratta al più di indottrinamento.
Fra le poche scuole di pensiero che si avvicinano a questa visione cito il self empowerment di Bruscaglioni che ha il merito di favorire il self direct learning, attraverso un processo di stimolazione del desiderio (che però è già presente, seppur dormiente, nella persona, altrimenti non funziona) e di costruzione di pensabilità positiva, ovvero di prefigurazione di possibili futuri che possono soddisfare ai nostri desideri.
Anche la Theory U di Otto Scharmer insiste sull’importanza del percorso individuale (e/o collettivo) di riflessione, apertura e scoperta dell’inatteso (letting come) e della staordinaria forza sprigionata da questo processo.
Certo il processo di apprendimento è come un esperimento nucleare, sprigiona molta energia, ma è difficilmente controllabile. Ed è per questo che spesso, troppo spesso, si parla di formazione e discenti, invece che di apprendimento e di persone che vogliono e possono apprendere.