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Apologia del Libraccio. O della maleducazione musicale di Viale Vittorio Veneto 22, Milano

di Francesco Varanini 19 Febbraio 2016

Sono passati tanti anni da quando Carlo Feltrinelli, non credo se ne ricorderà, mi diceva che il Libraccio sarebbe diventato sempre più importante, allora credo che esistesse a Milano solo la lbireria in zona Ticinese. Di recente Angelo Guerini, mio editore e mio amico, mi diceva che il Libraccio, catena di librerie, è un canale sempre più rilevante per la saggistica. Per chi non lo sapesse si tratta di librerie dove si trovano libri di seconda mano, libri non più disponibili tramite la normale distribuzione, libri fuori catalogo.
Le ragioni del successo del Libraccio mi sembrano ovvie. Le librerie, ormai, soccombono sotto il peso dei libracci. Si trovano solo novità. Non c’è più catalogo. Non c’è più varietà. I libri trattati come moda, come capi di abbigliamento. Più un libro è di scarsa qualità, scarso valore, meglio è esposto in libreria. In prima fila e sui banconi e impilati in torri più alti i libri più insignificanti. I lettori non saranno tanti, almeno in Italia, ma i lettori che possono definirsi tali non possono trovarsi a loro agio in queste librerie.
Al lettore curioso ed attento piaceva perdere lo sguardo tra i titoli esposti, piaceva vagare, sostare. fino ad incappare in libro che non si può fare a meno di comprare. Le librerie che coltivano questo piacere, questo amore per la lettura, scompaiono una dietro l’altra.
O perché sono ormai negozi di catena, dove gli acquisti, per tutte le librerie, sono gestite dall’onnipotente Buyer che impone i suoi voleri ad editori e lettori. O perché la grande libreria è passata dalle mani dell’esperto ed appassionato libraio, ormai avanti negli anni, alle mani del figlio, con al seguito consulente di marketing – e quindi subito il catalogo è stato tagliato, gli spazi si sono ridotti, i titoli storici, i classici, i titoli scelti dal libraio in base alle proprie idiosincrasie, al proprio fiuto- tutti questi libri sono stati tolti dallo scaffale.
Così i lettori, magari loro malgrado, per cercare varietà, per cercare di essere sopresi da qualcosa di inatteso, per trovare un classico, sono costretti a rifugiarsi nel mendo virtuale delle librerie on line.
Una delle solite orrende espressioni inglesi che ci siamo abituati ad usare -dove pure ben potremmo usare parole nella nostra lingua- recita ‘customer experience’. Le librerie non offrono più risposta, non permettono nessuna ‘customer experience’. Insomma, il piacere di chi ama leggere ed aquistare libri è frustrato. Chi ama l’odore del libro, chi prova paicere nel toccarlo, nello sfogliarlo, nel perdersi nei dorsi lungo gli scaffali, non ha che una opportunità: il Libraccio. Se la moneta cattiva scaccia quella buona, se i libracci espellono i buoni libri ed i buoni lettori dalla libreria, il Libraccio è il rifugio dove entrambi si ritrovano.
Solo al Libraccio, oggi, il lettore può trovar risposta al proprio desiderio più profondo: trovare un libro che non cerca.
Le stesse piccole librerie di seconda mano chiudono una dietro l’altra. Non resta che il Libraccio. Perciò anch’io, negli ultimi anni, sono diventato un affezionato frequentatore del Libraccio, in diverse città.
Solo lì trovo libri lontani dal mainsteam, libri diversi da quelli consigliati da Fabio Fazio e dal Gabibbo. Libri dell’inizio del Novecento e degli Anni Cinquanta. Libri lontani dalle mode e dal conformismo, libri di destra e di sinistra. La stessa mescolanza stimola connessioni, allarga lo sguardo. C’è la varietà, ma potremmo anche dire che c’è qualità più alta dell’offerta di qualsiasi altra libreria, schiava dei Buyer e dello Spirito del Tempo. Lo ripeto: se là stanno i libracci, i libri espulsi da quelle librerie, i libri che che trovo al Libraccio sono già libri scelti.
Ho solo un piccolo problema. L’esperienza impagabile del vagare tra i libri, perdendosi con lo sguardo tra i diversissimi formati, le rilegature, le brossure, i colori, i titoli, sfogliare a caso richiede silenzio. Il mio ritmo non può essere lo stesso della persona che accanto a me segue il suo percorso di senso. Non avete nessuna possibilità, amici del Libraccio, di indovinare quale colonna sonora potrebbe ben accompagnarmi nel gettare lo sguardo su una vecchia edizione di classico della filosofia o un romanzo di fantascienza. Perciò, lasciatemi il silenzio.
Cari amici del Libraccio, ditemi perché a Pisa posso godere del silenzio e in Viale Vittorio Veneto 22, no, Milano. Ieri mattina sono tornato al Libraccio di Viale Vittorio Veneto. Ho acquistato un libro di Jilius Evola, un libro di Franco Fornari, un libro di Simone Weil.
Alla cassa, mentre pagavo, ho chiesto gentilmente: ‘Nessun cliente vi ha detto che la musica disturba?’. La persona al bancone mi ha risposto seccatissima: ‘No’. E senza chiedermi come si fa di solito se volevo un sacchetto, ha ostentatamente girato le spalle, rivolgendosi ad un’altra persona,
Cari amici del Libraccio, vorrei sapere se l’imporre al visitatore della libreria il supplizio di una colonna sonora è una vostra scelta. O se, come suppongo, è una scelta di qualche impiegato che non ama il proprio lavoro. Se quella impiegata avesse amato il proprio lavoro, i libri e la lettura, avrebbe capito il senso della mia domanda, e non mi avrebbe risposto a quella maniera.

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