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La paura di ammettere la nostra insicurezza. Un aiuto dai Gruppi Balint

di Matteo Fantoni 16 Settembre 2016

Cosa ci preoccupa nella nostra vita lavorativa? E’ curioso quanto sia difficile non solo ammettere di essere in difficoltà, ma soprattutto esprimere la paura di poter essere in difficoltà, il timore di non essere all’altezza. Nel mio lavoro di comunicatore esiste un momento chiave: la prima riflessione dopo aver ricevuto un brief. Tradotto in italiano, un incontro in cui un referente aziendale condivide con un’agenzia o con i colleghi le informazioni necessarie allo sviluppo di un nuovo progetto di comunicazione. Può essere per esempio il lancio di nuovo prodotto, un evento istituzionale, un problema di normativa. Cosa accade immancabilmente subito dopo? Chi ha preso il brief non vede l’ora di potersi ritrovare per iniziare uno scambio ossessivo su quanto il cliente (interno o esterno) abbia dato indicazioni insensate, quasi perverse; informazioni povere, se non addirittura contradditorie. Molto spesso è vero che quanto il cliente comunica non è di qualità eccelsa, ma l’insistenza con cui ci si accanisce su di lui è sospetta. Credo che sia un momento in cui si cerca di esorcizzare l’angoscia di non sapere se si sarà in grado di rispondere alle attese del cliente.
Ho lavorato con un gruppo di account di un’agenzia di comunicazione proprio sul tema del rapporto cliente-consulente per diversi mesi, impiegando un metodo ripreso dai Gruppi Balint, dispositivo nato negli anni Cinquanta al Tavistock Institute di Londra per migliorare la relazione medico paziente. Ripensando alla mia esperienza vedo due percorsi di ansia, assolutamente paralleli. Da una parte ho attraversato la mia paura di non essere un bravo facilitatore, di non fare osservazioni sufficientemente sofisticate e ricercate, di non riuscire a tirare fuori nulla dal gruppo. Dall’altra, il gruppo si è polarizzato in un atteggiamento di critica serrata ai clienti. Dagli account traspariva rabbia per come sono trattati, per il giusto sadico con cui sono messi alla prova dai loro clienti, soprattutto da quelli “difficili”. Io, come facilitatore, e i membri del gruppo, come partecipanti, eravamo allo stesso modo imprigionati dalle nostre paure. Diverse, ma, di fatto, molto simili. “Ce la faremo?” “Saremo all’altezza?”. E forse anche “Ci vorranno bene?”.

Come siamo usciti dall’ impasse? La tentazione di dare una versione eroica centrata sui supremi poteri del facilitatore è forte. La realtà è che abbiamo lavorato per diversi incontri parlando dei nostri vissuti in modo onesto, vero, senza nascondere le emozioni. I membri del gruppo hanno espresso chiaramente le loro emozioni legate alle relazioni professionali con i clienti. Hanno avuto il coraggio di mettersi in gioco. E io spero di aver contributo a creare un’atmosfera in cui lo scambio autentico sia stato possibile. E tollerabile. Siamo riusciti così a metterci “nei panni dell’altro” – espressione semplice ma anche molto forte di un partecipante. Siamo stati in grado non tanto di abbandonare le nostre paure, quelle ci seguono sempre. Ma siamo riusciti a evitare che le ansie ci precludessero la vista dell’altro. Il gruppo ha potuto vedere Il cliente, con tutte le sue contraddizioni, come persona, a tutto tondo, non solo una figura sadica. E io ho potuto vedere il gruppo nelle sue difficoltà ma anche nelle sue possibilità.

Per me è stata un’esperienza importante di come il gruppo, se riesce a tollerare uno scambio aperto e sincero, possa portare cura, possa aiutare i partecipanti a “sbloccarsi”, a superare dei modelli stereotipati. Gli schemi ci impediscono di vedere l’apparire dell’altro in nuove forme, le sue fine lines, linee sottili e belle, titolo del libro che raccoglie i disegni delle farfalle eseguiti da Vladimir Nabokov. Immagini non solo di variopinte ali di questi lepidotteri, ma anche tanti schizzi di bizzarri organi genitali. Anche queste sono fine lines così come le disegna e li rende visibili l’autore di Lolita. Così noi dovremmo riuscire a trovare la bellezza e la novità anche nei nostri contatti professionali più usurati.

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Sono laureato in filosofia e da circa 25 anni mi occupo di comunicazione aziendale, come come manager, consulente e docente. Ho lavorato all’interno di aziende, soprattutto farmaceutiche e all’interno di agenzie. Sono socio di Ariele , presso cui mi sono diplomato al master in consulenza al ruolo e sviluppo organizzativo. Dal 2011 collaboro attivamente con Assoetica. Mi interesso di etica in azienda, etica della comunicazione e di psicologia dinamica nelle organizzazioni (psicosocionalisi). E da qualche anno ho allagato la mia attività di consulenza, oltre alla comunicazione, alla facilitazione di gruppi, agli interventi formativi e al counseling.

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